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 prologo pisano

In mutata temperie dal primitivo "prologo d'istruzioni" di Cr SMN, a fine Trecento l'addottorato Domenico da Peccioli articola in linguaggio nuovo le ragioni del modello pisano:

ASMN I.C.102 F 11r Peto Domine (resp., dom. III sett., Tobia senior)Tertio. Equum et iustum esse decernimus recolere cum laudibus facta priorum memoratu digna, quia iustitia exigit ut quod suum est unicuique tribuatur. Virtuti vero, idest hominibus virtuosis, cum nichil reddi melius possit et maius honore, ut Sapiens manifestat, debitum est hiis qui virtuose et in finem usque durantes duxerunt in bonum dies suos, honorem demus, ipsorum memorias recolendo «quorum memoria in benedictione est». Et ut securius hoc agamus, attendamus ad promissa domini Salvatoris discipulis largo sinu conferta: «Gaudete, inquid, quia nomina vestra scripta sunt in celis». Sic et nos, quod possumus id agamus ut nomina eorum scribamus in terra «quorum nomina de libro vite in perpetuum non delentur». Eodem modo beatus presbiter Ieronimus nomina et facta virorum scripsit illustrium; quem est Gennadius ad scribendos alios ymitatus (Cr Ps ff. 1v- 2r Prologus; integralmente in Cronica di Santa Caterina in Pisa, MD 27 (1996) 219-23. Anche Matteo Villani elabora impegnati Prolaghi ai singoli libri della Cronica, innovando sul più diretto narrare del fratello maggiore Giovanni).

Autorità biblica e antichità classica, ricomposte in comune patrimonio nella coscienza del nuovo mondo in gestazione. Virtù evangeliche, virtù religiose, virtù civili, virtù politiche: tutte concorrono all'uomo meritevole di memoria e di lode. Dai sermoni "In capitulo provinciali", VI: Orationi instate, Col. 4 <, 2>, d'un eminente frate fiorentino, Remigio del Chiaro dei Girolami (OP 1267-68, † 1319):

Et ideo dicit Valerius pulcherime libro VII[63]: «Socrates, inquit, humane sapientie quasi quoddam terrestre oraculum, nichil ultra petendum a diis immortalibus arbitrabatur quam ut bona tribuerent» scilicet in generali, deos vocans angelos sanctos sicut et nostra scriptura, ut patet Dan. 3[64]; «quia hii demum scirent quid unicuique esset utile», omnis enim laus in fine canitur. «Nos autem plerumque id votis expetere<mus> quod non impetrasse melius foret», sicut patuit in predicto Deda[65]. «Etenim densissimis tenebris involuta mortalium mens in quemque leta[66]» idest te ad presens letificantia, «patentem errorem» idest quod patenter error est, «cecas precationes tuas spargis», quod dicit quia in diversa petenda fertur. «Divitias appetis que multis exitio fuerunt» vel a furibus vel a latronibus vel a tirannis vel ab emulis vel a se ipsis avaris et anxie viventibus infirmatis, «honores concupiscis qui complures pessumdederunt» idest prostraverunt. Proprie autem quis pessumdatur quando prostratur in retro ita quod pes vadit susum in ante. Exemplum Florentie de multis, immo quasi de omnibus qui habuerunt honorem officii prioratus. «Regna tecum ipsa volvis quorum exitus sepe numero miserabiles cernuntur». Exemplum de Iulio Cesare, de Tarquinio Superbo etcetera (BNF, Conv. soppr. G 4.936 (xiv in), f. 262va, secondo membro della partizione; l'intero sermone Orationi instate ff. 261vb-263vb).

Governo dei frati, governo della città, virtù politiche e loro corruzione, autorità biblica e pagana, comuni modelli esemplari, incluso il contrario assempro (Villani, Cronica X, 33; «de Iulio Cesare, de Tarquinio Superbo» nel sopraccitato testo di Remigio), persuasivi di condotta virtuosa, specie se ordinata al bene comune, anzi al bene del comune (cf. Ch.T. Davis, Dante's Italy and other essays, Philadelphia 1984, specie cc. 4, 8, 9, 10). Profonda comunione, già propiziata dalla condivisione reale della vita cittadina. E comune patrimonio letterario che aveva modellato il genere del bíos esemplare; amato e frequentato, diffuso da sermoni e dicerìe, travasato nelle artes dictaminis, ora anche in letture volgari per laici.

A. Traina, G. Bernardi Perini, Propedeutica al latino universitario, Bologna 1992, 401-02. C. Segre, Volgarizzamenti del Due e Trecento, Torino 1980. M.T. Casella, Tra Boccaccio e Petrarca. I volgarizzamenti di Tito Livio e di Valerio Massimo, Padova 1982. C. Delcorno, Exemplum e letteratura tra Medioevo e Rinascimento, Bologna 1989.

Capostipiti della tradizione più volgata, Factorum et dictorum memorabilium di Valerio Massimo e De vita duodecim Caesarum di Svetonio Tranquillo. E «Tranquillum sequens» (così confessa nella prefazione), san Girolamo immette nelle lettere medievali il modulo più corrente di biografia degli uomini illustri, sull'articolazione narrativa: nomina, res gestae, vita, obitus (Girolamo, De viris illustribus [393], ed. A. Ceresa-Gastaldo, Firenze 1988, 23, 56). Ne ha fatto il nome il prologo di Cr Ps:

«Eodem modo beatus presbiter Ieronimus nomina et facta virorum scripsit illustrium; quem est Gennadius ad scribendos alios ymitatus».

Testi e modelli dopotutto banali per uomini di chiesa; già mortificati dall'isolamento di fronte a letture più preziose or ora riscoperte (Giuseppe Billanovich, Gli storici classici latini e le cronache italiane del Due e Trecento, AA. VV., La storiografia umanistica, Messina 1992, I, 39-58); non disdegnati tuttavia neppure da palati affinati.

Francesco Petrarca, De viris illustribus, ed. G. Martellotti, Firenze 1964. Vi lavora a più riprese, dalla fine degli anni '30 fino alla morte 1374. Prohemium: «Illustres quosdam viros quos excellenti gloria floruisse doctissimorum hominum ingenia memorie tradiderunt» (p. 3). «Apud me nisi ea requiruntur, que ad virtutes vel virtutum contraria trahi possunt; hic enim, nisi fallor, fructuosus historicorum finis est» (p. 4).

L'elogium messo a punto da Girolamo nel De viris illustribus, più comunemente De scriptoribus ecclesiasticis, offre nucleo documetario e impianto narrativo più prossimi all'elogium impostato da Piero dei Macci in Cr SMN. Quest'ultimo, ben inteso, elaborato a servizio di tutt'altre e originali regole redazionali, proprie della cronica fratrum.

Un antimodello, in fine, exemplum ex contrario caro alla retorica medievale. Il Falsembiante che Dante Alighieri lancia nel Fiore, intorno agli anni 1285-90, in Firenze. Personificazione in negativo del frate mendicante. Non un frate Cipolla e il suo spruzzo di fango burlesco. Inquietante, invece, Falsembiante. Indossa l'abito domenicano, sicuro riparo; già «roba del buon frate Alberto» de la Magna (Fiore 88,12-14). Controfigura del modello della vita conventuale che la cronica fratrum veniva illustrando. Ragionatore sottile. Eccita la seduzione dei simboli (chiostro, coro, capitolo, grossa lana, predicazione ecc.) e i rigori della regola («Molto mi piaccion gente regolate...» 101,7); i medesimi che prestano mano alla simulazione e dissimulazione. Rovescia l'ideale mendicante manovrando i suoi stessi strumenti, medita e pratica la corruzione all'interno dell'istituzione, connivente l'istituzione. Antifrasi necessaria quanto i rimati Gesocristo e ipocristo, in luogo del non rimabile ipocrita. Astuta ipostasi della negazione. Non sovversiva tuttavia, bensì corruttiva. Dunque endogena. Falsembiante prospera nella porzione di compromissione che l'istituzione religiosa paga in sicurtà della propria persistenza. Loquace e occulto persuasore della parola. Dante lo fa mastro divino (anticipando in finzione il primo magistero in teologia d'un fiorentino, 1303), professionale prestigio del gran litterato. Il quale investe il proprio sapere nel dar verosimiglianza alla parvenza e copertura al tradimento; all'occasione nel confonder le ragioni altrui. Al termine dissolve ogni significazione: «e 'nganno ingannatori e ingannati» (118,14). S'assicura impunità.

Se poi messer Brunetto dei Brunelleschi  -  destinatario d'una copia del poemetto con versi d'accompagno, Rime XCIX  -  volesse verace intendimento[76] del Fiore, ne chieda la sentenzia[77] agli spositori per eccellenza, ai domenicani, suoi frequentatori:

Se voi non la intendete in questa guisa,
in vostra gente ha molti frati Alberti
da intender ciò ch'è posto loro in mano.

Così i dantisti legano frammenti e svelano allusioni. Non inverosimile, se aggiungiamo la comprovata prossimità di messer Brunetto (8 marzo 1311) ai frati di Santa Maria Novella, sepoltura nella loro chiesa, lasciti e contestazioni postume.

G. Contini, Un nodo della cultura medievale: la serie Roman de la Rose - Fiore - Divina Commedia, riprodotto in Dante, Il Fiore, a c. di L.C. Rossi, Milano 1996, 299.

A quanto raccolto in MD 16 (1985) 91 n. 161, AFP 58 (1988) 13 n. 14, AFP 60 (1990) 268-70, aggiungi ASF, Dipl. S. Maria Novella 14.III.1310/1: «nobilis miles dns Octavianus filius condam domini Betti de Bruneleschis, querens a religioso viro fr. Barone de conventu florentino fratrum Predicatorum ecclesie SMN si dna Mea uxor olim dicti domini Betti concesserat ipsi fr. Baroni robam delatam et habitam in exequiis sepulture domini Betti prefati, et ipso fr. Barone respondente eidem dno Octaviano quod sic concessit, dixit quod contentus erat dicta confessione... Actum Florentie in domo dicti domini Octaviani sita in populo Sancti Leonis, presentibus ad hec testibus domino Phylippo domini Cantis de Chavalcantibus, Donçello domini Bruneleschi de Bruneleschis... et fr. Insegna Senensi de conventu predicto fratrum Predicatorum de Florentia». Barone di Baldovino dei Sassetti OP 1264, † 1324 (Cr SMN n° 234); il patronimico da ASF, NA 3140, f. 126r (11.I.1303/4) «fr. Barone Baldovini et fr. Gratia Bardi florentin(is) OP» testi.

Crostruito e saldo Falsembiante. Presto consumatosi nel piacere versificatorio del vituperio?, quello praticato dal giovane Dante in tenzone con Forese Donati[80]? Difficile crederlo. Perché il Fiore mantiene fili con la tardiva Commedia[81], e perché contro il monopolio dei mendicanti ha da asserire la possibilità della santità laica (Fiore 95-96). Figura persistente, Falsembiante. Per questo inquietante.


[63] Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium VII, 2, Extr. 1; ed. R. Faranda, Torino 1987, 538.

[64] Cf. Dan. 4, 5-6.

[65] f. 262rb (Philosophus in I Politice) = Aristotele, Politica I, 9 (1257b 16): «fame periit, quemadmodum et Medam illum fabulose dicunt propter insatiabilitatem desiderii», nella traduzione greco-latina "nova" di Guglielmo da Moerbeke, Thomae de Aquino Opera omnia, t. 48, Romae 1971, A 100b (I, 7). Anche altrove Remigio ha Deda.

[66] in quemque leta ] in quam late Valerius; la susseguente glossa di Remigio conferma che quella era la lezione del suo esemplare.

[76] Cf. Dante Alighieri, Vita nuova XXV 10, a proposito del verace intendimento di «colui che rimasse cose sotto figura o di colore rettorico».

[77] Senso autentico in compendio. Divisio, sententia, expositio textus, tecniche e livelli esegetici del commentario medievale; praticato da Dante nella Vita nuova (1293-96 circa) alle proprie rime, per "dichiararne l'intendimento". Uso e significato di sententia nei commentari scolastici: R.A. Gauthier, Praefatio, in Thomae de Aquino Opera omnia, t. 42/II, Sententia libri Ethicorum, Romae 1969, I, 242* ss.

[80] F. Suitner, La poesia satirica e giocosa nell'età dei comuni, Padova 1984, c. 3: Origini e carattere del «vituperium» in volgalre. G. Petrocchi, Vita di Dante, Bari 1984, 49 ss.

[81] Curiosamente le persistenze fonico-lessicali a prova della consecuzione cronologica Rose-Fiore-Commedia cadono in gran parte nella sezione Falsembiante; continuità riprodotta dalle illustrizioni iconografiche di Falsembiante in abito OP fino agl'incunaboli: Contini, Un nodo... 303-05, 311.



finis

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