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Chiesa San Domenico di Orvieto

Autografi di Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto,

«Archivum Fratrum Praedicatorum»
62 (1992) 135-174.

sommario

1

Gli autografi di Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto

  - Roma, Bibl. Vallicelliana C 48  |  Roma, AGOP XIV lib. OO, pp. 133-206

  - Francesco Pollidori da Orvieto OP (1723-1787)

  - convento domenicano di Todi

2

Cenni biografici su Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto

  - n. 1350 ca., figlio di Tebaldo fruttivendolo; maestro in teol. 1388; lector curie 1391; † dopo sett. 1423

3

La continuazione della Cronica di San Domenico d’Orvieto (primo ventennio del '400)

  - AGOP XIV.28. | "la cerca" = praedicatio o circoscrizione territoríale del convento | Addendum

 

Appendice

   I - Pisa 1388: sermo licentie di fr. Bartolomeo di Tebaldo e di fr. Ventura da Bevagna

  II - Pisa 1388: vesperie di fr. Bartolomeo di Tebaldo

 III - Prato 6.IX.1402: fr. Michele di ser Tino della Casa da Firenze OP ai Conservatori di pace di Orvieto

 IV - Siena 23 e 25.X.1407: lettera autografa di fr. Bartolomeo ai Conservatori d’Orvieto

  V - Perugia 14.VII.1423: lettera di fr. Bartolomeo ai Conservatori d’Orvieto

 VI - Roma 11.IX.1423: Martino papa V accoglie la supplica di fr. Bartolomeo

VII - Helias Tolosanus, Raymundus de Capua: notizie biografiche autografe di fr. Bartolomeo | ¬

aggiornamento bibliografico

1. Gli autografi.

Si getti uno sguardo sulle Tavole fuori testo. L’identità d’una medesima mano al lavoro di scrittura in distinti documenti s’impone con visiva immediatezza. L’identificazione poi della mano di fr. Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto OP (estremi conosciuti 1386-1423; SOPMÆ I, 171-72; IV, 45-46) è più il risultato di memoria visiva, fresca di frequentazione a breve distanza dei tre documenti, che di laborioso percorso critico-paleografico.

Roma, Biblioteca Vallicelliana C 48.

Membranaceo, ff. 367, sec. XIII-XV, composito. Rilega insieme cinque unità codicologiche dalla fisionomia propria e originariamente indipendenti. Evidenti segni di rifilatura dei margini inferiori della carte testimoniano l’intento di uniformare la base della miscellanea.

I (ff. 1-129). Membr., 218 x 173, scrittura a due colonne, XIII-XIV sec., Ethymologiae d’Isidoro da Siviglia.

II (ff. 130-171). Membr., 220 x 162, a due colonne, XIV-XV sec., quattro quinioni. Giovanni Boccaccio († 1375), De mulieribus claris (ff. 130r-170va), seguito da note d’altra mano (f. 170va-b); f. 171 bianco. Tra i capitoli «De Cęnobia Palmirenorum regina» (166ra-167ra) e «De Yrene Atheniensi» (167rb-va) l’intero testo del capitolo «De Iohanna * * * * » (167ra-b, = «De Iohanna anglica papa » ossia della cosiddetta papessa Giovanna) è stato ricoperto con inchiostro denso e nerastro, e pertanto efficacemente sottratto alla lettura. 

Cf. V. Branca, Tradizione delle opere di Giovanni Boccaccio I, Roma 1958, 96. V. Zaccaria, Le fasi redazionali del De mulieribus claris, «Studi sul Boccaccio» 1 (1963) 253-332; Ancora sul De mulieribus claris, ib. 7 (1973) 245-70.

III (ff. 172-245). Membr., 220 x 168, a una colonna, XIV sec., Chronica urbis Rome (ff. 173-183), Chronica Martiniana (ff. 184244).

IV (ff. 246-297). Membr., 222 x 165, a due colonne, XIV in. Iacobi de Vitriaco Historia orientalis.

V (ff. 298-367). Membr., 222 x 175, scrittura umanistica a una sola colonna del sec. XV. Sicco Polenton, Liber exemplorum ad filium suum.

I quattro quinioni ff. 130-171, dagli evidenti tratti di libro originariamente autonomo, trasmettono l’opera del Boccaccio in regolare libraria tardogotica, del tipo che si oscillerebbe a datare tra fine Trecento e inizio Quattrocento. Nel colophon il copista dà il proprio nome, Martino, e quello del committente; quest’ultimo accompagnato dal titolo di maestro in teologia, grado accademico conseguito da Bartolomeo, come vedremo, in autunno 1388:

Iohannis Boccachii de Certaldo de mulieribus claris per Martinum liber explicit, ex precepto venerabilis in sacra theologia magistri fratris Bartholomei Thebaldi ordinis fratrum Predicatorum (f. 170va).

ordinis fratrum Predicatorum, non de Dinis fratrum predicatorum come in P.O. Kristeller, Iter italicum II, London-Leiden 1967 [ristampa 1977: Bibl. SMN-Campo 50.7], 131b, 651c primo lemma, che crea per il nostro Bartolomeo un arbitrario nome di casato. Nelle riproduzioni in bianco-nero la o di ordinis può ingannare e apparire molto simile a una d (da qui dedinis); nell’originale la barra sovrapposta alla o è di fatto un tratto trasversale di color rosso con funzione di rubricazione estetica, omologa alle barre tracciate sulla lettera iniziale delle altre parole del colophon.

Un’altra mano, in scrittura costruita sì su modello librario ma evoluta in corsiva documentaria (E. Casamassima, Scrittura documentaria, dei notarii, e scrittura libraria nei secoli X-XIII, AA. VV., Il notariato nella civiltà toscana, Roma 1985, 63-122), molto personalizzata, di calligrafo - verrebbe da dire - non professionale, riempie il resto della carta rimasto bianco: poco più di metà colonna a e l’intera colonna b di f. 170v. Perché il contenuto degli interventi induce a credere di trovarsi di fronte a nulla più che alla diffusa consuetudine libraria di colmare in qualche modo, vergando filastrocche di convenzione o versificando in promptu, lo spazio dello specchio scrittorio rimasto inutilizzato a fine opera. Qui versi d’uso, ai quali fa seguito un «testamento» che elargisce lasciti semiseri.

|170va| Nocte pluit tota, redeunt spectacula mane.

Divisum imperium cum Iove Cesar habet. 

Sic vos non vobis vellera fertis oves 

Sic vos non vobis fertis aratra boves 

Sic vos non vobis mellificatis apes 

Sic vos non vobis nidificatis aves. 

Iuncxit amor pridem quos iungit gloria patres. 

Iungat amor fratres ut mereantur idem.

|170vb| Testamentum fratris Bartholomei Thebaldi de Urbeveteri ordinis Predicatorum, humilis magistri in theologia.

Relinquo primo omnibus pacem, cuilibet concordiam, rectoribus iustitiam, doctoribus et magistris sapientiam, procuratoribus rectitudinem, mercatoribus legalitatem, scolaribus studium virtuosum, clericis honestatem, iuvenibus reverentiam et taciturnitatem, senibus in moribus gravitatem ut sint aliis in exemplum et correctionem, pueris virgam et obedientiam, artificibus veritatem, divitibus misericordiam, pauperibus spem et longanimitatem, coniugatis fidem, viduis mundi contentum [= contemptum] continentiam et contemplationem, virginibus absconsionem et temperantiam, laboratoribus sollicitudinem sine invidia, felicibus et dominis benig<ni>tatem, afflictis patientiam, peccatoribus penitentiam, iustis perseverantiam, religiosis et mendicantibus humilitatem.

La mano che scrive versi e testamento a carta 170v verga anche l’iscrizione «Iohannis Bocchaccii de Certaldo de mulieribus claris liber incipit» (f. 130r marg. sup.) e le rubriche dei capitoli dell’intero De mulieribus claris.

Non è scontato che chi ha coperto d’inchiostro il capitolo sulla papessa Giovanna (Roma, Bibl. Vallicelliana C 48, f. 167ra-b) sia la stessa persona (Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto) che ha vergato anche le rubriche dei capitoli; perché infatti costui avrebbe rubricato il capitolo De Iohanna <anglica papa> se lo riteneva tanto sconveniente da sottrarlo fisicamente alla lettura?

E verga molti notabilia marginali a testimonianza di un’attenta lettura del Boccaccio erudito e moralista, quello che aveva incontrato anche la simpatia di teologi e predicatori (Gius. Billanovich, Pietro Piccolo da Monteforte tra il Petrarca e il Boccaccío, AA. VV., Medioevo e Rinascimento, Studi in onore di B. Nardi, Firenze 1955, 17-21, 32, 49 rr. 94-98):

«Nota de periculis que eveniunt ex oculorum aspectu» (f. 137r marg. sin.) a lato di «Eis (scilicet oculis) enim spectantibus splendorem cognoscimus, invidiam introducimus...» nel capitolo di Medea.

«Nota de dignitatibus Ytalie » (f. 139v marg. d.) a lato di «Multis olim dotibus Ytalia pre ceteris omnibus...» nel capitolo di Nicostrata.

«Nota contra monachantes filios» (f. 147r marg. sin.) a lato di «Sunt quidam ut avari...» nel capitolo di Rea.

«Nota usque ad finem» (f. 149r marg. sin.) a lato di «Sic agit divina iustitia...» nel capitolo su Atalia.

«Nota de honestate mulier<um>»(f. 154v marg. d.) a lato di « Equidem oportet matronam ut pudica integre dici possit...» nel capitolo di Sulpizia.

Dunque «testamento di fr. Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto OP». Medesimo il nome del committente proprietario del libro e di chi fa libero uso dello spazio scrittorio disponibile ai margini delle carte e negli ultimi fogli del codice. Ancora insufficiente per asserire un intervento personale di Bartolomeo, ma digià suasivo d’un "testamento" olografo del frate orvietano. La flagrante evidenza dell’autografia di costui s’impone invece quando rivediamo la medesima scrittura comparire in una missiva originale di Bartolomeo di Tebaldo OP, datata Siena 23 ottobre 1407 con giunta del giorno 25, indirizzata ai Conservatori della città d’Orvieto. Specifichiamo: non uno dei due documenti prova l’autografia a beneficio dell’altro (possediamo una seconda lettera di Bartolomeo trascritta da mano estranea). È piuttosto il ricorso della medesima scrittura in entrambi i documenti che conclama l’autografia di Bartolomeo: nel primo, codice Vallicelliano, il nome di Bartolomeo committente-proprietario è anche quello del testante ludico dell’ultima pagina in bianco; nell’altro è mittente d’una lettera sprovvista di qualsiasi validazione diplomatica, un vero biglietto confidenziale («cedula» per l’appunto) alle autorità della città natale, pronto com'è dalla curia romana a render utili servigi ai concittadini se solo gliene faranno rapida richiesta tramite cedola. Ma introduciamo il secondo documento.

Roma, AGOP XIV lib. OO, pp. 133-206. Si tratta d’un fascicolo omogeneo, rilegato nella voluminosa collezione di relazioni settecentesche riordinate nel cosiddetto “Fondo Libri” (AFP 39 (1969) 179; per la genesi del fondo vedi ib. 38 (1968) 99-105). Costituito da missive originali (sec. XIV-XVI) di provenienza orvietana. In calce al primo foglio, p. 133, nota manoscritta del raccoglitore:

«Questi Mss. appartengono a me F. Francesco M.a Pollidori[1] dell’Ord. de’ Pred., donatimi dal Con(te) Livio, mentre ero di stanza nel convento di S. Domenico di Orvieto nell’anno 1761, e contengono delle notizie Domenicane».

Segue lista dei singoli pezzi. Secondo, terzo e quarto item:

«Alla pag. 6 [attuale p. 138] nel anno 1402 fr. Bartholomaeus Thebaldi Prior eiusdem conventus, et fr. Laurentius Marchi Lector, fr. Michael Sertini de Florentia in Rom. Prov. vicarius generalis. Alla pag. 12 [attuale p. 144] una lettera di detto Bartolomeo Tebaldi scritta da Siena ai 27 di ott. 1407 colle nuove del Papa Greg. XII che era in quella Città. Alla pag. 14 [attuale p. 145] altra lettera di detto fr. Bartolomeo scritta da Perugia ai 14 luglio 1423».

Nel verso della missiva (p. 143), marg. sup., una mano coeva annota la data cronica: «Datum 25 octubris 1407». Pollidori tradisce perplessità nel leggere il numero arabo: scrive al marg. destro «27 ott. 1407» dove 27 è corretto su 23. La lettera è del giorno 23; quanto alla giunta delle indulgenze, bisognerà far credito alla mano coeva della nota tergale e datare giorno 25.

I documenti relativi a fr. Bartolomeo di Tebaldo sono per l’appunto la notizia del priorato orvietano dalla lettera del fiorentino fr. Michele di ser Tino della Casa (Prato 6 settembre 1402) (p. 138), e due missive dello stesso Bartolomeo: Perugia 14 luglio 1423 (p. 145) e Siena 23 ottobre 1407 (pp. 143-44). È quest’ultima ad esser scritta dalla stessa mano che interviene su f. 170v del codice Vallicelliano. Chi ha rifilato il fascicolo di AGOP XIV lib. OO, pp. 133-206, o l’intera raccolta di lib. OO, ha trovato il foglio troppo lungo (295 x 220) rispetto agli altri e ne ha resecato il margine inferiore, asportando così parte del primo rigo della sottoscrizione e l’intero secondo. Leggeva il tutto invece il Pollidori nel 1761, che vi trovava il nome del mittente, fr. Bartolomeo di Tebaldo. Costui, oltreché mettersi a disposizione per servigi curiali a favore della città natale, informa i Conservatori di pace d’Orvieto dei fatti della curia papale; da Siena, là dove Gregorio XII risiede da settembre 1407 a gennaio 1408 mentre tesse tergiversanti trattative diplomatiche col papa avignonese Benedetto XIII in vista d’un incontro in Savona per metter fine allo scisma. Bartolomeo segue la comitiva papale perché ufficiale domenicano di curia, esattamente procuratore dell’ordine.

L’apprendiamo da una glossa marginale apposta sulle carte della Cronica di San Domenico d’Orvieto (Cr Ov = AGOP XIV.28). Che ci riserva un’ulteriore sorpresa. La glossa infatti è vergata dalla stessa mano che scrive la lettera Siena 23 ottobre 1407 e il foglio 170v del codice Vallicelliano. Il cerchio si chiude. E fruttuosamente, perché la mano (che ormai, al di là d’ogni ragionevole dubbio, sappiamo appartenere a Bartolomeo di Tebaldo), oltreché aggiungere la breve glossa in questione, verga tutta la sezione della continuazione tre-quattrocentesca della cronaca orvietana, quella designata dai trascrittori Viel e Girardin con «écriture du XVe siècle», «écrit à la fin du XIVe et au début du XVe siècle» (Jean Mactei Caccia, O.P., Chronique du couvent des Préclicurs d’Orviéto, Rome-Viterbe 1907), e finora rimasta anonima. Possiamo così dar nome e volto al secondo cronista orvietano, che riprende e aggiorna il primitivo testo trecentesco della Cronica dovuto a fr. Giovanni di Matteo Caccia da Orvieto ed interrotto alla morte di costui († 1348 ca.). Ma di questo più oltre.

Torniamo alla testimonianza della glossa. In corrispondenza con quanto Giovanni di Matteo Caccia aveva scritto sul ruolo di fr. Latino da Orvieto nel procurare il convento domenicano di Todi, ex monastero San Leuco, Bartolomeo comprime in scrittura di modulo minuto, tra margine destro e spazio interlineare di fine testo su fr. Latino, ulteriori notizie circa le movimentate vicende dell’insediamento tudertino dei frati Predicatori (Cr Ov 45, ed. 69). Avviata nel margine destro, la giunta prosegue nello spazio interlineare con le parole «tandem tempore...», e a fine rigo torna a estendersi a destra oltre la linea dello specchio scrittorio per sfruttare il residuo spazio marginale corrispondente. L’anno «M°ccccvij» è scritto al margine sinistro della carta quasi a mo’ di rubrica marginale, sintatticamente svincolato dalla frase, ma in palese allineamento orizzontale con l’avvio della proposizione «tandem tempore...». La parte marginale della giunta è molto evanita, qua e là illeggibile; la lettura ad occhio nudo proposta da Cr Ov ed. 69 è qui migliorata con l’ausilio della lampada di Wood.

Anno autem Domini Mccclx per dominum  **ldum de moñ Martis(?)  ******  et legat(um) facta fuit roccha in ecclesia Sancti Leuci et fratres tudert(ini) non habentes(?) conventum plura loca mutaverunt. tandem tempore Gregorii XII .M°ccccvij. existente procuratore ordinis rev.do patre fr. Bartholomeo Tebaldi de Urbeveteri magistro in theologia procuravit eis ecclesiam parrocchialem Sancte Marie de Camocia quam actu inhabitant (Cr Ov 45, ed. 69).

Nella corrente letteratura sul convento domenicano in Todi si legge concordemente che i frati, sfrattati da San Leuco perché trasformato in roccaforte al tempo di Gregorio XI (1371-78) e provvisoriamente alloggiati nelle chiese di Santa Prassede e Sant’Agostino (anni ’80), ottennero definitivamente nel 1393 da Bonifacio IX (1389-1404) la chiesa parrocchiale di Santa Maria in Camuccia.

Masetti, Monumenta I, 184 (a. 1393). AA. VV., Todi, Studi ricerche e proposte per un rione: S. Maria in Camuccia, Todi 1979, 49, 57-58 (inportanti docc. degli anni 1371, 1372, 1374), 59 n. 22.

Se le cose stessero veramente così, il valore testimoniale della nostra glossa ne uscirebbe gravemente colpito (di fatto poco o nullo credito è stato finora accordato alla glossa, non foss’altro per l’anonimato dell’autore). Congiuntamente ne uscirebbe colpita anche l’attendibilità del secondo cronista orvietano, Bartolomeo di Tebaldo, autore sia della nostra glossa che della più importante continuazione della cronaca; perché i dati grafologici e codicologici non sono più contestabili: chi scrive la continuazione della cronaca orvietana è la stessa mano che altrove risulta autografa di Bartolomeo.

Ebbene, una lettera di papa Innocenzo VII, Roma 6 aprile 1406, sconosciuta ai ricercatori delle origini del convento tudertino, impone d’integrare e in parte correggere quanto si sapeva sulla definitiva donazione di Santa Maria in Camuccia; nel contempo riscatta a pieno l’attendibilità della glossa di Bartolomeo. Vero è che si deve a Bonifacio IX una prima donazione ai domenicani della chiesa parrocchiale tudertina di Santa Maria, comprensiva sì degli annessi adibiti ad alloggio, ma concessa «soltanto a titolo d’uso e d’abitazione dei frati», sempre salvi comunque i diritti spettanti al rettore della chiesa. Successivamente però il vescovo di Todi, notabili della città e taluni enti ecclesiastici, tra i quali un monastero femminile e sua badessa, appellano contro la donazione bonifaciana presso il nuovo papa Innocenzo VII; costui accoglie l’istanza e in data 6 aprile 1406 revoca la donazione del suo predecessore:

ASV, Reg. Later. 125, ff. 92v-93r (Innocenzo VII, Roma 6.IV.1406): «Dudum siquidem pro parte dilectorum filiorum prioris provincialis et fratrum ordinis Predicatorum provincie Romane secundum morem ipsius ordinis felice recordacionis Bonifacio pape viiij predecessori nostro exposito quod olim domus eorundem fratrum quam in civitate nostra tudertina tunc temporis habebant, in edificiis et pertinentiis suis per officiales ecclesie romane tunc in eadem civítate existentes demolita et in arcem sive fortalitium erecta extiterat, quodque dicti prior et fratres ex post intra eandem civitatem nullam domum sive locum aliquem habuerant nec habebant, ac pro parte ipsorum prioris et fratrum dicto predecessori humiliter supplicato ut in recompensam dicte domus demolite parochialem ecclesiam Sancte Marie de Camumetia (Caminnetia?) tudertinam cum suis appendiciis pro usu et habitatione eorundem prioris et fratrum perpetuis temporibus ipsis donare dignaretur, idem predecessor dictis supplicationibus annuens per suas literas eandem ecclesiam cum predictis appendiciis dumtaxat pro usu et habitatione prefatis priori et fratribus concessit et donavit, iure tamen rectoris dicte ecclesie... semper salvo...

Verum, sicut exhibita nobis nuper pro parte venerabilis fratris Guilhelmi episcopi tudertini thesaurarii et confessoris nostri peticio continebat, predicta ecclesia Sancte Marie olim fuit cathedralis ecclesia tudertina, licet tractu temporis talis esse desierit, et postea in alio loco infra eandem civitatem nova cathedralis ecclesia canonice sit constructa ... Nos igitur de hiis omnibus plenarie informati... predictas literas auctoritate apostolica tenore presentium ex certa scientia cassamus et revocamus...

Datum Rome apud Sanctum Petrum octavo idus aprilis anno secundo».

Papa Innocenzo muore in novembre dello stesso anno. L’obbedienza romana elegge il veneziano Angelo Correr (Gregorio XII, 30 novembre 1406), col quale i domenicani della riforma veneziana intrattenevano da tempo amichevoli rapporti; e continueranno a dargli sostegno anche dopo l’elezione pisana del terzo papa (1409), benché maestro dell’ordine e capitolo generale di Bologna (1410) si dichiareranno per Alessandro V. Nel corso dell’anno 1407, dunque non molto tempo dopo l’elezione del nuovo papa Gregorio XII, il procuratore dell’ordine Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto torna alla carica, ribalta il peso delle pressioni di curia e ottiene definitivamente per i frati domenicani la chiesa parrocchiale di Santa Maria in Camuccia. È il tenore della nota autografa di Bartolomeo, non più contestata dalla donazione bonifaciana del 1393, corroborata invece dalla sopravvenuta revoca d’aprile 1406. E corroborata dalla lettera Siena 23 ottobre 1407 scritta al seguito della curia romana, e persuasiva pertanto d’un qualche ufficio curiale.


[1] Francesco Pollidori da Orvieto: n. 1723, OP 1740, maestro in teol. 1779, provinciale 1785-87, † Roma, S. Maria sopra Minerva 23.II.1787. Masetti, Monumenta II, 251-52; AFP 6 (1936) 14-15, 33-34; 51 (1981) 340a.


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