Nota introduttiva
premessa a

 E. Panella, Catalogo dell’Archivio di Santa Maria Novella in Firenze,
«Archivum Fratrum Praedicatorum» 70 (2000)
123-34
(intera pubblicazione pp. 111-242)

1

archivio, archivi, biblioteca

2

soppressioni e dispersioni ottocentesche (poco noto quanto in Bibl. Moreniana)

3

archivio dopo la ricostituzione della comunità conventuale

4

stato dell'archivio 1998, riordinamento 1999-2000, apertura a pubblica consultazione

5

metodo di segnatura dei pezzi archivistici, schede descrittive

6

prodotto archivistico e storia d'una istituzione

7

nuclei d’elaborazione della propria identità, ora asserita ora rimpianta

8

"mondo moderno" e identità senza testimonianza

9

estremi cronologici: sezione antica 1280-1930

 

AFP 70 (2000) pp. 111-22 Indice analitico; pp. 123-34 Nota introduttiva; pp. 135-37 abbr&sigle; pp. 137-242 Catalogo.

   

1. Non storia dell’archivio del convento fiorentino Santa Maria Novella dell’ordine dei Predicatori (anzi archivi, perché anteriormente alla soppressione 1866 si hanno depositi molteplici, in distinti locali a custodia di specifica produzione documentaria: archivio della sindicheria, archivio della sacrestia, del convento, dell’Opera della chiesa, delle singole compagnie laiche con sede nei recinti conventuali). Semplicemente catalogo della sezione storico-antica dell’attuale archivio conventuale. Ai suoi immediati precedenti sono limitati questi appunti introduttivi.

Archivio e biblioteca s’intrecciano durante la riorganizzazione conventuale succeduta alla soppressione postunitaria 1866, man mano che la piccola comunità ottiene in concessione locali congrui alla cura parrocchiale. Ci s’imbatte nei benemeriti Alberto Zucchi (OP 1884, † 1948)[1] e Costanzo Becchi (OP 1884, † 1930), entrambi fiorentini. Nel 1903-1904 i frati ottengono in uso e riattano metà del corridoio superiore (antico Noviziato) del braccio occidentale del primo chiostro o “chiostro verde”[2]. L’anno 1905 fissa a buon diritto la nascita del nuovo ed attuale archivio conventuale. «Fatta copiare… per l'Archivio di Santa Maria Novella a dì 12 aprile 1905» (ASMN I.B.55.1). Agli inizi ancora commisto con materiale librario.

Ricord-E, p. 111 (mano Becchi): «In questo medesimo anno 1905 fu raccolta in una stanza del nuovo corridore una collezione abbastanza importante di libri di autori Domenicani, o di opere ed opuscoli di argomento Domenicano. La collezione si compone di libri donati dai Padri fr. Alberto M. Zucchi e fr. Costanzo M. Becchi, figli ambedue di questo glorioso Convento. È da augurarsi che il frutto dei loro risparmi e delle loro premure venga successivamente accresciuto dai volenterosi; o almeno che venga conservato il già fatto, salvandolo da ogni dispersione. Così la stanza dell’Archivio è sede ora e custodia:

1. Di quei documenti e manoscritti che furono salvati nella soppressione;

2. Di una collezione di libri liturgici dell’Ordine;

3. Della libreria ora ricordata;

4. Della argenteria della Chiesa;

5. Di varie altre cose antiche o pregevoli, raccolte da varii luoghi del Convento o della Sagrestia».

2. Né inventario, come si vede, né lista nominativa ma solo aree generali di riorganizzato patrimonio domestico. Di fatto, il parziale recupero del materiale archivistico premoderno dovette avvenire in tempi lunghi e per vie confidenziali, senza esposizione a ufficiale certificazione, almeno sui libri del governo conventuale. Soprattuto per vie traverse e accidentate; le medesime percorse dalla dispersione, nonostante parvenza di “unità preservata” dal pubblico incameramento. Apprendiamo incidentalmente che nei primi decenni del Novecento taluni pezzi più antichi e preziosi appartenenti all’archivio di Santa Maria Novella erano ancora presso l’archivio generale OP di Roma[3]. Lì depositati in più sicura custodia? quando? Discrezione complementare, sembrerebbe, a quella invocata per spiegare il fondo antico rimasto ai frati: «documenti e manoscritti che furono salvati nella soppressione», diceva il testo sopra citato; intendi soppressione napoleonica 1810, che trasferì al demanio l’archivio del convento fiorentino, antico di secento anni; oggi in Archivio di Stato di Firenze, fondi Corporaz. relig. soppr. dal gov. francese 102 (Inventario N/137, pp. 135-56, in sala consultazione) e Dipl. S. Maria Novella (Inventario 64, singoli diplomi da riscontrare su inventario generale cronologico M/9); mentre gli archivi delle confraternite laiche avevano seguito le sorti delle soppressioni leopoldine nelle ultime decadi del Settecento. “Quel che i frati riuscirono a sottrarre all’incameramento”. Lo si sente dir ancor oggi, e forse così fu in taluni casi. Fondo anagrafico della parrocchia, tuttavia, e natura prevalentemente amministrativa dei libri rimasti in loco suggeriscono almeno una spiegazione complementare: che documentazione garante di contrattualità vigente tra laici e chiesa (penso all’area del tenacissimo ius patronatus: cappelle altari sepolcri ecc. e loro dotazione) fosse lasciata a disposizione dei pochi frati (non più convento) titolari della cura. Eloquente il caso dei libri liturgici e degli antichi corali. Del medesimo genere erano i libri che la soppressione leopoldina destinò agli archivi diocesani locali anziché a quelli arciducali. A parte va considerato, per implicanze di diritto internazionale, il caso dell’archivio della Provincia Romana dell’ordine dei Predicatori (o uno dei suoi depositi dislocati), sullo scadere del Secento trasferito dal convento San Marco a Santa Maria Novella, ma non patrimonio conventuale[4]. Quale sorte nelle procedure d’incameramento ad esso riservato? Senza ignorare, infine, filoni di privata circolazione e d’inappurabile passamano, ma che possono ancora riservare sorprese. L’erudito funzionario Giuseppe Palagi (1821-1881) entrò in possesso  —  dopo le soppressioni leopoldina e napoleonica ma a cavallo di quella postunitaria  —  d’una rispettabile porzione archivistica di Santa Maria Novella, sia del convento che delle sue compagnie laicali; successivamente acquistata dalla Biblioteca Moreniana di Firenze[5]. Pezzi di natura varia[6], ma non banali[7]. Tra di essi si riconosce  —  non senza commozione  —  il Liber vestitionum et professionum A (1556-1713)[8]: primo della serie, va a ricongiungersi con ASMN I.A.20 Liber vestitionum et professionum B (1713-1914), per formare un ponte di quasi cinque secoli su movimento vocazionale e demografia interna del convento.

In successione di segnatura, ecco taluni pezzi archivistici, originari di SMN, ora presso la Bibl. Moreniana di Firenze (Via Ginori 10):

Palagi 73: Libro de' debitori e creditori (1556-1561), o Ricordi di sagrestia segnato A

Palagi 74: <Ricordi e partiti dell’Opera di SMN 1612-1740>

Palagi 77: Libro della compagnia del SS. Ronasio (1582-1590)

Palagi 78: Liber vestitionum et professionum A (1556-1713)

Palagi 107: <Tabula degli anniversari ordinari della sagrestia di SMN, sec. XVex>

Palagi 129: <Libro degli ufici de’ morti della compagnia di Santo Pietro Martire e del convento di SMN - 1481>

Palagi 154: Stratto d'obblighi della sagrestia (1572-1576)

Palagi 155: (Causa tra SMN e i Padre del Carmine, sec. XVIII)

Palagi 191: (Ricevute di sagrestia di SMN 1760-1772)

Palagi 309, vol. I: Borghigiani, Cronica minuta III (1448-1556)

Palagi 309, vol. II: <Tommaso Ducci da Firenze OP, Historie del sacro ordine de’ Predicatori e priori di SMN 1556-1701>

Palagi 309, vol. III: Borghigiani, Memorie miscellanee…, Scartafaccio II

Palagi 359 ins. 4/10 (Relazione Corsini della compagnia dei Torcetti, 1778 e 1784)

Palagi 366 ins. 6 (Relazione Marini della compagnia dei Torcetti, 1783)

Palagi 369 ins. 5/4 (Lite tra SMN e chiesa Ognissanti)

Palagi 369 ins. 6/6 (Relazione Marini della compagnia dei Torcetti, 1782)

Palagi 386 ins. 2: <Opera di SMN 1506-1528>

Palagi 386 ins. 8 (Vertenze tra SMN e Ognissanti circa funerali)

Palagi 389 ins. 2/2 (Tabernacolo da erigersi in SMN).

3. Poco da raccontare sulle vicende successive alla ricostituzione 1905 dell’archivio[9]. Durante un trentennio, dal 1939, archivista fu p. Stefano Orlandi († 22.V.1967)[10], laboriosissimo cultore della storia di Santa Maria Novella. Sistemazione nel 1940-41 della biblioteca conventuale[11], nel 1948 della Biblioteca Domenicana nei locali assegnati ai frati sul lato nord dell’antico complesso e con accesso da Piazza della Stazione[12]. Che dovette comportare selezione del materiale strettamente archivistico e di competenza conventuale, laddove l’attività parrocchiale disponeva di specifico deposito[13]. Nei primi mesi del 1957 consistenti migliorie di locale e d’arredo[14].

4. Pressoché immutata a questo stadio dev’esser rimasta la situazione fino a tutto il 1998. Nominato archivista nei primissimi giorni del 1999, mi dedico a ordinare e catalogare l’archivio durante l’intero anno ’99. Stendo man mano note di lavoro. Ecco quelle utili ad illustrare origine e natura del catalogo qui proposto:

 5. Disancorato il lavoro di riordinamento, o meglio d’ordinamento. Nessun precedente ausilio che suggerisse origini e relazioni dei pezzi d’archivio; che preservasse da parentele arbitrarie; che restituisse alla custodia archivistica e al suo ordine mentale la trama stessa della genesi e tipologia di ciascun libro. Mi sono imposto discrezione e pazienza, in attesa che le stesse unità documentarie svelassero i loro nessi man mano che venivo elaborando le schede. La titolazione, in caso di mancata iscrizione o caduta delle prime carte, può valere identificazione tipologica; talvolta perfino contro iscrizioni tardive o stampigliature dorsali. Frequentazione dei generi più ricorrenti nella tradizione domestica dà di volta in volta credibilità alla proposta. Permetterebbe parimenti di ridar nome e identità a molti approssimativi titoli degli inventari d’incameramento.

Segnatura a tre elementi alfanumerici d’ordinamento strettamente logico; avviata in numerazione automatica “struttura titolo” del programma elaboratore testi Word, rifinita lungo la via, fissata sul finire del ’99. Tale definitivo ordine di segnatura, va ripetuto, non ha nulla d’originario. Non dissonante, presumo, con le abitudini d’origine, allusivo anzi dei raggruppamenti (lettere maiuscole A B ecc.) in più depositi archivistici dentro i recinti conventuali. Topico, ricordiamolo, era l’ordinamento della biblioteca Santa Maria Novella, almeno da inizio Settecento: una segnatura tipo XXVII.B.7, ad esempio, denotava la locazione fisica rispettivamente in scansia mansione e unità (vedi ASMN I.A.16 e I.A.18).

Le schede descrittive sono impostate su caratteristiche codicologiche e paleografiche, stratificazione costruttiva, tipologia documentaria (un libro amministrativo garantisce la transazione in corso non il racconto dei precedenti), cronologia di redazione e cronologia d’accadimento, distinzione autore/copista, identificazioni grafologiche e prosopografiche[17]. Non stretto censimento patrimoniale; piuttosto guida all’uso critico della fonte, dato l’intento conventuale d’aprire l’archivio a regolare consultazione degli storici. Nel caso dei corali inventariati (ASMN I.C.102), solo appunti supplementari a S. Orlandi, I libri corali di SMN con miniature dei secoli XIII e XIV, MD 82 (1965) 129-45, 193-224; 83 (1966) 43-61, 73-97. Altri tempi di lavoro richiede lo spoglio di filze miscellanee e del fondo parrocchiale.

6. A censimento inoltrato mi son sorpreso della notevole consistenza della sezione antica, quella anteriore alla soppressione napoleonica 1810. Nell’archivio di Santa Maria Novella «pochi cimeli rimasti in convento dopo l’incameramento dei beni ecclesiastici», c’era stato detto[18]; «gelosamente custoditi»[19]. Molti pezzi di tale sezione sono purtroppo in cattivo stato di conservazione: coperte logore o distaccate, supporto cartaceo eroso da inchiostro iperacido. Altri pezzi vaganti o d’incerta provenienza emergevano dallo scatolame di spogli personali: Costanzo Becchi († 1930), Stefano Orlandi († 1967), Paolo Ricozzi († 1980), Domenico Abbrescia († 1996),Isnardo Grossi († 1997); o dalle carte di segreteria del periodico «Il Rosario - Memorie domenicane».

Nel suo insieme patrimonio documentario parziale, certo, ma significativo, per taluni aspetti indispensabile per riandare la lunga storia di Santa Maria Novella e dell'intero complesso, da quella religiosa a quella artistica edilizia patrimoniale; e dei generali rapporti convento/città. Storia delle sue istituzioni, beninteso, del suo governo e pubblici rapporti; raccontata dall’interno. Ché sulla più intricata realtà delle persone e loro vicende, fin dalla comparizione (frati al governo materiale della casa oscurano in questi libri chi opera in altri ministeri), sulle storie intellettuali, sui sentimenti e risentimenti di ciascun frate, sui mobilissimi rapporti individuo/comunità in dinamica con progetti di vita: su tutto ciò, nulla dicono né intendono dire questi libri d’archivio. Come nulla dicono su destinazione finale e modi della testimonianza evangelica, alla radice stessa della comunità conventuale; presumibilmente capace d’ispirare anche un’amministrazione patrimoniale. Preveniamo allora la delusione: che una ricomposta integrità del corpus archivistico precontenga l’articolata storia del convento e dei suoi frati. Denunciare dunque la reticenza di siffatte fonti? quasi in funzione di barriera? Ingiustamente, se prendiamo atto che le istituzioni, tutte le istituzioni, mettono per iscritto soltanto parte di sé, e non necessariamente la più importante; che quelle premoderne costruivano se stesse in dinamica “organica”, dove l’organo-parte ossia la persona sussisteva subordinatamente al tutto del corpo, quest’ultimo adeguatamente rappresentato dal capo («Accessorium naturam sequi congruit principalis», «In toto partem non est dubium contineri», non erano metafore prestate alle regulae iuris del Liber sextus decretalium, bensì validazioni costituzionali dei processi costruttivi della polis). Ma se lo storico diffida dei documenti esibiti, specie se ufficiali e autotestificanti, può tuttavia ricostruire l’assente esistito solo sui confini del documentato, e decifrarne i significati in controluce. Si aprono, i nostri libri, alla lettura obliqua, puntata alla frattura redazionale. Prestano l’autorevolezza del fatto all’intelligenza storica, la fattualità frammentata ai nessi produttivi di conoscenza, il riscontro involontario all’intenzione dissimulata. Un esempio: il colonnello Lelio Cerretani Paperoni, «avendo fabbricato accanto al nostro convento e ridotta la soppressa compagnia della Scala[20] da esso comprata in una palazzina all’uso moderno per sua abitazione»[21], tenta intrusione edificatoria e fittuaria tra portone del convento, atrio e chiostro della sindicheria o cànova. Complici taluni frati. Anni 1786 e seguenti, quando nuova città e nuovo mondo appaiono ostili ai frati occupati a difender l’antica grandezza del convento[22]. Almeno tre libri, differenti per genere, riferiscono: Libro dei consigli ASMN I.A.36; Ricordanze di Domenico Forzini I.A.33; appunti personali del sindaco Tommaso Palloni, schietto di lingua («stante la viltà e dabbenaggine del superiore e d'alcuni padri suoi partitanti», I.E.159 ins. 2, I, f. 3v). Tre voci sussurrano alla lettura in filigrana quanto nessuna proclama. Preziosi, per un’esegesi trasversale, i diari o appunti privati. ASMN I.A.49 Memorie personali d’Alberto Zucchi, p. 57: «E veniamo a Firenze, dove io ero stato assegnato e dove mi recai nel 1893 a novembre. Trovai la comunità che già conoscevo con a capo il p(adre) Lodovico Pieri: però chi tutto faceva e disponeva era il p(adre) Barducci». Il priore dà ordini, il parroco comanda. Gli organi comunitari di governo conventuale di fatto esautorati dal ruolo del parroco, figura civilmente garantita in regime di soppressione. Nessun verbale ufficiale e sottoscritto denuncia il disequilibrio in atto. Il diario privato perfora la superficie del libro dei consigli.

7. Da talune schede del catalogo affiorano nuclei forti d’elaborazione intellettuale. Sorreggono le imprese più consapevoli della storia di Santa Maria Novella; in ricerca di un’identità collettiva ora asserita ora rimpianta. Solo in parte testimonianza dell’esistito (a questo aderiscono, per curiosa polarità, la Cronica fratrum ASMN I.A.1-2 e i libri contabili!); piuttosto proiezione fervida del dover essere, controparte letteraria dell’identità figurata dagli affreschi nel capitolo, specchio esemplare del convento domenicano. Giovanni di Carlo (OP 1443 ca., † 1503) surroga il presente recalcitrante con la memoria delle origini, unici tempi congrui (e mitici) al modello esemplare degli uomini illustri (ASMN I.A.4). Modesto di Agostino dei Biliotti (OP 1545, † 1607) preferisce militare nell’oggi, per le osservanze regolari, per la riforma d’ispirazione rigorista, sanmarchina e savonaroliana, promossa nel Chronicorum liber a nuovo inizio (1556) della storia conventuale; principio ordinatore della narrazione, “ante et post reformationem” (ASMN I.A.9-10). Contro le pretese della tradizione riformata Vincenzo Borghigiani argomenta (1757-1760) lustro e virtù anche ai conventuali di Santa Maria Novella (ASMN I.A.28-32 Cronica annalistica). Al secolo libertino e sovversivo (ma ne condivide la strumentazione erudita), Vincenzo Fineschi (OP 1741 ca., † 1803)[23] obietta l’“utilità” dei religiosi nella repubblica letteraria e civile di oggi, e a prova esibisce i monumenta di ieri. Fino al reiterato punto d’onore “Nostri furono i conversi fra Sisto e fra Ristoro, architetti massimi, costruttori della chiesa e d’altre celebrate opere pubbliche”? o viceversa dobbiamo credere che l’esercitatissimo Fineschi non s’avvedesse che l’intero articolo frater Ristorus della Cronica fratrum (ASMN I.A.1, f. 7r marg. inf.) è grossolana interpolazione cinquecentesca[24]. Di certo, lo statuto giuridico della fabbrica di SMN  —   sostiene il Fineschi  —   non è omologabile con quello d’istituzioni simili, queste sì debitrici della pubblica munificenza[25].

8. Un filo comune tesse trame diverse: la novità dei destinatari del messaggio, anziché appello a inedita testimonianza, è percepita come minaccia destabilizzante d’identità configurata (finanche presentita minaccia d’espropriazione patrimoniale?). Identità del resto già fratturata nel mondo mentale dei protagonisti della storia interna del convento; fatto ora ignorato ora pudicamente sorvolato, ma che concorre a pari titolo alla comprensione d’un’istituzione troppo intrecciata perché non desse luogo a giudizi e rappresentazioni discordanti:

«E tutte queste cose più diffusamente si tratteranno da me in alcune operette che medito una volta dare alla luce, quando peraltro si calmi qualche gelosia conceputa di me da qualche religioso venerabile e pieno di scienza e di bontà di costume; il quale essendo sì riservato ha quietamente raccolte molte notizie storiche, o che io medesimo ho ad esso comunicate a benefizio del pubblico, ed è a buon porto della storia di questo venerabile convento, la quale sarebbe decorosa e per l’ordine e per la patria e per il degno autore, che Iddio lungamente conservi, e li faccia conoscere la mia sincerità e il mio zelo per il convento, affine possi effettuare quanto io fin su bel principio mi ideai, cioè di fare una raccolta di vite di personaggi insigni domenicani fiorentini»[26],

confida il giovane Fineschi nel 1761. A chi altri mira se non al Borghigiani?, appena al termine della propria Cronica annalistica.

Palese bozza, questa mia, di lettura contratta; sui confini rischiosi della semplificazione. Traccia comunque ed auspicio a rilettura critica, a più concatenata ricostruzione storiografica. Per inseguire ragioni e propositi d’un’identità collettiva in ogni caso sorprendente. Capace di radicamenti tenaci se trascorre, sia pure attraverso stagioni compromissorie, la sfida di otto secoli!

9. Dove esattamente porre fine alla sezione antica dell’archivio, a distinzione da quella corrente? Contro ipotesi di partenza, le soppressioni ottocentesche (napoleonica 1810 e postunitaria 1866)[27] non segnano vistosa cesura di produzione archivistica (vedi I.A.20 Liber vestitionum et professionum B; I.A.36 e I.A.45, Libri dei consigli; I.A.44 Ricordi del convento E). Il quarto decennio del Novecento invece suggerisce una periodizzazione non arbitraria su due novità strutturali: una esterna, riconoscimento della personalità giuridica degli enti ecclesiastici (Patti Lateranensi 1929, Concordato artt. 29-31)[28] e dunque garanzia patrimoniale a base della ritrovata solidità istituzionale; l’altra interna, filiazione del frate riallacciata non più al convento bensì alla provincia (Constitutiones OP 1932, art. 154 § 7). Quest’ultima, la filiazione conventuale, potrebbe aver governato la dinamica interna della comunità più di quanto a distanza si è disposti a concedere: controllo della demografia e del rapporto persone/risorse, del rapporto chierici/conversi; della quota d’affiliazione dei forenses, esterni cioè alla predicazione fiorentina (riveste valenza politica quando ossequente, secondo casi e tempi, alla sovranità territoriale della repubblica fiorentina, poi ducato e granducato di Toscana); in febbraio 1531 il convento disciplina la procedura d’affiliazione, ne estende la competenza al capitolo[29], ed esige  —  se ben interpreto  —  consenso unanime dei capitolari [30]. Anno 1930 dunque, impiegato con elasticità, pone fine a sezione antica e apre sezione moderna. Il lavoro qui presentato è esclusivo catalogo della prima.