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 (... II - Fortune e sfortune d’una famiglia del popolo grasso: i Girolami.
3. L’occupazione del potere politico)

Priorati cittadini dei Girolami

Raccogliamo i dati essenziali della partecipazione alle cariche politiche dei Girolami. Ignoro la pur importantissima attività nei consigli opportuni, perché nessuna quantizzazione avrebbe valore estimativo per il semplice fatto che né le Consulte né altre fonti ci hanno trasmesso le liste sistematiche dei consiglieri; i nomi di costoro ci sono pervenuti soltanto quando nelle sedute pubbliche, verbalizzate dai notai dei consigli, prendono la parola. Ignoro altresì specifici incarichi pubblici la cui completa documentazione è rimessa nelle note. Consideriamo soltanto la partecipazione al massimo organo del potere esecutivo, il priorato, che sancisce la supremazia politica (ma non necessariamente economica) del mondo delle arti. Dalla riforma costituzionale del cardinal Latino 1280, il governo fu affidato a un collegio di Quattordici, espressione più d’un equilibrio pattizio tra guelfi e ghibellini che d’un potere reale che saldasse organicamente forze sociali e assetto statale; questa magistratura coesistette per circa un anno con l’istituzione del priorato delle arti (giugno 1282), ma venne ben presto esautorata e poi sostituita dallo stesso priorato. Del resto il nuovo ceto dominante aveva già fatto sentire il proprio peso nel governo dei Quattordici influendo sia nella composizione sociale dei suoi membri sia nel sistema elettivo rivendicato alle arti maggiori.

Salvemini, Magnati e popolani..., ed. Milano 1974, 82-85; G. Pampaloni, Priorato. ED IV, 678a. Mr Alberto di Leone (nel 1281console dell’arte dei giudici e notai) nel consiglio 27.II.1282 sulla procedura d’elezione dei Quattordici, è dell’opinione che costoro siano eletti dai consoli delle sette arti maggiori e da savi a loro volta designati dai consoli (Consulte I, 70). Consiglio 29.X.1281 sull’elezione dei Quattordici: Girolamo di Salvi propone che i Quattordici siano eletti dai priori e dai loro consigli (i consiglieri sono a loro volta nominati in gran parte dai priori); proposta approvata (Consulte I, 114). Tra 1280 e 1283 Salvi del Chiaro dell’arte della lana è una volta dei Quattordici e due volte priore; Spinello di Girolamo e Chiaro di Salvi souo una volta dei Quattordici; nei consigli compaiono mr Alberto sette volte, Salvi del Chiaro una volta quale revisore eletto del capitano, e suo figlio Girolamo tre volte.

Nel quadriennio d’esistenza della magistratura dei Quattordici i Girolami vi sono rappresentati tre volte: da Salvi del Chiaro e suo figlio Chiaro del sesto San Pancrazio, da Spinello di Girolamo del sesto San Pier Schieraggio. Il priorato (da cui dipendono in massima parte gli organi sussidiari di potere) è a sua volta emanazione diretta della borghesia organizzata nelle corporazioni delle arti; di queste, soltanto le capitudini delle arti maggiori detengono il diritto di voto attivo nell’elezione dei priori. Ambedue i rami dei Girolami di San Pancrazio operano nelle arti maggiori: in quelle dei giudici e notai, del cambio e della lana. Ecco la lista dei priorati; «gonf.» sta per gonfaloniere di giustizia (aggiunto ai priori a partire dal 1293); il numero romano dopo l'anno indica mese d’inizio del bimestre priorale.

tabella dei priorati dei Girolami

1282 vi Salvi del Chiaro 1294 ii Chiaro di Salvi
1283 xii Salvi del Chiaro 1295 viii Salvi del Chiaro
1285 iv Salvi del Chiaro 1296 x

Spinello di Ranieri gonf.

1286 x Salvi del Chiaro 1297 ii Chiaro di Salvi
1287 viii Chiaro di Salvi 1300 ii Spinello di Girolamo
1288 ii Girolamo di Salvi 1300 viii Mompuccio di Salvi
1289 ii Salvi del Chiaro 1301 viii Mazza gonf.
1290 vi Chiaro di Salvi 1301 x Girolamo di Salvi
1291 iv Girolamo di Salvi 1303 xii Cardinale di mr Alberto
1292 viii Salvi del Chiaro 1311 viii Cardinale di mr Alberto
1292 xii Mompuccio di Salvi 1312 x Leoncino di mr Alberto
    1319 ii Cardinale di mr Alberto

Durante il primo decennio del priorato delle arti, dalla sua istituzione (1282) agli Ordinamenti di giustizia (1293), i Girolami del ramo di Salvi del Chiaro di San Pancrazio, e solo essi, ricoprono la carica priorale 11 volte: 6 priorati dello stesso Salvi, 5 dei suoi figli Girolamo (2), Chiaro (2), Mompuccio (1). È in assoluto la partecipazione più elevata rispetto ai concorrenti casati del ceto dominante; seguono gli Altoviti e i Bardi con 10 priorati, gli Acciaioli con 9, i Becchenugi e i Canigiani con 7, i Cerretani i Falconieri i Ristori del Barone con 6, gli Albizzi i Diodati i Magalotti i Piero di Borgo i Pulci con 5 (Detentori 232-34; ai Girolami sono qui attribuiti 12 priorati, p. 233; in realtà sono 11 perché Guido del Chiaro priore dic. 1290 - febbr. 1291 non è un Girolami). Dal 1293 all’ultimo priorato dei guelfi bianchi, autunno 1301, Salvi e i suoi figli totalizzano altri 5 priorati: Salvi (1), Girolamo (1), Chiaro (2), Mompuccio (1). Ben 16 priorati dunque nel ventennio 1282-1301. Vanno ricordati negli anni del governo bianco anche i 3 priorati (in due casi si tratta esattamente di gonfaloniere di giustizia) dei Girolami di Santo Stefano a Ponte: Spinello di Ranieri (1), Spinello di Girolamo (1), Mazza o Spinello di Lapo di Spinello (1); ma per quanto concerne la rotazione delle cariche pubbliche, i 5 priorati dei Girolami del sesto San Pancrazio e i 3 di quelli del sesto San Pier Scheraggio non possono esser cumulati perché la partecipazione alle cariche politiche poggia sulla divisione amministrativa dei sesti: «[Priores] esse debeant sex numero, unus videlicet de quolibet sextu» (Ordinamenti di giustizia § 3: ed. Salvemini, Magnati e popolani..., Firenze 1899, 389); né d’altronde risultano speciali legami d’affari o d’altro genere tra questi due ceppi dei Girolami. Gli Ordinamenti di giustizia di gennaio 1293 e la proscrizione dei magnati dalle cariche pubbliche non toccano - come abbiamo detto - i Girolami, i quali restano famiglia del «popolo grasso», nella terminologia dei cronisti del tempo; cioè famiglia popolana attiva nelle arti maggiori che né ha ascendenze nobiliari né ha raggiunto la potenza delle consorterie che nel 1293 e 1295 sono definite magnatizie.

Liste delle famiglie magnatizie in Salvemini, op. cit. 376-77. Delle famiglie con più alta frequenza di priorati dopo i Girolami nel decennio 1282-92 sopra menzionate, Bardi e Pulci subiranno le ritorsioni antimagnatizie. Esclusi dal priorato sono anche i cavalieri: Ordinamenti di giustizia § 3 (ed. cit. p. 391).

Ma la terza rubrica degli Ordinamenti di giustizia, oltreché disciplinare il meccanismo elettivo dei priori, tradisce la competizione politica di settori miranti a metter freno a famiglie che accaparrano il priorato. Fra le restrizioni almeno due potrebbero aver reso i priorati dei Girolami di Salvi del Chiaro meno incalzanti dopo il 1293: a) non può esser eletto priore chi all’atto dell’elezione abbia un consorte tra i priori in carica; b) non può essere eletto priore chi lo sia già stato entro il termine di due anni. Il fratello di fr. Remigio, Salvi del Chiaro, era stato priore in giugno-agosto 1282, dicembre 1283 - febbraio 1284; aprile-giugno 1285, ottobre-dicembre 1286. Ancora prima degli Ordinamenti di giustizia, una delibera del 27 luglio 1290 aveva posto il divieto di rielezione nel termine di tre anni. Salvi sfrutta al massimo i termini legali: priorato febbraio-aprile 1289, agosto-ottobre 1292, agosto-ottobre 1295; ma entro gli stessi anni si alternano nel priorato i suoi figli Girolamo, Chiaro e Mompuccio!

Ordinamenti di giustizia § 3: «Et ut in electionibus ipsorum futurorum priorum debita convenientia et condecens equalitas observetur, aliquis ex capitudinibus duodecim maiorem artium vel ex sapientibus ad hoc vocatis, vel aliquis qui sit de domo sive casato alicuius qui ipsius electionis tempore fuerit in prioratus offitio, vel aliquis qui quandocumque fuisset in ipsius prioratus offitio infra tempus duorum annorum tunc proxime preteritorum, vel aliquis qui continue artem non exerceat, || vel qui scriptus non sit in libro seu matricula alicuius artis civitatis Florentie, || vel aliquis miles non possit nec debeat modo aliquo eligi vel esse in dicto offitio prioratus; nec etiam possint codem tempore eligi vel esse duo vel plures priores de una et eadem arte. Et si contra predicta ipsorum priorum vel alicuius eorum fieret electio, non valeat nec teneat» (ed. cit. p. 390). Ricordiamo: degli Ordinamenti ci è pervenuto il testo 6.VII.1295 e la minuta preparata dalla commissione dei giuristi gennaio 1293; il testo 18.I.1293 è ricostruito dal Salvemini sulla base dei due testi pervenutici. Il brano citato era certamente del 18.I.1293 perché lo si ritrova alla lettera nelle bozze di gennaio 1293: ed. F. Bonaini, Gli Ordinamenti di giustizia del Comune e Popolo di Firenze compilati nel 1293, «Archivio storico italiano» n.s. 1 (1855) 45. Aggiunta propria del 6.VII.1295 è soltanto quanto chiuso tra le doppie barre. L’originale degli Ordinamenti (sottoscritti dal nipote di fr. Remigio, Mompuccio di Salvi del Chiaro) fu conservato nella biblioteca conventuale di SMN fino alla soppressione napoleonica; oggi è BNF, Conv. soppr. II.I.153; cf. Pomaro, Censimento I, 432; riproduzione della prima carta, con i nomi dei priori, in Davidsohn III tav. 35.

Consiglio generale, speciale e delle capitudini delle arti maggiori, 27.VII.1290; il capitano propone: «Primo, de deveto priorum preteritorum, presentium et futurorum, scilicet quod habeat devetum per tres annos, a die depositi officii, a dicto officio prioratus»; approvato (Consulte I, 416).

Col priorato guelfo bianco di Girolamo di Salvi, 15 ottobre - 7 novembre 1301, interrotto dal prevalere di parte nera, cessa la vita politica del ramo di Salvi del Chiaro; e anche dei Girolami del sesto San Pier Scheraggio. Subentrano i neri Cardinale e Leoncino di mr Alberto.

Le famiglie

Figli di Girolamo di Salvi sono Filippo, Iacopo e Guido.

Successivi ritrovamenti hanno permesso di stabilire che Tessa, vedova d’un Adimari e monaca domenicana col nome suor Francesca, non è figlia di Girolamo (di Salvi del Chiaro) come detto in edizione a stampa, MD 16 (1985) pp. 66-67, 79, 368b, bensì di Girolamo (di Biliotto di Girolamo): Nuova cronologia…, AFP 60 (1990) 174-75.

Chiesa SMN, 8.V.1305: «d. Tessa uxor condam d. Lotterii de Adimaribus», ottenuto per mondualdo Rustico del fu Maso di Rustico del popolo San Lorenzo, affitta due terreni siti nel popolo San Piero a Quaracchi, di 24 e 40 staiora (tot. = ha 3 e m2 3.600); canone d’affitto 6 moggia e 12 staia di grano da versare in ottobre seguente. Tra i testi fr. Ardingo di Puccio degli Ardinghi OP (ASF, Notar. antecos. 3141, f. 10r-v). Monastero domenicano San Iacopo a Ripoli, 30.XI.1305: «d. soror Francisca que olim dicebatur d. Tessa filia olim Geronimi de Geronimis de populo Sancti Pancratii et nunc monialis novitia in monasterio Sancti Iacobi de Ripolis», ottenuto per mondualdo Romolo di Mato da Settimo, fa donazione di sé nelle mani della priora suor Angela di mr Martello dei Donati, e dona inoltre al monastero metà per indiviso delle terre di cui nell’atto precedente. Testi: ffrr. Grazia di Bardo, Giovanni di Falco, Aliotto degli Ubriachi, tutti di SMN, fr. Mosca converso del monastero San Domenico, Vanni barbiere da Orvieto familiare del monastero di Ripoli (ASF, Notar. antecos. 3141, f. 16r-v). Stesso luogo e stessa data: suor Francesca nomina procuratore fr. Aliotto degli Ubriachi nella gestione e locazione dei terreni (ib. f. 16v). Monastero di Ripoli, 7. IV.1307: «d. soror Francisca reclusa in monasterio dominarum de Ripolis, que olim vocabatur d. Tessa, uxor olim d. Lotterii de Adimaribus et filia olim Girolami de Girolamis» fa testamento: a) lascia «iure institutionis» l. 25 f.p. a fr. Ardingo del fu Puccio degli Ardinghi OP; b) in sussidio della Terrasanta «quando fiet generale passagium ultra mare illas libras 25 quas olim dictus eius pater in dictum subsidium suo testamento reliquit»; c) altre provvisioni per suor Bartola dei Visdomini, suor Giovanna dei Pilastri del medesimo monastero, e per Mina sua familiare. Esecutore testamentario fr. Ardingo o, se costui premorisse alla testatrice, il priore di SMN. Tra i testi: fr. Bartolo di Boninsegna degli Imbusi «ordinis fratrum de Penitentia» [non necessariamente dell’ordine della Penitenza dei frati Predicatori; correggi pertanto Studio p. 224], fr. Bene del popolo San Firenze e fr. Compagno OP (ib. f. 38r-v). Del medesimo monastero era anche suor Lapa di Mazza dei Girolami (ib. ff. 37r-38r: 4.IV.1307).

Iacopo e Guido sono attivi in Francia nel terzo decennio del Trecento in una compagnia di credito di cui sono titolari Iacopo dei Girolami e due Corbizzi. Il confino e poi la condanna del padre Girolamo devono aver reso difficile l’attività in patria ma non hanno prostrato del tutto gli spiriti della famiglia. Le notizie su Filippo sono tutte legate alla vicenda giudiziaria del padre, di cui ci occuperemo subito.

Iacopo di Girolamo di Salvi del Chiaro. Il 18.II.1332 costituisce, con Filippo e Tommaso dei Corbizzi, una compagnia commerciale (con attività prevalentemente di credito) operante in Francia e presso la corte papale, attiva tra 1332 e 1337: «Questo libro si è d’Iachopo Girolami figliuolo che fue di Girolamo Girolami di Firenze del popolo di San Branchazio e di Filippo che fue di Vanni Corbizzi e di Tommaso di Ghino Chorbizzi di Firenze del popolo di Santo Apostolo...»: Il Libro Vermiglio di corte di Roma e di Avignone della compagnia fiorentina di Iacopo Girolami, Filippo Corbizzi e Tommaso Corbizzi (1332-1337), a c. di M. Chiaudano, Torino 1963, l. Gli interessi sono pesantemente usurari se a proposito d’un prestito di 100 fior. d’oro si dice: «abianne carta fatta detto die [1.III.1332] di fior. dugiento d’oro, fatta per Ponzo Lorenzi notaio di Niomisi [Nimes?], e ricevette Giovanni Girolami» (ib. pp. 3-4). L’usura la si dissimula incorporandola nella sorte. Iacopo muore il 3.X.1336 (ib. p. viii). Sua moglie è Bartola (pp. 129, 194).

Fratello di Iacopo risulta Guido (pp. 31, 48, 101, 114, 129, 130, 150, 157, 194, 195). Nel medesimo Libro Vermiglio compaiono altre persone verosimilmente dei Girolami ma delle quali non è specificato il riallaccio genealogico: «Giovanni Girolami» (pp. 3-4), «Lapo Girolami » (pp. 1, 16, 17, 27, 31, 124, 129, 193, 195), «Biringhieri Girolami» (pp. 4, 71).

Moglie di Chiaro di Salvi è Mandina; figli sono Francesco (sua moglie Cella), Vaggia, e molto probabilmente fr. Biliotto OP.

Chiesa SMN, 22.VIII.1326: «Franciscus filius olim Clari Salvi Ieronimi de populo ecclesie Sancti Pancratii» vende a Lucia pinzochera vedova di Lessimo dei Medici un terreno in San Lorenzo a Campi di 12 staiora al prezzo di l. 10 f.p. a staioro; Mandina vedova di Chiaro di Salvi e madre di Francesco presta consenso. Testi: ffrr. Ugolino da Sommaia e Bene del popolo San Firenze. Poi, in casa di Francesco «sita in Porta Sancti Pancratii», 25.VIII.1326: Vaggia pinzochera sorella carnale di Francesco e Cella moglie di Francesco prestano a loro volta consenso alla vendita. Il 26.VIII.1326 «Mompuccius filius condam Salvi del Chiaro de populo ecclesie Sancti Pancratii, lecto ei per me Maffeum [Lapi Raynerii] notarium ante amnia diligenter vulgariter et distincte dicto instrumento venditionis» dà fideiussione per Francesco. Il 20.X.1326, fatto misurare il terreno, questo risulta di 8 staiora e 4 panora (tot. = m2 4.375); Francesco rende il sovrapprezzo all’acquirente. Negli ultimi due atti compare tra i testi Tieri di Marabottino dei Tornaquinci (ASF, S. Maria Novella 22.VIII.1326). Poco dopo Francesco vende alla medesima Lucia un’altra terra nel medesimo popolo per la somma di l. 42, s. 15, d. 6 f.p.; la moglie Cella dà consenso, la madre Mandina è tra i testi (ASF, S. Maria Novella 29.X.1326). Francesco del Chiaro di Salvi è teste («Francisco Girolami populi Sancti Pancratii») in atto notarile del 7.III.1320/1 relativo ai chierici Iacopo e Giovanni figli di Niccolò [di Marito di mr Iacopo] del Cerreto (ASF, Notar. antecos. 3143, f. 57r; cf. ib. f. 38r-v: 30.X.1320); console della lana 1335 (ASF, Arte della Lana 18, f. 13r: «Franciscus Chiari»). Nel 1342 Gentile del fu Scolaio da Sommaia vende un palazzo nel popolo San Pancrazio confinante «a iiij° Francisci del Chiaro Girolami» (ASF, Cerchi 12.VI.1342). Nel 1349 Francesco compare nei libri della compagnia dei Peruzzi (A. Sapori, I libri economici dei Peruzzi, Milano 1934, 515). Cella moglie di Francesco sepolta 1367 in SMN (MD 1980, 61). Di una «Giovanna di Francesco del Chiaro Girolami» moglie di Bertoldo del Piglio, dà notizia D.M. Manni, Osservazioni istoriche sopra i sigilli antichi XV, Firenze 1774, 105, «da cartapecora di SMN» 31.I.1339; nell’attuale diploma ASF, S. Maria Novella 31.I.1339 (testamento di Tignoso del fu Gualterone dei Macci), unica sotto la data, non vi è traccia di tale Giovanna.

Vaggia del Chiaro di Salvi. Suora dell’ordine della Penitenza «de ordine sive habitu fratrum Predicatorum» 24.XII.1319 in una lista di 145 pinzochere: «d. Vaggia filia olim Chiari Ieronimi» (ASF, Notar. antecos. 3143, f. 16r). Chiaro di Salvi era dunque deceduto anteriormente a questa data. Nel medesimo documento è presente anche Lucia pinzochera vedova di Lessimo dei Medici (f. 16r), cui Francesco del Chiaro nel 1326 venderà terreni col consenso di Vaggia (nota precedente).

«Frater Beliottus filius Clari de Ieronimis, sacerdos», dice Cr SMN  n° 94, morto anteriormente al 1280, anno d’inizio della Cronica. S. Orlandi lo ritiene fratello di fr. Remigio (Necr. I, 277) e cioè figlio di Chiaro di Girolamo. Di fr. Remigio Cr SMN  n° 220 scrive: «frater Remigius filius Clari Ieronimi» (Studio 189), cioè figlio di Chiaro di Girolamo; e «frater Remigius olim ser Clari Gerolami» dice il notaio ASF, Notar. antecos. 3140, f. 53r-v (16.X.1301). Mentre là dove l’eponimo è sostituito dal casato si ha la sequenza tipo «Cardinale d. Alberti de Girolamis» (ASF, Arte del Cambio 8, f. 2v: 16.II.1301/2), cioè figlio di mr Alberto di Leone; «d. Tessa filia olim Geronimi de Geronimis» (ASF, Notar. antecos. 3141, f. 16r: 30.XI.1305). E come qui va inteso Tessa figlia del fu Girolamo [di Biliotto] dei Girolami, così parimenti bisognerà intendere fr. Biliotto figlio di Chiaro [di Salvi del Chiaro] dei Girolami. Ultimo dato conosciuto di Chiaro di Salvi è il confino 1302; deceduto prima del 24.XII.1319 (nota precedente) e prima di nov. 1305 («a ij° heredum Clari Salvi, solvit l. 10 f.p.», ASF, Estimo 1, p. 17); nel 1278 già attivo nella mercatura, nel 1283 membro del governo dei Quattordici. La cronologia non si oppone a che fr. Biliotto fosse figlio di Chiaro di Salvi; nel qual caso fr. Biliotto dev’esser morto molto giovane. Altro frate di SMN è «fr. Zenobius de Ieronimis populi Sancte Marie Novelle, scilicet ecclesie nostre, sacerdos iuvenis» † Siena 1377 (Cr SMN  n° 491); 26.VI.1370 in San Domenico di Pistoia tra i capitolari convocati dal priore fr. Andrea «Francisci Franchi» (= b. Andrea Franchi): «fr. Çenobius Gerolimi de Florentia» (Arch. di Stato di Pistoia, Protoc. not. 19; non cartulato al tempo della consultazione, nel fasc. 8°); 8.X.1374 in Lucca, MD 21 (1990) 377b.

«Pierus condam Gerii de Girolamis populi Sancti Pancratii» nomina procuratore per ricuperare crediti presso la società dei Cocchi (ASF, S. Maria Novella 27.IV.1346); «domina Sandra uxor Pieri Geri Girolami populi Sancti Pancratii» 29.I.1344/5 (A. Guidotti, Gli smalti in documenti fiorentini, «Annali della Scuola normale superiore di Pisa», Classe Lett. e Filos., 14 (1984) 679). «Iacobus Gerii de Girolamis populi nostri cum habitu ordinis» sepolto in SMN 1358 (Libro dei morti: MD 1980, 162).

Mompuccio ancora in vita in agosto 1326; sua moglie è Selvaggia, deceduta nel 1351. Mompuccio, col nipote Filippo di Girolamo, nelle truppe di stanza a Pistoia per rafforzare Montecatini, 4 e 5.II.1314 (ASF, Notar. antecos. 8910, f. 122v); fideiussore del nipote Francesco del Chiaro di Salvi in atto di vendita (ASF, S. Maria Novella 22.VIII.1326: vi compare il 26.VIII.1326). «Domina Salvagia mogle che fu di Monepuccio Girolami del popolo nostro» † 10.X.1351 (AAF, Libro dei morti di SMN, f. 142v; «di None Puccio Girolami» trascrive ed. MD 1980, 161).

Né la fitta partecipazione al priorato né le altre testimonianze avallano, nel caso Girolami, una tipologia d’una famiglia allargata, a forte coesione interna, sostrato d’una struttura economica di casato capace di esprimere o un’impresa commerciale di famiglia o un esercizio solidale del peso politico; ché fin dall’ottavo decennio del secolo XIII il casato si configura già frammentato almeno in tre ceppi operanti autonomamente. È semmai il nucleo familiare ristretto che illustra, nel caso in questione, un modello d’organizzazione della società fiorentina del tempo. Dei Girolami di Santo Stefano a Ponte, taluni operano nel settore creditizio, ma a Trecento inoltrato i loro consorti risultano impiegati quali fattori nelle compagnie Peruzzi e Bardi. Di quelli di San Pancrazio, i tre fratelli figli di Salvi del Chiaro esercitano la mercatura della lana nella tradizione del padre, appaiono titolari in solido della casa paterna e di altri beni immobili, condividono potere e disfatta di parte bianca; Cardinale e Leoncino, figli del giudice mr Alberto, sono consoci d’una società di cambio, solidali in molteplici transazioni finanziarie e nella partecipazione al governo dei neri, di cui spartiscono rischi e turbolenze. La rapidità dell’ascesa sociale produce diffrazione dei nuclei familiari e dirottamento nei settori d’attività economica nell’arco d’una generazione; perfino all’interno del nucleo apparentemente più solidale, quello dei figli di Salvi del Chiaro: Francesco del Chiaro di Salvi nel secondo quarto del Trecento opera ancora nell’arte della lana in continuità con i diretti ascendenti, ma Iacopo di Girolamo di Salvi fonda una compagnia di credito, per di più con soci esterni alla famiglia. Della politica matrimoniale nessun’utile indicazione è derivabile dall’unica testimonianza, quella di Tessa di Girolamo di Biliotto data in moglie a un Adimari. Probabilmente la mancata saldatura dei nuclei familiari in più ampia solidarietà consortile e in più omogenea struttura economica potrebbe render ragione, oltreché della divaricazione politica del casato in bianchi e neri, dell’impotenza a reagire alle profonde trasformazioni della società fiorentina del secondo Trecento che impongono il radicale ricambio del ceto dirigente. Senza ignorare il devastante incendio 20 luglio 1340, che dal Parione investì San Pancrazio: «Quella mattina in San Giovanni cadde uno palchetto, che v’era fatto di costa dal coro, dov’erano su tutti i cantori cherici ch’uficiavano, e molti se ne magagnaro delle persone. E poi s’agiunse male sopra male, che a dì xx di luglio apresso la notte seguente s’aprese uno gran fuoco in Parione, e valicò nella gran ruga da San Brancazio, ove si facea l’arte della lana, insino presso alla chiesa, ove arsono XLIIII case con gran danno di mercatantie, panni e lane, e maserizie, e di case e palazzi» (Villani XII, 114, 48-57).

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