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 6. Il Riccoldo del «Dittamondo» (1350-60)

Guidato dal geografo latino C. Giulio Solino (sec. III-IV d.C.) lungo la costa mediterranea e giunto a Tripoli, Fazio degli Uberti vuol sapere di Muhammad e dell’islâm. Ai due immaginari viaggiatori appare «in abito di frate un vecchio e magro». È Riccoldo (IX, 112), fiorentino di nascita (IX,100-02), cui Solino cede la parola perché soddisfi le curiosità di Fazio.

Fazio degli Uberti, Dittamondo V, IX, 87: Il Dittamondo e le rime, ed. G. Corsi, 2 voll., Bari 1952. Riccoldo in libro V, cc. IX-XIV (vol. I, 364-76): si citerà d’ora in poi capitolo e versi, sempre libro V; commento dell’editore in vol. II, 330-33.

Che cosa conosce il poeta Fazio degli Uberti (n. Pisa 1305-09, † Verona post 1367) di Riccoldo?

Preso giovanetto l’abito del beato Domenico (IX, 103-05), Riccoldo dice di sé:

    In vèr Ierusalem poi mossi i piedi;

apresso questo, in Arabia discesi

dove di Caterina il corpo credi (IX, 106-08).

In nessun luogo Riccoldo dice d’aver visitato il Sinai e la tomba di santa Caterina martire; ma la cosa non meritava eccessiva sorpresa:

U. Monneret De Villard, La vita, le opere e i viaggi di frate Ricoldo da Montecroce O.P., «Orientalia Christiana Periodica» 10 (1944) 273 n. 2; Id., Il libro della peregrinazione 100. «E di quindi partendoci dalla via di Giosaffa discendemo in Egitto...» ha l’edizione del volgarizzamento trecentesco del Liber peregrinationis: Fineschii, Itinerario 44; «E di quindi partendoci da la valle di Giusaffà, disciendemo in Gierico... » nell’ediz. Polidori e altri (Siena 1864) p. 11. «Inde de valle Iosaffat descendimus in Ierico...» ha l’originale latino LP f. 3ra. Ma mancano indizi che Fazio conoscesse il LP.

Fazio - come vedremo - mette in bocca a Riccoldo (fa così anche con Solino) sia quanto riscontrabile negli scritti del frate fiorentino, sia quanto Riccoldo né ha scritto né ha voluto scrivere (le leggende volgate, ad esempio, del chierico in rotta con la curia romana o del monaco Sergio all’origine della predicazione di Muhammad). Riccoldo persona dramatis dà voce alla breve somma di quanto Fazio sa della lex sarracenorum, anche da fonti estranee a Riccoldo.

L’incontro dei tre avviene in Tripolitania, da dove poi, secondo il Dittamondo, Riccoldo s’imbarca per far ritorno a Firenze. Fazio accomoda il tragitto di Riccoldo a quello immaginario del Dittamondo.

    L’arabico linguaggio quivi appresi;

la legge Alcoran di Macometto

di punto in punto per latin distesi (IX, 109-11).

Le notizie sono del Contra legem Sarracenorum prol. 56-63. Più esattamente Riccoldo dice che iniziò a tradurre il Corano, poi tediato abbandonò l’impresa. È il CLS comunque l’opera riccoldiana che Fazio certamente conosce e utilizza; il «volume» cui Fazio accenna nell’intervento in prima persona:

    l’anima mia, che per lunghe spazia

bramosa è stata del vostro volume,

piacciavi che per voi or ne sia sazia (X, 7-9)

sulla memoria del più illustre incontro Dante/Virgilio: «vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore / che m’ha fatto cercar lo tuo volume» (Inf. I, 83-84).

Riccoldo espone la carriera di Muhammad, ma le numerose terzine X,19-69 non sono materiale riccoldiano bensì delle più volgate leggende del Maometto latino: Sergio monaco e la colomba, il chierico Nicola, il prelato in rotta con la curia romana. A disposizione di Fazio in fonti latine e romanze d’ampia circolazione. La più digulgata la Legenda aurea c. 181 (ed. Th. Graesse, rist. Osnabrück 1965, 827-29) di Iacopo da Varazze († 1298), che rende quasi perfettamente ragione di quanto Fazio fa dire a Riccoldo, sebbene le regole versificatorie impongano rielaborazione del prestito letterario.

Taluni brani di Iacopo li si ritrovano nell’enciclopedista Vincenzo da Beauvais, Speculum historiale XXIII, 39 (ed. Douai 1624, 912-13), che a sua volta trascrive Ugo da Fleury (XII s.). Dittamondo X, 25-30: «Ne la sua giovinezza andò per fante, / e per Egitto e per più luoghi strani, / a guida de’ cammei d’un mercatante. / Così, cercando a torno per quei piani, / lo Vecchio e ’l Nuovo Testamento apprese, / usando con Giudei e con Cristiani»; Legenda aurea 828/16-19: «nam cum in prima aetate mercimonia exerceret et apud Aepyptum et Palaestinam cum camelis pergeret, cum christianis et Judaeis saepe conversabatur, a quibus tam novum quam vetus didicit testamentum».

A Riccoldo invece va rimessa, a motivo della corrispondenza cronografica anno 626, la terzina che introduce la sezione:

     Negli anni de la grazia del Signore

secento venti sei fu Macometto

al tempo di Eraclio imperatore (X, 16-18).

CLS 13, 29-32: Deuicto igitur Cosdrohe... anno Domini sexcentesimo uigesimo sexto, Eraclii autem anno quinto decimo, surrexit Mahometus arabs.

Gli aggettivi «nascosa e priva» riferiti alla legge del Corano (X, 55) suggeriscono il richiamo a «obscura, truncata, inordinata» di CLS 13, 83.

Dopo gl’informatori cristiani, i primi seguaci arabi; e qui Fazio segue il CLS:

    e i sette arabi e suoi amici adesso:

di questi dicon che lo Spirto santo

gli alluminava del suo lume stesso.

    Li primi tre, ai quali dan più vanto,

fun Naphe con Amer e Elresar;

gli altri seguir ciascun com’io ti canto:

    lo figliuol di Cethir, io dico Asar,

nomâr lo quarto e, similemente,

Eon lo quinto, Omra e poi Amar.

    In fra gli altri più grandi di sua gente

funno poi Abidalla e Baora,

Adian, Salem con la magica mente (X, 70-81).

Si tratta incontestabilmente di CLS 13, 50-55 e 13, 31-44 (a sua volta prestito dalla Contrarietas alpholica), sebbene Fazio tradisca l’impaccio nel manovrare l’inusuale onomastica. Di magia (X, 81) qui Riccoldo non fa menzione, ma vi fa riferimento in CLS 15, 288-89, tema peraltro costante nella leggenda volgata. C’è da notare semmai che Fazio, una volta introdotti il monaco Sergio, Nicola e il «calonico» del papa (X, 67-69) all’origine della simulata profezia muhammadiana, sfoca del tutto la figura del giacobita Bahira, l’unico che in Riccoldo svolge il ruolo d’informatore di Muhammad.

Non si ritrova in Riccoldo «quaranta anni» (X, 88) della carriera del fondatore dell’islâm, mentre la morte per veleno, comune alle fonti latine, potrebbe richiamare, a motivo di «per quel che si disse» (X, 90), il «Narrant etiam...» di CLS 13, 75, o il «Tenent etiam...» di CLS 15, 290, preceduto a sua volta da «Fertur etiam quod ipse...» (CLS 15, 288).

Perché la proibizione della carne porcina e del vino?, vuol sapere Fazio (XI, 7-12). La lunga risposta di Riccoldo (XI, 22-74) è tutta del Contra legem. È preceduta da un’affermazione più generale:

    Dico: del vecchio e nuovo Testamento

e di più sètte Macometto volse

avere al suo poter lo ’ntendimento.

    Poi di ciascuna più e meno tolse,

come a lui piacque, e quello, apresso, lega

ne l’Alcorano, che di tutte sciolse (XI, 16-21);

tema anch’esso ricorrente nelle fonti comuni, ma che potrebbe aver presente CLS 1, 4-6: «Et sciendum quod omnium antiquorum hereticorum feces, quas diabolus in aliis sparsim seminauerat, simul in Machometum reuomuit» (si vedrà più in là che CLS c. 1 è certamente sotto gli occhi di Fazio); CLS 13, 19-20: «cogitauit per fictionem cuiusdam legis, quasi medie inter nouam et ueterem, decipere mundum».

Segue la fabulosa ragione della proibizione della carne porcina (XI, 25-39) che mette in versi CLS 9, 232-43; «nel libro che tratta De narratione» in Dittamondo XI, 27, «in libro Narrationum Machometi» in CLS 9, 224; è la Doctrina Machumet della collezione toledana, da cui Riccoldo trascrive. Vino:

    Dànno la colpa al vin, non a colui

che ne bee troppo; ché ’l vin per sé è sano,

chi l’usa come de’, ne’ cibi sui (XI, 49-51)

suggerisce CLS 8, 277-82, dove tra l’altro è detto: «cum uinum non sit de se simpliciter malum, sufficiebat uitare solam ebrietatem».

 La poetica favola dei due angeli ubriachi caduti in peccato di lussuria con la donna trasformata in stella Lucifero (XI, 55-74) è di CLS 4, 71-82. Ma Fazio commette un errore che ben tradisce l'approssimazione delle sue informazioni: fa dire a Riccoldo che è scritto «quel ch’ora ti dirò ne l’Alcorano» (XI, 54), quando CLS 4, 71-72 è formale nel dichiarare: «Item ipse Machometus in libro narrationum reddit causam quare uinum sit illicitum», cioè nella Doctrina Machumet, che CLS compendia. Di suo Fazio inserisce la descrizione della bellezza dei due angeli (XI, 58-60), assente sia nel CLS che nella Doctrina Machumet. «Nel pozzo in Babillona» di Fazio XI, 71 ricalca «in puteo Babilonis» di CLS 4, 81-82, anziché «in puteo bebil» di Doctrina Machumet.

Che cosa dice Maometto di Cristo?, chiede Fazio. Al che Riccoldo:

    Sommo profeta, santo e felice,

pien di virtù, de la Vergine nato

senza padre: e questa è la radice.

    Ancor più, ch’uomo il confessa beato;

figliuol di Dio non vuol dir che sia:

con Ario se ne va da questo lato (XI, 82-87).

CLS 1, 10-13: Et sic uidetur ipsa anima et ipse Christus alterius essentie a Deo et Deo minor et ei subiectus. Et in hoc conuenit cum Arrio et Eunomio qui ponebant Christum puram creaturam, licet excellentissimam; 1, 26-27: Macometus itaque ponit Christum hominem sanctissimum et uirtuosissimum super omnes alios homines; 1, 35-37: Hec igitur prolixius exposui ut manifeste sciatur quod illud quod diabolus in mundo incepit per Arrium sed consumare non potuit, postea tepescente in ecclesia feruore et crescente malicia per Machometum compleuit; 1, 41-43: Summa uero intentio Machometi est quod Christus nec Deus nec Dei filius, sed homo quidam sapiens et sanctus et propheta maximus sine patre et de uirgine natus. Et in hoc conuenit cum Carpocrate heretico.

    Commenda il Salterio, Iob e Elia;

ma, sopra tutto, di Cristo il Vangelo,

le sue parole e la sua buona via (XI, 88-90).

CLS 1, 93-94: Ipse tamen multum commendat psalterium et alios prophetas et Iob et legem Moysi. Sed super omnia alia commendat euangelium Christi; 15, 209-12: Machometus frequentissime in alchorano commendat legem Moysi et Iob et Dauid et dicit «psalterium librum luminosum» et super omnes alios libros commendat euangelium in quo dicit quod est «salus et directio»; 15, 249-51: maxime cum ipsum alchoranum commendando Moysen et Dauid et Salomonem et alios prophetas frequentissime dicat quod non prefert unum alteri.

Nei versi di Fazio non compare «lex Moysi». Elia sta per i profeti; il suo nome ricorre in CLS 15, 262-63 in rapporto a III Reg. 18, 21, a cui è ispirato Cor. 37, 123-30 che inserisce Elia tra i profeti. Esigenze di versificazione? Elia rima con sia (XI, 86) e con via (XI, 90).

Incoraggiato da Solino, Fazio chiede ulteriori informazioni sulla «legge di Macometto» (XII, 16-18). Il c. XII, 19-81 espone credenze costumi obblighi cultuali del musulmano. Il grosso non proviene da Riccoldo, ma più verosimilmente da fonti meno specialistiche. La Legenda aurea di Iacopo da Varazze († 1298) potrebbe aver offerto a Fazio l'intera materia di questa sezione. Un solo esempio:

   Come noi ci volgiamo, per segnarsi

e per orare, in verso l’oriente,

sì come per le chiese nostre parsi,

    ed il Giudeo adora in vèr ponente,

la legge vuol del Saracino ancora

che verso il mezzodì pongan la mente.

    E come la domenica s’onora

per noi con celebrarla e farne festa,

e ’l sabato il Giudeo, che non lavora,

    similemente la feria sesta

 ordinò Macometto riverire,

come ne l’Alcoran si manifesta (XII, 46-57).

Legenda aurea c. 181, p. 830: quia Judaei versus occidentem et christiani versus orientem orabant, voluit ut sui versus meridiem orarent; p. 829: sexta feria apud Saracenos in magna veneratione habetur, sicut apud Judaeos sabbatum et apud christianos dies dominica colitur.

Ma almeno tre brani, dal contenuto più specifico, vanno anche qui ricondotti a Riccoldo:

    Comanda espresso qual non vuo’ obbedire

a Macometto, o tributo non renda

al Saracino, che debba morire (XII, 22-24).

CLS 1, 78-79: Dicit etiam occidendos omnes qui non credunt suam legem, nisi soluant tributum; cf. anche CLS 6, 34-37; 8, 105-06; 10, 20-24; 12, 16-17: Ipsos autem infideles precipit occidi nisi soluant tributum.

    Sacerdoti hanno, per li qual si spone

l’Alcorano e odi cosa cruda

ch’usan, se fanno predica o sermone:

    tengon, dicendo, in man la spada nuda:

- La legge a morte o a tributo condanna

 qual d’obbedir Macometto si escluda -.

    Dritta la pongon poi sopra una scranna,

in atto come voglian minacciare

ciascun che ‘l parlar lor dispregia o danna (XII, 61-69).

CLS 10, 80-83: Secundum signum est uiolentie predicte quia quando ipsi conueniunt ad predicationem et ut lex exponatur eis, magister Saracenorum qui debet proponere uerbum, primo denudat ensem et denudatum tenet in manu dum predicat, uel ponit in loco eminenti, ad terrorem.

Luogo parallelo del Liber peregrinationis: «Nam ipsi omni sexta feria, hora nona, congregantur ad orationem et expositionem legis; sed antequam predicator incipiat, exerit ensem et ponit evaginatum in loco eminenti ut ab omnibus videatur in signum quod per ensem incepit lex illa et per ensem terminabitur» (LP f. 22rb). Ma Fazio non legge nel Liber peregrinationis; «se fanno predica o sermone» e «sacerdoti» suppongono «conveniunt ad predicationem» e «magister Saracenorum» del CLS.

    Dicon che disse, nel lor predicare,

Macometto: - Quanto fia la vittoria

de l’arme, in noi la legge de’ durare.

    E quanto durerà la nostra gloria

nei beni temporal, tanto, per fermo,

lucerà chiara la nostra memoria.

    Non son mandato al mondo col mio sermo

a far miracol, ma venni in virtute

de l’arme e queste usate a vostro schermo - (XII, 70-78).

CLS 10, 71-72: Macometus dixit eis quod tantum duraret lex illa quantum duraret eis uictoria armorum et potentia temporalis; 1, 99-101: Ad hec autem omnia credenda, non ostendit miraculum, sed nudauit ensem; et ait se missum fuisse a Deo non in uirtute miraculorum sed in uirtute armorum; 7, 23-24: ideo non permittit me Deus facere miracula: non enim crederent; sed ueni in uirtute armorum.

Segue descrizione del paradiso islamico. I versi XII, 82-93 sono materiale del Libro della scala, come espressamente dichiarato in XII, 94: «Ancor nel libro suo, che Scala ha nome». Quale che sia, tra le molteplici recensioni e traduzioni del Libro della scala, quella utilizzata da Fazio, e se direttamente o indirettamente, molti dettagli li si ritrovano lì, non nei più sommari testi riccoldiani: CLS 8, 145-49. 154-64.

Così anche E. Cerulli, Il «Libro della Scala», Città del Vaticano (Studi e Testi 150) 1949, 355-56; dissente G. Corsi editore del Dittamondo, vol. II, 332-33, che rimette tutto a Riccoldo, conosciuto nella retroversione dal greco. Restringo la questione a XII, 82-93, ché per gli altri versi certamente bisogna chiamare in causa il CLS. Cito il Libro della scala nell’ed. Cerulli, op. cit., pp. 25-225, con indicazione del paragrafo.

I fiumi di latte miele e vino (XII, 85) sono in Libro della scala § 81; alle «chiare fontanelle» (XII,86) rispondono «fontes pulcriores et clariores» (§ 96); «canti dolci e fini» (XII, 87): «cantant ita bene, ita clare ac dulciter» (§ 87); donne, giovinetti e donzelle (XII,88-90): «domine» (§ 86-88), «pueri» (§ 97), «domicelle» (§ 87, 90); «vergognose e vezzose» (XII, 90): «pulcritudine excellentes» e «verecunde» (§ 87-88). Niente di tutto questo in Riccoldo, se non «puellas uerecundas et pulchras» CLS 8, 147-48.

Taluni di questi elementi, con meno precisi riscontri, anche nella descrizione del paradiso nella Legenda aurea c. 181, p. 831, che incorpora due brani dei Dialogi di Pietro d’Alfonso († 1140).

Riccoldo va chiamato in causa nei versi immediatamente successivi:

    Ancor nel libro suo, che Scala ha nome,

dove l’ordine pon del mangiar loro,

divisa e scrive qui ogni buon pome.

    Vasellami d’ariento e d’oro,

dilicate vivande e dolci stima

su per le mense, ove faran dimoro.

    De le vivande, dice che la prima

iecur, fegato, è e pesce apresso,

poi albebut, che d’ogni cibo è cima (XII, 94-102).

CLS 8, 148-49: ... scyphos aureos et argenteos discurrentes per mensas, comestibilia optima; 8, 150-54: In libro autem de Doctrina Mahometi, qui est magne auctoritatis, exponit ordinem comestionum, et dicit quod primum ferculum quod proponetur ibi erit iecur piscis Albebuth, cibus summe delectabilis, et postea succedent fructus arborum.

Non solo Fazio serve in due (sembrerebbe tre) piatti distinti il fegato del pesce albebut, ma pasticcia nell’uso delle fonti a sua disposizione: dal Libro della scala aveva attinto quanto precede; mentre quanto annunciato «nel libro suo, che Scala ha nome», non lo si ritrova che in Rìccoldo, il quale trascrive a sua volta dalla Doctrina Machumet.

L’autore del Dittamondo non aveva mai sentito parlar sì chiaro di Maometto (XIII, 10-12), cosicché approfitta per togliersi un’ultima curiosità: Maometto ha mai operato miracoli? Qui (XIII, 16-54) la fonte è esclusivamente CLS: c. 7 (Quod lex Sarracenorum non est confirmata miraculis); 15, 301-07 (reintegrazione della luna scissa); 14, 5-54 (viaggio notturno di Muhammad in cielo); 9, 222-24. 228-31 per XIII, 43-54, dove però mentre Riccoldo parla di commento a testi coranici e dichiara la propria fonte Doctrina Machumet, Fazio più sbrigativamente: «Ancor ne l’Alcoran, ch’io ti ragiono, / truovo che disse...» (XIII, 43-44).

I viaggiatori sono presso Tripoli (XIV, 1). Soddisfatte le curiosità di Fazio, Riccoldo s'appresta a salpare per Firenze, «dove ripara / ne la bella città la gente mia» (XIV, 11-12).

    Così quel frate onesto e pellegrino,

dicendo addio, a man sinistra prese,

dritto al mare Adriano, il suo cammino (XIV, 16-18).

Il Contra legem Sarracenorum (l’unico scritto riccoldiano conosciuto nel Dittamondo) si è già imposto se Fazio ne sceglie l’autore come guida all’islâm (in quegli stessi anni Demetrio Cydones lo traduceva in greco). Ma il bagaglio delle conoscenze di Fazio ripiega verso il Maometto della leggenda latina e letteratura favolistica. Il nucleo centrale lo si leggeva nelle compilazioni vulgate: Speculum historiale di Vincenzo da Beauvais († 1264) e Legenda aurea di Iacopo da Varazze († 1298). La descrizione del paradiso suppone il Libro della scala. Per il resto non vi sono elementi, nel Dittamondo, che esigano letture più tecniche; neppure i testi raccolti nella fortunata Collezione toledana. Il tutto è messo in bocca a Riccoldo, il quale se utilizza abbondantemente la Contrarielas alpholica e la Doctrina Machumet per alimentare la propria polemica, talvolta anche l’ironia, tace sia le leggende volgate degli informatori di Muhammad sia la lussureggiante descrizione del paradiso islamico del Libro della scala. Il resto viene a Fazio dal Contra legem di Riccoldo. E anche qui la selezione dei testi è guidata in direzione del negativo e fabuloso. Non una sola citazione coranica, delle molte di CLS, passa al Dittamondo. Fazio inoltre sembra incapace di controllare e distinguere le fonti di volta in volta utilizzate da Riccoldo, anche quando dichiarate. Due volte rimette al Corano quanto Riccoldo preleva dalla Doctrina Machumet.

Scialbo infine il ritratto del frate fiorentino: «vecchio e magro» (IX, 87), disponibile «con benigno zelo» (XI, 91), «onesto e pellegrino» (XIV, 16). Il sanguigno Riccoldo delle Epistole ad ecclesiam triumphantem, il polemista acuto e tendenzioso insieme del Contra legem, incline a intemperanze e sortite presuntuose (v. sopra CP Perugia 1316), riveste il saio della convenzione. Il veccio frate saggio e venerando (i cavalieri erranti del ciclo d'Artù non s’imbattevano nel romito dai medesimi tratti?); che ha il piacere del racconto, fors’anche della favola.


L’editore del Dittamondo, vol. II, 332-33 n. 2, menziona anonimo poema trecentesco, d’imitazione dantesca, in cui si legge:

    Ma chi ben vuol veder com’egli [Maometto] è vano

e contradice al vero in molti modi,

a legger ponga un pochettìn la mano

    al libro che dettò con tanti prodi

frate Riccoldo, che lo studiò tutto

e sciolse d’esso tutti quanti i nodi.


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