Leoncino, come detto, vive all’ombra del fratello Cardinale; ma tra le sue notizie ve n’è una d’estremo interesse. Durante il primo semestre del 1302, al tempo delle condanne pronunciate dal podestà Cante dei Gabrielli sotto il governo dei neri, Leoncino denuncia il notaio ser Alone del fu Guccio di Alone. Tre i capi d’accusa: 1) ser Alone ha disonorato la chiesa, il papa e Carlo di Valois per aver armato torri e uomini ai fini d’impedire l’entrata in Firenze del paciere papale e ostacolarne la missione; 2) quand'era notaio dei priori (ottobre-dicembre 1300), d’intesa con i priori fiorentini e con i priori e capitano di Pistoia, aveva tramato perché Pistoia, allora retta da bianchi e neri, passasse nelle mani esclusive dei bianchi; quale compenso, ricevette dal partito bianco gran quantità di danaro; 3) sempre in qualità di notaio dei priori aveva intascato due fiorini d’oro dagli approvatori (ufficiali preposti al controllo delle fideiussioni nei sodamenti o cauzioni dei magnati) eletti dai priori per aver fatto ratificare le fideiussioni dei medesimi approvatori soltanto dall’approvatore del capitano, mentre tali fideiussioni andavano sottomesse alla ratifica degli approvatori sia dei magnati che del capitano. Ser Alone è condannato in contumacia alla pena di 2.000 lire di piccoli e due anni di confino fuori Toscana. Se quest’ultimo capo d’accusa è di semplice baratteria, i primi due implicano palesemente lo schieramento politico di ser Alone con parte bianca e coinvolgono nell’accusa l’operato degli stessi priori bianchi allora al potere. La denuncia proviene da parte nera; e come tale è registrata tra le condanne del 1302. Bisogna dedurne che Leoncino e con lui il fratello Cardinale, a differenza dei Girolami del ramo di Salvi del Chiaro, avevano sposato la causa nera. Lo confermano le altre notizie biografiche dei due fratelli, ma lo conferma soprattutto il fatto che essi, rimasti in città, prendono parte attiva nelle cariche pubbliche soltanto dopo l’insediamento del governo nero; il primo priorato di Cardinale è del bimestre dicembre 1303 - febbraio 1304; ambedue i fratelli appaiono nei consigli solo a partire dal 1304. Le lotte all’interno della ristretta élite politica d’inizio Trecento infrangono anche i vincoli parentali. Anche il casato dei Girolami - come del resto molti altri - subisce la spaccatura tra parte nera e parte bianca. «Casata sunt cassata, parentele sunt exparentate», lamenta fr. Remigio in De bono comuni 13, 26-27. La consorteria mercantile (arte del cambio per i Girolami di mr Alberto, arte della lana per quelli di Salvi del Chiaro) ha il sopravvento sulla consorteria di sangue? Le rapide aggregazioni e disaggregazioni dei gruppi di potere del primo decennio del Trecento sembrano tradire più la radicale disarticolazione del potere politico che i dinamismi della lotta di classe. Gli stessi capi neri si abbandonano a un carosello di violenza che si consumerà quando, tra 1308 e 1311, si elimineranno a vicenda in una catena d’omicidi; quasi un suicidio di gruppo impazzito.
ASF, Capitani di parte guelfa, numeri rossi 20, Libro del chiodo pp. 8-9: «Hec sunt condempnationes... facte... per dominum Cantem de Gabriellibus... potestatem civitatis Florentie,... sub examine sapientis viri dni Pauli de Eugubio iudicis eiusdem dni potestatis,... contra illos qui commiserunt barapterias et iniquas extorsiones..., anno Domini 1302 a nativitate, indictione XVa, tempore sanctissimi patris dni Bonifatii pape VIII.
¶ Nos Cante potestas prefatus infrascriptas condempnationum sententiam damus et
proferimus in hum modum.
¶ |p. 9| Ser Alonem notarium condam Ghuccii populi Sancti Pancratii, denumptiatum et accusatum a Leoncino filio condam
dni Alberti Leonis, quem dicit contra honorem sancte romane ecclesie...». Trascrivo
per intero il secondo capo d’accusa: «Item denumptiatum et accusatum ab eodem [scil. Leoncino condam d.
Alberti Leonis], quem dicit tempore et loco in accusa contentis per dolum et fraudem et baracteriam et tamquam bominem publice de baracteriis infamatum tractasse et ordinasse et tractari et ordinari fecisse et in tractando et ordinando operam dedisse quod offitium Ançianorum comunis Pistorii, quod erat comune nigrorum et alborum, efficeretur alborum tantum dividendo ipsam civitatem. Et predicta dicit tractasse cum
prioribus, quorum erat notarius, et cum Ançianis et capitaneo tunc existentibus in civitate Pistorii tamquam not(arium) et offit(ialem) priorum comunis Florentie in dampnum et preiudicium et subversionem populi et comunis civitatis Pistorii et civitatis Florentie et partis guelforum. Et pro [pre cod.] dicto tractatu et ordinamento dicit dictum ser Alonem habuisse et recepisse a parte alborum maximam
quantitatem pecunie» (p. 9).
■ Ser Alone condannato di nuovo in contumacia dal podestà Gherardo da Gambara 31.VIII.1302, e questa volta «quod suspendatur ad furcas per gulam ita quod moriatur», perché fuoruscito s’era adoperato a far catturare approvvigionamenti di grano destinato a Firenze (ib. pp. 52-53). Stefani rubr. 221 bis; Compagni II, 17; Davidsohn IV, 188, 246-47, 283, 570. Tra i notai del sesto San Pancrazio 1292 (ASF, Arte dei Giudici e Notai 5, f. 57r). ASF, Passignano 6.XII.1300, atto di denuncia contro Ruggeri dei Buondelmonti abate vallombrosano «scriptus per me Alonem Guccii Alonis scribam et notarium». Ser Forese, Marcovaldo e ser Albizzo, «filii condam Guccii Alonis» e dunque fratelli di ser Alone, consegnano al podestà Gherardo da Gambara un cavallo per la cavallata (ASF, Notar. antecos. 2440, f. 31r: 25.VI.1302).
Dei priori bianchi d’ott.-dic. 1300 (Stefani rubr. 221 bis; ASF, Passignano 6.XII.1300), coinvolti con ser Alone dall’accusa di Leoncino, ricordo Bacherello di Iacopo dei Bacherelli; suo fratello Mazzetto dona al convento SMN 10 fior. d’oro antecedentemente mutuati al medesimo convento sotto richiesta di fr. Remigio (Studio 224); relazioni genealogiche stabilite su ASF, Notar. antecos. 997, f. 30r (7.VII.1277): «Maççettus et Bacherellus fratres emancipati Iacobi filii olim d. Rossi Bacherelli». Villano di Stoldo, padre dei cronisti Giovanni e Matteo Villani, che nel 1299 è rettore della Società Maggiore della beata Vergine con Mompuccio di Salvi del Chiaro dei Girolami. Taldo di mr Maffeo dei Tedaldi condannato 28.1X.1302 (ASF, Libro del chiodo p. 68).
■ Leoncino di mr Alberto di Leone: non ripeto notizie in cui appare col fratello Cardinale e già date sotto il nome di costui. è tra i feditori in azione militare contro i fuorusciti bianchi e ghibellini (prima del 1308, per l’assedio di Montaccianico del 1306? Villani IX, 86), secondo il tardivo spoglio di BNF, Magl. XXV.44, f. 67v; priore per il sesto San Pancrazio in ott.-dic. 1312 (Consigli II, 705; Stefani rubr. 301); tra i morti o dispersi della disfatta di Montecatini, 29.VIII.1315 (BNF Magl. XXV.44, f. 75r); ultima data conosciuta su Leoncino.
Un’altra disavventura corrono i Girolami di mr Alberto in anni posteriori, dicembre 1318, quando taluni magnati di Prato in combutta con fuorusciti fiorentini manomettono l’abbazia vallombrosana San Fabiano di Prato, aggrediscono e derubano il priore Matteo di Lapo di Leone; in marzo 1319 Alberto del fu Lapo di mr Alberto (figlio d’un cugino del priore Matteo), presenta ricorso ai priori e consigli opportuni di Firenze che gli rendono giustizia.
ASF, Provvisioni reg. XVI, f. 51r-v (26.III.1319). Priori e gonfaloniere di giustizia accolgono e ratificano la petizione dal seguente tenore: «Exponitur pro parte Alberti olim Lapi d. Alberti Leonis de Gierolamis populi Sancti Pancratii et aliorum consanguineorum religiosi viri d. Mathei prioris monasterii et abatie Sancti Fabiani de Prato» che tale monastero e suoi beni furono occupati con violenza «per quosdam maxime magnatos et potentes terre de Prato» in dicembre scorso [1318] insieme con sbanditi e condannati del comune fiorentino; costoro tennero sotto sequestro per dodici giorni e sottoposero a sevizie Matteo, il quale amministra i beni del monastero da cinque anni. Detto Matteo poté riscattarsi cedendo ai malviventi grande quantità di grano; quest’ultimi saccheggiarono e rubarono mobili, «instrumenta et iura» sia del monastero che dei consanguinei di Matteo. Il comune pratese, sollecitato a intervenire, non volle intromettersi nel caso; cosicché ora è fatta petizione a Firenze perché difenda i propri cittadini, «quibus saltem comune florentinum tamquam suis deesse non debet». Si chiede che «ipsi sui consanguinei de dicta domo de Gierolamis et quilibet eorum» siano risarciti dei danni, stimati l.000 fior. d’oro; i colpevoli inquisiti e puniti. «Super qua quidem petitione... pro parte Alberti olim Lapi d. Alberti Leonis de Girolamis populi Sancti Pancratii et aliorum consanguincorum religiosi viri d. Mathei prioris monasterii et abatie Sancti Fabiani de Prato», priori e consigli provvedono che sia accolta e soddisfatta in tutte le sue parti.
■ Nel lungo documento (qui riassunto nell’essenziale) non si specifica mai l’esatto rapporto genealogico di Matteo con i propri consanguinei, ma costui va identificato con Matteo di Lapo di Leone, ordinato suddiacono 18.IX.1311. Dei priori in carica febbr.-apr. 1319 è Cardinale di mr Alberto dei Girolami (Stefani rubr. 333), zio di Alberto di Lapo di mr Alberto!
Prima di riprendere il filo del ramo di Salvi del Chiaro, diciamo una parola su un altro ceppo dei Girolami insediatosi nel popolo Santo Stefano a Ponte, sesto San Pier Scheraggio. Non v’è dubbio che si tratti di Girolami, ma le notizie non rimontano oltre gli anni ‘80 del XIII secolo né consentono di stabilire il punto di riallaccio genealogico ai consorti del popolo San Pancrazio. I nomi più documentati sono Spinello di Girolamo e Spinello di Lapo di Spinello detto Mazza. Il primo prende parte alla vita politica del governo guelfo delle arti. Il secondo è gonfaloniere di giustizia nel bimestre agosto-ottobre 1301 alla vigilia del prevalere di parte nera. Ambedue in città durante il governo nero, ma non compaiono più in cariche pubbliche. Devono essere stati filo-bianchi ma non uomini di spicco né tali da far paura alla parte nera; cosicché sono tollerati in città e sottoposti alla nota esazione di 20.000 fiorini d’oro che i neri estorcono ai cittadini d’opposto colore per finanziare nel 1306 la guerra di Montaccianico (castello degli Ubaldini in alto Mugello: Villani IX, 86) contro i fuorusciti. Esazione «viginti milium florenorum auri imposita solummodo ghibellinis» (ASF, Notar. antecos. 2962, f. 158v), dice il palese slogan di propaganda politica. La pagano i guelfi bianchi rimasti e tollerati in città.
■ Spinello di Girolamo. Membro del governo dei Quattordici (30.III.1281) per il sesto San Pier Scheraggio: «Spinellus Girolami» (Consulte I, 83). Consiglio generale, 28.III.1284: «de ambaxiatoribus dandis Canti de Ciczis et Spinello Girolami pro quodam detento in terra Urbis veteris» (Consulte I, 193); nel consiglio dei savi, 20.VII.1285, su questioni di vettovagliamento (Consulte I, 265-66). Firenze 4.VIII.1295: Bella del fu Falcone «olim famula Spinelli Gerolimi» chiede mundualdo e nomina procuratore «ad petendum exigendum et recipiendum a dicto Spinello quicquid debet ex eo ex quacumque causa» (ASF, Notar. antecos. 11250, f. 163r). «Spinello di Girolamo» priore per il sesto San Pier Scheraggio febbr.-apr. 1300 (Stefani rubr. 221 bis); i priori di questo bimestre sono nominati (tra essi Spinello «Girolami») in ASF, Dipl. Cerchi sotto la segnatura d’archivio 12.IV.1299 (di fatto 12.IV.1300) dove eleggono cinque ufficiali «ad reinveniendum et recuperandum ampliandum et manutenendum conservandum augendum et promovendum et defendendum honorem et iurisdictionem comunis et populi florentini». (Le pergamene del fondo Cerchi sono rilegate in volumi; quella citata è in vol. I, n° 32). Stefani 221bis interpreta il «Girolami» dei documenti latini patronimico («Spinello di Girolamo»); ma se qui «Girolami» avesse valore cognominale anziché patronimico, questo «Spinellus Girolami» potrebb’essere la stessa persona che Spinello del fu Ranieri dei Girolami, di cui sotto.
■ Spinello di Lapo di Spinello, detto Mazza. Firenze 20.VI.1294: Vanni del fu Rinuccio di Guidotto muove azione presso il podestà mr Pino dei Vernacci contro mr Pino del fu mr Stoldo dei Iacoppi dal seguente tenore: Vanni del fu Rinuccio «popularis et miserima persona civitatis Florentie» asserisce che Spinello «condam Rinieri Girolami » e Spinello «qui dicitur Maçça filius Lapi Spinelli» avevano avuto in deposito rispettivamente 100 e 200 fior. d’oro da Rinuccio di Guidotto per Vanni. Deceduto Rinuccio, gli succedette nel diritto Letta moglie di Pino del fu mr Stoldo dei Iacoppi; morta costei, succedette nel diritto il detto Pino «qui est de magnatibus et potentibus civitatis Florentie». Vanni ora chiede che il podestà obblighi mr Pino a restituirgli i 300 fior. d’oro. Brunetta vedova di Rinuccio di Guidotto si unisce alla richiesta del figlio Vanni nella medesima causa (ASF, Notar. antecos. 4111, f. 146r-v). «Spinello detto Mazza de’ Girolami» gonfaloniere di giustizia in ag.-ott. 1301 (Stefani rubr. 224 e 229; Consigli II, 696). Tra i testi in una transazione della società dei Bardi, 14.VI.1311: «Spinello vocato Macça condam Lapi de Ierolamis, presbitero Orlando canonico ecclesie Sancti Stephani ad Pontem» (ASF, Notar. antecos. 2964, f. 12v).
■ Firenze 30.IX.1306: «ser Feum Guerii notarium impositorum et exactorum imposite viginti milium florinorum auri imposite solummodo gbibellinis occasione castri Montis Acenichii...» (ASF, Notar. antecos. 2962, f. 158v). L’imposta risale al luglio 1306 (cf. Davidsohn IV, 451-52 dove si dice in nota: «Da ciò risulta indubbiamente che l’imposizione delle tasse veniva estesa anche ai Bianchi tollerati nella città»; il protocollo di ser Biagio Boccadibue, cui rimanda il Davidsohn, è oggi sotto la segnatura d’archivio data qui sopra). Nella lista dei tassati: «Spinello e Poggio(?) Girolami fior. 40; Feio di Iacopo Girolami fior. 20; Mazza Girolami fior. 60», tutti del popolo Santo Stefano a Ponte, sesto San Pier Scheraggio (BNF, Magl. XXV.44, ff. 24v-25r). Nessun altro Girolami vi compare. Anche qui si dice: imposta di 20.000 fiorini «ghibellinis tantum, solummodo de civitate Florentie, burgis et subburgis..., ita tamen quod nullum gravent nullique imponant nisi evidenter et manifeste sit ghibellinus secundum opinionem vulgi, et nullum gravent etiam ghibellinum qui sit rebellis vel exbannitus comunis…, sed ipsam imponant hominibus divitibus et extantibus gbibellinis tantum» (BNF, Magl. XXV.44, f. 62v).
■ In quegli anni “ghibellino” poteva esser nient’altro che uno slogan per bollare il partito avverso. In ASF, Passignano 8.IX.1307 l’abate vallombrosano Ruggeri dei Buondelmonti, citato presso la santa sede dal cardinal legato Napoleone degli Orsini, dichiara di non poter intraprendere il viaggio perché i Buondelmonti, «de quibus traxit originem», hanno molti nemici nei territori periferici del comune fiorentino, «maxime omnipotentibus et nobilibus viris Ubertis, Fifantis, Bogolesiis necnon cum aliis pluribus ghibellinis et rebellibus extrinsecis», cioè guelfi bianchi fuorusciti. I priori di febbr.-apr. 1313 concedono porto d’armi «infrascriptis guelfis civibus florentinis specialibus amatoribus et defensoribus guelfe partis…, maxime ratione qua a gbibellinis generaliter et ab inimicis populi et comunis florentini et guelfe partis precipue hodiantur» (ASF, S. Maria Novella 19.III.1312/3). L’abuso della terminologia politica dilaga nel formulario delle condanne del 1302 raccolte in un libro di Parte Guelfa (intendi guelfi neri): ASF, Capitani di parte guelfa, numeri rossi 20, Libro del chiodo pp. 1-77. Bartolo da Sassoferrato scriverà a metà ’300 sull’uso e significato di guelfo-ghibellino: «Hodie vero nomina predicta durant propter alias affectiones. Videmus enim quamplures qui Guelphi vocantur esse rebelles Ecelesie, et alios quamplures qui Gebellini vocantur esse rebelles imperii». «Secundum dicta nomina hodie accipiuntur, potest quis in uno loco esse Guelphus et in alio Gebellinus; quod patet quia dicte affectiones sunt circa diversa. Pone quod in una civitate sit tyrannus, qui cum sua secta dicitur Guelphus, cui affectioni aliquis bonus homo est adversus, quia adversatur omni tyranno: iste in illa terra dicitur Gebellinus. Et in alia civitate non dependente ab illa ponatur unus tyrannus Gebellinus; certe ille bonus homo adversabitur illi tyranno et ibidem erit Guelphus» (De Guelpbis et Gebellinis, ed. D. Quaglioni, Firenze 1983, 134, 135-36). Ma lo sfaldamento semantico è di molto anteriore a Bartolo. È vero che «alla fine del secolo xiii parlare di guelfi e ghibellini, specialmente a Firenze, non ha più significato» (G. Pampaloni, Guelfi e ghibellini, ED III, 307a), ma quando fonti coeve continuano a servirsi dei termini, individuare i significati nuovi dissimulati dai termini vecchi potrebbe permettere di ricucire linguaggio politico con fatto politico.
Conosciamo quattro figli di Spinello detto Mazza: Mazzino, Lapaccio, Feo e suor Lapa.
«In ecclesia Beati Stefani ad Pontem» 6.VII.1305 tra i testi «Macçino Macçe dicti populi» (ASF, Notar. antecos. 8910, f. 22v).
«Lapaccius filius Mazze Girolami» è a Merano il 20.VI.1306 (R. Davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz IV, Berlin 1908, 335); figli di Lapaccio: «Giovanni di Lapaccio de’ Girolami,
popolo S. Stefano a Ponte» (Stefani rubr. 675: anno 1358), «Andrea del fu Lapaccio Girolami» tra i fattori della compagnia Bardi nel 1330-38 (A. Sapori, Studi di storia economica, Firenze 1955, 731).
«Feo del Mazza Girolami» è documentato in A. Sapori, I libri di commercio
dei Peruzzi, Milano 1934, 42, 206, 338, anno 1326; figlio di quest’ultimo potrebb’essere «Mazza di Feo Girolami» fattore della compagnia Bardi 1315, morto ad Avignone 15.V.1318 (Sapori, Studi di storia 747).
Suor Lapa di Mazza, figlia cioè di Spinello di Lapo di Spinello, è domenicana del monastero San Iacopo a Ripoli (in questi anni già trasferito in città, via della Scala): «Lape Mazze de Girolamis» in atto capitolare del monastero, 4.IV.1307 (ASF, Notar. antecos. 3141, ff. 37r-38r: tot. 36 capitolari) e 14.V.1315 «Lape de Ierolimis» (Quel che la cronaca..., MD 18 (1987) 307, 308, alla data).
■ Del medesimo ceppo di Santo Stefano a Ponte: «Feus condam Iacobi de Gerolamis populi Sancti Stephani ad Pontem» vende a «Cino condam Bonromani de Gerolamis dicti populi», fideiussore «Spinellus condam Raynerii de Gerolamis», metà per indiviso d’un terreno di 13 staiora e 3 panora (pari a poco meno di m2 7.000) sito in San Giorgio d’Arcetri per il prezzo di l. 371 f.p. (ASF, Riformagioni 20.VI.1280). Vasta attività di credito di Feo di Iacopo e Spinello di Ranieri in Monselice (Padova) negli anni 1281-84 (ASF, Riformagioni 8.X.1281: questa la segnatura d’archivio, ma l’ultima cifra del millesimo è caduta per lacerazione della pergamena; l’atto suppone il 25.V.1284, ultima data nella lista dei crediti, e potrebb’essere dell’8.X.1284). Feo di Iacopo è teste in atto di mutuo (ASF, Notar. antecos. 4111, f. 186: 29.IV.1297), di dote (ASF, Riformagioni 29.I.1299/300), paga 20 fior. d’oro nell’imposta dei 20.000 fiorini del 1306 (BNF, Magl. XXV.44, ff . 24v-25r); suoi figli dovrebbero essere «Spinello di Feo Girolami» fattore (1335-39) della compagnia Peruzzi (Sapori, Studi di storia 729) e «Iacobus Fey Girolami» ufficiale di moneta per l’arte di Calimala in nov. 1351 - apr. 1352 (M. Bernocchi, Le monete della repubblica fiorentina I, Firenze 1974, LX), ammonito da parte guelfa 7.V.1360 (Stefani rubr. 686). Spinello di Ranieri (v. sopra, 20.VI.1294) gonfaloniere di giustizia ott.- dic. 1296 (Stefani rubr. 210), il 9. IV.1301 vende una casa sita in Santa Felicita d’Oltrarno al prezzo di l. 270 f.p. (ASF, Notar. antecos. 19164, f. 93r-v).
■ Com’è stato già ricordato, i Girolami avevano il giuspadronato della cappella dedicata a san Zanobi nella chiesa Santo Stefano a Ponte. Verde, Lo Studio Fiorentino. Sopravvive oggi il vicolo detto «Volta Girolami» presso Santo Stefano a Ponte, tra via Lambertesca e Lungarno degli Archibusieri a piè di Ponte Vecchio; «Canto de’ Girolami» all’inbocco di via Lambertesca.
Torniamo ai Girolami di San Pancrazio e al ceppo di Salvi del Chiaro.
Popoloso borgo San Pancrazio (San Brancazio, in volgare; una branca nel vessillo del sesto! Per lo studio Tav. VIII), settore occidentale della città, incluso dalla penultima cinta di mura di fine XII secolo, a ridosso di Santa Trinita. Abate del monastero vallombrosano di San Pancrazio dom Gregorio: ASF, S. Pancrazio 22.IX.1291; 27.IV.1313; cf. ASF, Notar. antecos. 11484, f. 72v (12.II.1308/9). Territorio parrocchiale di San Pancrazio posteriormente incorporato in quello di Santa Trinita. F. Sznura, L’espansione urbana di Firenze nel Dugento, Firenze 1975, 70-73; C.C. Calzolai, La chiesa fiorentina, Firenze 1970, 137-38. Oggi la già chiesa San Pancrazio (piazza omonima) restaurata e adibita (dal 1988) a Museo Marino Marini.
Tre i figli di Salvi del Chiaro: Girolamo, Chiaro detto anche Chiaruccio, e Mompuccio detto anche Mompi. La loro attività pubblica si estende dal 1283 al 1302, quando sono condannati al confino; gli anni più floridi della Firenze tardomedievale, «ricca di proibiti guadagni» (Compagni), e della sua massima crescita economica e demografica; gli anni in cui la città perfeziona la subordinazione del contado e dei distretti e rafforza la supremazia sugli altri comuni toscani. Sulle tracce del padre (priore per ben sette volte), i tre figli di Salvi confermano nell’ultimo ventennio del secolo la vivacità sociale della famiglia occupando le cariche pubbliche al massimo della frequenza consentita dagli ordinamenti fiorentini, e tuttavia mai varcando la soglia d’una potenza economico-politica che le misure antimagnatizie del 1293-95 avrebbero irrimediabilmente colpito. Il loro ruolo pubblico anzi si fa più spiccato negli anni cruciali della storia della città: quelli del governo popolare di Giano della Bella e quelli della supremazia dei bianchi di fine Dugento e inizio Trecento. In quei medesimi anni fanno esperienza politica Dante Alighieri e Dino Compagni. Con loro saranno travolti dagli eventi del 1302.
La documentazione sui tre fratelli verte prevalentemente sulla vita politica (documentazione assicurata dalle Consulte), mentre poco sappiamo della loro attività mercantile e dell’esatta consistenza patrimoniale, su cui abbiamo notizie frammentarie da fonti disparate e occasionali. Il loro peso politico comunque è notevole entro il ceto del popolo grasso e delle corporazioni delle arti maggiori, e s’infittisce significativamente negli anni 1290-95, anni dell’allargamento della base sociale del potere politico propiziato dagli Ordinamenti di giustizia e misure antimagnatizie. Girolamo appare, dei tre, il più autorevole, interviene frequentemente nei consigli opportuni (spesso sul delicato meccanismo d’elezione dei nuovi priori); la sua opinione riscute più d’una volta il consenso degli altri arringatori ed è votata dalla maggioranza.
■ Girolamo di Salvi del Chiaro. Membro del consiglio del comune, 1278 (Delizie IX, 55); 22.II.1280 giura come guelfo per il sesto San Pancrazio la pace del card. Latino (La pace 243; agli autori di Detentori 163 sfugge che sono ben tre i Girolami che giurano come guelfi la pace 1280: mr Alberto di Leone, Lapo di Girolamo e Girolamo di Salvi, dal che il giudizio sul guelfismo della famiglia dato a p. 304). Nei consigli: 20.II.1281/2; 29.IX.1282; 29.X.1282 (Consulte I, 67, 102, 114). Teste in atto di restauro e divisione d'un palazzo dei figli «condam d. Gherardi Veceris» e «condam d. Iacobi Veceris de Tornaquincis» (ASF, Coperta di libri 16.VIII.1286). Priore febbr.-apr. 1288 (Stefani rubr. 174; il titolo di questa rubrica va corretto «... da mezzo dicembre 1287 a mezzo dicembre 1288»: cf. priori dic. 1287 - fabbr. 1288 in ASF, S. Maria Novella 16.I.1287/8). Consiglio 12.X.1290: tra gli eletti dai priori a riformare, con Dino Compagni e Geri di Cardinale e altri, gli ordinamenti della gabella (Consulte I, 478). Priore in apr.-giug. 1291 (Stefani rubr. 188). Ancora nei consigli: 23.I.1289/90 (Consulte I, 351); 22.XI.1290 (I, 503); 25.VI.1292 (II, 194); 28.VII.1292 (II, 203); 14.VIII.1292 (II, 317); 11.X.1293 (II, 432); 13.X.1293 (II, 325); 29.I.1293/4 (II, 347); 24.IV.1294 (II, 404); 14.IV.1294 (II, 413); 26.VII.1294 (II, 419); 6.X..1294 (II, 432); 14.XII.1295 (II, 511: su procedura dell’elezione dei priori, dopo Girolamo, prendono parola Dino Pecora e Dante Alighieri). Tra gli ufficiali e operai dell’opera Santa Reparata per il comune, 6.XII.1296 (G. Pampaloni, Firenze al tempo di Dante. Documenti sull’urbanistica fiorentina, Roma 1973, 61; cf. Delizie IX, 339). «Ierolamus filius olim Salvi de Chiaro populi Sancti Pancratii… pro se et etiam pro Claro et Mompuccio fratribus suis et filiis olim dicti Salvi del Chiaro» vende, al prezzo di 600 fiorini d’oro, terreno di 20 staiora a corda (= poco più di ettaro 1, essendo staioro 1 = m2 525) sito nel popolo di Santa Lucia d’Ognissanti, confinante con altri possedimenti dei tre fratelli: «In populo Sancte Lucie Omnium Sanctorum prope flumen Mugnonis» 11.VIII.1299 (Arch. Capitolo del Duomo di Firenze, Pergam. 189 (1299 D), cassa 22; cf. Lami, Sanctae ecclesiae florentinae... III, 1670; la vendita è ricordata in docc. del 1310: Lami III, 1677-78). Girolamo possedeva altri terreni nel popolo Santo Stefano in Pane (zona Rifredi) e altrove, come dirà il testo del ricorso del figlio Elippo. Priore 15 ott. - 7 nov. 1301 (Consigli II, 696; Stefani rubr. 224 e 229). Consiglio generale 28.X.1301: «Proposuit Girolamus Salvi de numero dd. priorum, in presentia et voluntate consotiorum suorum dd. priorum et vexilliferi, propositionem I [super quibusdam ordinamentis nuper editis pro tranquillo statu comunis Florentie et pro seductionibus evitandis; que ordinamenta valeant usquequo princeps Karolus, olim regis Francie filius, venerit et steterit in civitate Florentie] (Consigli I, 33 e 34).
L’intensa attività di Girolamo nei consigli porta frutti nel priorato, occupato in quegli anni, oltreché dal padre Salvi, dal fratello Chiaro. Mentre Mompuccio, verosimilmente molto più giovane dei fratelli, fa la comparsa tardivamente; due soltanto i suoi priorati; nel primo è firmatario degli Ordinamenti di giustizia; risulta inoltre impegnato nella Società Maggiore della beata Vergine.
■ Chiaro di Salvi del Chiaro. «Mandai a Pisa (…). E cinque kangnetti, ke gl’èi a baratto da Kiarucio di Salvi de’ Girolami: fuorono kanne 1 e u· bracio; ragionai la kanna s. xxij a picioli; somma lb. lv e s. v» (dal conto delle mercanzie di Pisa di Stefano dei Soderini, 1.VII.1278: in Castellani, Nuovi testi fiorentini 464). Membro del governo dei Quattordici per il sesto San Pancrazio, 30.I.1282/3: «Chiaruccius Salvi del Chiaro» (Consulte I, 137). Priore ag.-ott. 1287, giug.-ag. 1290, febbr.-apr. 1294, febbr.-apr. 1297 (Stefani rubr. 170, 185, 207, 210 bis). Nei consigli: 24.XI.1292 (Consulte II, 223); 13.IV.1293 (II, 299); 12.VIII.1295 (II, 473); 26.XI.1295 (II, 504); 14 e 16.IX.1296 (II, 542); 1.I.1297/8 (II, 600); 11.IV.1298 (II, 629); 11.IV.1298 (II, 630); 1.IX.1301 (Consigli II, 26). Nel 1296 era stato degli ufficiali «ad recuperandum iura comunis» (Delizie 1X, 336). In quest’ultimi docc. appare sempre nella forma «Chiarus». Nota sugli antroponomi diminutivi quanto scrive Remigio: «Circa primum nota quod pueri a principio consueverunt nominari nominibus diminutis et mutilatis, pura Iacopellus et Rossellus; sed quando iam facti sunt magni et in etate completa nominantur nominibus integris, pura Iacobus et Rossus» (cod. D, f. 394vb).
■ Mompuccio di Salvi del Chiaro. Priore dic. 1292 - febbr. 1293 (Stefani rubr. 197); durante questo priorato sono emanati (18.I.1293) gli Ordinamenti di giustizia contro i magnati, di cui è firmatario anche Mompuccio (ed. G. Salvemini, Magnati e popolani…, Firenze 1899, 394 ss). Il 29.III.1299, 14.V.1299 e 18.VI.1299 in atti della Società Maggiore della beata Vergine appare, con Villano di Stoldo padre dei cronisti Giovanni e Matteo Villani, rettore della medesima (ASF, Notar. antecos. 2963, f. 20r: «Mompuccius Salvi de Claro»; ASF, Notar. antecos. 2962, f. 54r: «Mompi del Chiaro»; ASF, Notar. antecos. 2963, f. 22r-v: «Mompi Salvi condam Clari»). Ancora priore ag.-ott. 1300 (Stefani rubr. 211 bis). Già Davidsohn IV, 185 n. 2 aveva notato che l’ordine dei priorati in questa rubrica dell’ed. Stefani è errato (gli sfugge però ib. IV, 295); la quarta serie incipiente con «Nagio di Nagio» va collocata al secondo posto; lo conferma ASF, Cerchi 12. IV.1299 (segnatura errata per 12.IV.1300) che dà priori febbr.-apr. 1300, e ASF, Passignano 6.XII.1300 che dà priori ott.-dic. 1300; corretto ordine in Delizie X, 12-14. ASF, Bigallo 5.VI.1250-29.V.1328 a quaderno, f. 7r (11.IX.1301) «Monpuccius olim Salvi del Chiaro» acquista terreno nella pieve di Sesto per la Società di Santa Maria. Nel censimento delle pensioni ai fini della gabella, novembre 1305, Mompuccio risulta locante nel popolo Santa Lucia d’Ognissanti: «Monpuccius Salvi del Chiaro habet domum cum cultu cui a j° via a ij° fluminis Munionis a iij° dominarum Sancte Caterine, quam domum et cultum tenet Bencinus Iacobi et solvit annualiter pro pensione l. 36 f.p.» (ASF, Estimo 1, p. 106).