AGOP XIV.28 (= Cr Ov). Membranaceo, 267 x 190, pp. 102, paginazione settecentesca. Irregolari fascicoli e misure dei fogli. In più d’un caso si ha l’impressione che siano state utilizzate membrane di scarto o di recupero. Tipico esempio di codice ‘povero’. Molti degl’impacciati disegni a penna in bianco e nero, a capolettera della notizia dei singoli frati illustrati dalla Cronica, sono stati successivamente resecati, specie quelli del margine esterno delle carte. Il codice è stato restaurato nel 1987.
Giovanni di Matteo detto Caccia OP inizia la Cronica ispirandosi (in parte ricopia la serie dei maestri e cardinali dell’ordine) a quella del convento perugino avviata tra gli anni 1327 e 1331 da un anonimo frate locale (Perugia, Bíbl. Comunale Augusta 1141; per i caratteri generali di queste cronache vedi Quel che la cronaca conventuale non dice, MD 18 (1987) 227 ss). Giovanni però rinuncia a separare, come vuole la Cronica perugina, la sezione dei frati chierici da quella dei conversi, restituendo così l’unità della serie voluta dalla più antica e autorevole di queste cronache conventuali dell’Italia centrale, quella del convento fiorentino di Santa Maria Novella. Divide pertanto la Cronica orvietana nelle sezioni:
I) maestri dell’ordine (pp. 5-24);
II) cardinali dell’ordine (pp. 25-36);
III) liste dei frati-vescovi della provincia Romana (pp. 37-42), dei maestri in teologia (p. 42a), dei priori provinciali della provincia Romana (pp. 42-43);
IV) cronaca dei frati del convento d’Orvieto (pp. 45-102), la sezione più originale e specifica, redatta in forma di brevi notizie biografiche sui singoli frati figli del convento orvietano (provenienti cioè dalla praedicatio ovvero circoscrizione territoríale del convento) secondo l’ordine cronologico del decesso.
«Subsequenter nomina sunt apponenda ad utilitatem et suffragium animarum nostrorum fratrum defunctorum qui de dyocesi et civitate urbevetana necnon et eius predicatione traxerunt originem et in eodem ordine usque ad mortem perseveraverunt» (Cr Ov 5, ed. 4).
Giovanni Caccia ci dà poi una gustosa variante vernacolare della nozione di praedicatio: «fr. Bentifende oriundus de Castro Plebis, quod tunc temporis erat de circa urbevetani conventus» (Cr Ov 47), dove la cerca (la questua, uno dei diritti della circoscrizione conventuale) sostituisce per sineddoche praedicatio. Città della Pieve - vuol dir Giovanni - apparteneva a quel tempo alla circoscrizione territoriale del convento d’Orvieto, cosicché i frati di là oriundi erano figli nativi del nostro convento. Non sembra che Cr Ov ed. 71 abbia inteso il testo.
"Sezione più originale", quella dedicata ai frati del convento orvietano: che non inibisce però al cronista Giovanni Caccia operazioni gravemente sospette. Preleva di peso un lungo brano, contenente importanti notizie storiche sulla fondazione del convento di Caffa in Crimea, scritto da Cr Pg ff. 55v-56r per Franco da Perugía († 1333), e lo riutilizza per l’orvietano Iacopo d’Ugolino († 1300 ca.): Cr Ov 52-53 (ed. 81) da «Disponens autem ire ultra mare...» fino a «... devotione populi totius et salute».
Perugia, Bibl. Augusta 1141, ff. 55v-56r |
Cr Ov 52-53 (ed. 81) |
Disponens autem ire ultra mare ad predicandum gentibus que ignorant Deum, cum magno desiderio et fervore, ut verisimiliter creditur, hoc a Deo postulans impetravit; iuxta enim votum suum missus est personaliter et nominatim a domino Bonifatio papa viii° tamquam eius legatus et nuntius spetialis cum privilegio largo et multa autoritate subfulto ad predictum offitium exercendum. Disponente autem Deo venit in Capfa, terram que ad imperium pertinet tartarorum. Ibidem locum recipiens a ianuensibus sibi datum, |56r| eclesiam quoque edificavit pulcram cum magna devotione totius populi. |
Disponens autem ire ultra mare ad predicandum gentibus que Deum ingnorant, cum mangno desiderio et fervore [segue un quarto di rigo eraso] hoc a Deo postulans impetravit; et tandem iusta suum votum missus est personaliter et nominatim a domino Bonifatio papa viij° tamquam eius legatus et nuntius spetialis cum privilegio largo et multa auctoritate suffulto ad predictum offitium exercendum. Disponente vero Deo venit in Chapha, terram que ad imperium pertinet tartarorum. Ibidem recipiens locum pro ordine sibi a ianuensibus datum, eclesiam |53| quoque fundavit cum mangna devotione populi totius et salute. |
Delle notizie su maestri e cardinali dell’ordine, Giovanni riprende il testo già redatto dalla Cronica perugina introducendo qua e là minuti ritocchi redazionali e soprattutto aggiornando cronologicamente le biografie. Se mettiamo insieme le indicazioni tratte dagli aggiornamenti cronologici di queste prime sezioni, dall’aggiornamento della lista provincializia e dalla cronologia dei frati orvietani, ne ricaviamo che Giovanni attende alla redazione della Cronica nel corso degli anni 1346-48. La data più recente, aprile 1348, la verga sulle ultime carte della Cronica (Cr Ov 96, ed. 130). Nella lista dei vescovi d’origine fiorentina Giovanni si arresta ad Angelo di Monte degli Acciaioli (Cr Ov 39, ed. 55), di cui conosce soltanto gli episcopati aquilano (1328-42) e fiorentino (1342-) ma non quello di Monte Cassino (1355-57). Appresa la notizia del decesso (a inizio della grande moria del 1348, secondo la Cronica di Santa Maria Novella (Orlandi, Necr. I, 84-85) e senza indicazione di mese) dell’altro fiorentino Giovanni vescovo di Tiflis e non trovato più spazio sotto la debita rubrica a p. 39, il cronista orvietano apre fuori luogo una rubrica integrativa dei vescovi di provenienza fiorentina, «Item de Florentia», e vi trascrive la notizia sul vescovo di Tiflis (40-41, ed. 57-58). Il lavoro del cronista Giovanni Caccia vien meno dunque proprio nel corso del 1348. Molto verosimilmente, anzi, Giovanni muore anch’egli di peste nello stesso anno (la peste infierisce da calen di maggio a calen di settembre 1348: Cronaca inedita degli avvenimenti d’Orvieto, ed. F.A. Gualterio, Torino 1846, I, 118-19); il suo nome compare in cima alla semplice lista nominativa stesa da un’anonima mano trecentesca subito dopo l’ultima notizia datata aprile 1348: «fr. Iohannes Mactei qui compilavit hanc clonicam» (Cr Ov 98, ed. 131; ovviamente per cronicam; ma non è una svista meccanica perché una tendenza vernacolare allo scambio delle liquide è confermata da altri ricorsi nelle pagine della Cronica orvietana: clux (crux), declepitus (decrepitus). Simile attribuzione, consegnata a un calco latino eroso dal volgare romanzo, la si ritrova nelle prime carte di servizio: «Cronica fr. Iohannis dicto Caccia Urbevetani» (p. 1, marg. sup.).
Dell’edizione disponibile in Jean Mactei Caccia O.P., Chronique du couvent des Prêcheurs d’Orviéto, éd. par A.M. Viel - P.M. Girardin, Rome-Viterbe 1907, segnalo una svista pregiudizievole della datazione della Cronica: fr. Pietro della parrocchia Santa Croce «migravit ad Dominum... sub annis Domini MCCCXLV» non «MCCCLV» (Cr Ov 92, ed. 126). Si corregga anche l’incomprensibile data di morte di Raimondo da Capua («M.°CCC.°XXXX.°XI.°» (ed. 31) che nell’originale è «Mccclxxxxix » (Cr Ov 23; vedi testo in Appendice).
Teniamo in disparte la mano trecentesca che stende la lista nominativa in Cr Ov 98-100, ed. 131-32 (gli ultimi antroponimi di p. 100 portano accanto le date estreme 1364-70); e la mano che riscrive la notizia su Garino da Gy-l’Évêque (Cr Ov 21, ed. 28), del quale però non conosce il decesso, avvenuto in agosto-settembre 1348. La Cronica rimane sospesa al lavoro di Giovanni Caccia (1348). La divisione e distribuzione delle carte del volume prevede a fine di ciascuna sezione fogli o spazi in bianco per permettere la continuazione delle notizie. Chi riavvia l’aggiornamento, per quanto parziale, della Cronica è il nostro Bartolomeo di Tebaldo. Esaminiamo più minutamente il suo lavoro di cronista.
Sezione dei maestri dell’ordine (I). Bartolomeo riscrive l’elogio di san Domenico mettendo in risalto i nomi dei suoi primi discepoli e compagni (Cr Ov 4, ed. 2-3, escluso § «Nota quod provincia Tholosana...»); inserendosi poi dopo l’ultima notizia del cronista precedente, quella su Garino da Gy-l’Évêque, redige per intero le biografie dei maestri (Cr Ov 22-23, ed. 29-31): Iohannes de Molendinis (1349-50), Symon de Lingonis (1352-66), Helias Tholosanus (1367-), Raymundus de Capua (1380-99). Avvia sì la biografia di Tommaso da Fermo (1401-14) ma la lascia sospesa al primo e unico rigo: «Fr. Thomas de Firmo sacre theologie doctor eximius vicesimus magister ordinis» (p. 24, ed. 31). Del magistero d’Elia Tolosano o Raymond, Bartolomeo ricorda il merito del trasferimento a Tolosa (1368-69) del corpo di san Tommaso d’Aquino e vi aggiunge una notizia sconosciuta alle relazioni della traslazione (cf. SOPMÆ III, 281 n° 3394): che sulla strada da Fossanova a Tolosa il corpo di Tommaso facesse sosta per qualche giorno nel convento d’Orvieto; ma non fa parola né del magistero d’Elia d’obbedienza clementina succeduto allo scisma del 1378, che concorre cronologicamente con quello di Raimondo da Capua, né del decesso del maestro tolosano (Avignone 31 dicembre 1389) né dei suoi successori alla guida del ramo avignonese dell’ordine (testo su Elia Raymond e Raimondo da Capua in Appendice).
Nessun aggiornamento nella sezione dei cardinali (II), che Giovanni Caccia protrae fino all’anno 1343. Bartolomeo ne è stato dissuaso dal mal calcolato spazio lasciato a disposizione, poco più di mezza pagina (Cr Ov 36, ed. 46)? Aggiorna invece nella sezione III la lista dei provinciali della provincia Romana inserendo i nominativi (senza date croniche, qui da me integrate):
fr. Dominicus de Peccioli Pisanus (1377-80),
fr. Iacobus de Altovitis Florentinus (1380-88),
fr. Bartholomeus Dominici Senensis (1388-97),
fr. Michael ser Tini Florentinus (1398-1401),
fr. Federicus de Fulgineo (1402-04) (Cr Ov 43 col. b, ed. 63).
Precisazioni cronologiche su questi due ultimi provincialati in Un vademecum dei provinciali romani (secoli xiv-xv), MD 28 (1997) 405-09.
E nessun sistematico aggiornamento purtroppo nella sezione dei frati orvietani (IV), se s’intende stesura originale di notizie biografiche di frati posteriori al lavoro di Giovanni Caccia o cronologicamente prossimi a Bartolomeo. L’unica, relativa a un Niccolò da Orvieto con anno di morte Mcclxxxvi, la si legge in Cr Ov 45 marg. inf. (ed. 69, che però ha Mccxxxvi). Numerose sono invece le glosse aggiunte al testo del cronista Giovanni. E talune, come quella sul convento di Todi, di qualche interesse per chi vorrà riprendere metodicamente i contributi di Bartolomeo sul convento orvietano e illustrarli con ricerche locali. Così, ad esempio, le due giunte integrative concernenti l’ospizio dipendente dal convento San Domenico d’Orvieto:
Tempore istius <scil. fr. Massei, s. XIII ex> Bartho Grande Viannante [non «Branante» né «Brarnante » come si legge in Cr Ov ed. 75, 114] condidit testamentum et omnia bona sua reliquid conventui nostro pro hospitali fiendo, et deducto ad finem iste fuit factus primus rector hospitalis predicti existente priore fr. Egidio de Tuscanella (Cr Ov 49 marg. d., ed. 75).
Iste <scil. fr. Matheus de regione Sancte Marie, † 1336> fuit longo tempore rector hospitalis factus per fr. Tramum domini Conradi <† 1345>, et ita bene se habuit quod multi cives dicto hospitali dimiserunt bona sua et multum crevit hospitale tempore sue rectorie ultra illa bona que legaverat pro hospitali fiendo Bartho Grande Viannante; propterea fratres nunquam voluerunt ipsum absolvere. Post eum fuerunt facti seculares, qui semper attenderunt ad eius diminutionem omnia consumendo. Tempore recthorie istius, Petrus magistri Albini obtulit se et sua fratri Tramo priori pro hospitali (Cr Ov 80. ed. 114-15).
Troppo remoto il cronista dai fatti e dalle persone per meritar credito? Oltre alla tradizione orale, Bartolomeo potrebbe aver avuto sottomano qualche diploma conventuale. E proprio un diploma d’origine orvietano c’informa dell’esistenza di Pietro di maestro Albino, divenuto a sua volta rettore secolare dell’ospedale, che in marzo 1345 riceve donazioni da tale Andrea del fu Ugolino di Compagno da Orvieto (T.M. Mamachi, Annales ordinìs Praedicatorum I, Romae 1756, App. col. 195).
Familiari ormai con la fisionomia del glossatore e la sua carriera scolastica, non avremo più titubanze a inserire fr. Taddeo da Montepulciano, in religione dal 1308 e deceduto nel 1344, tra gli Scriptores domenicani. Lo ricaviamo da una giunta autografa che il nostro Bartolomeo cuce su testo preesistente di Giovanni Caccia spezzandone i nessi sintattici, che poi è costretto a ristabilire reiterando a distanza il verbo fuit. Il risultato finale sarà (in corsivo quanto dovuto alla mano di Bartolomeo):
Qui <scil. Tadeus de Montepoliciano> fuit lector narniensis et romanus. Et ex sua industria naturali scripsit multa manu propria. Et multum in suis predicationibus sequebatur scientiam sancti[11]Thome. Abbreviavit et reduxit ad formam modernam sermones de tempore et de festis domini Tusculani, et sunt in libraria nostri conventus urbevetani; mirabiliter fuit bonus mechanicus (Cr Ov 86 marg. sup. con segno di richiamo, ed. 120).
Se nell’accezione del tempo «scripsit» sta semplicemente per opera di copia, il lavoro di compendio e ammodernamento dei sermoni del cardinal Tuscolano è attività compositiva, benché compilatoria, che rivendica a buon diritto il titolo di auctor. «E sono nella biblioteca del nostro convento». Conservati nella biblioteca di San Domenico d’Orvieto erano non soltanto i compendi omiletici di Taddeo, finora non identificati, ma anche sei splendidi volumi del XIII secolo contenenti sermoni «domini Tusculani». Al pari del codice della Cronica, furono anche essi sottratti dai frati alle soppressioni ottocentesche e trasferiti a suo tempo all’archivio centrale dell’ordine domenicano; qui sono oggi conservati sotto la referenza XIV.31-35 (Oddone da Châtearoux, † 1273), XIV.36 (Giacomo da Vitry, † 1240: cf. J. Longère, La prédication médiévale, Paris 1983, 88-9, 92, 150; id., Quatre sermons ad canonicos de Jacques de Vitry, «Rercherches Augustiniennes» 23 (1988) 152). Entrambi, Giacomo e Oddone, erano stati cardinali vescovi del titolo di Tuscolo. Ma è Oddone il «dominus Tusculanus» inteso dalla giunta di Bartolomeo: perché nome e titolo cardinalizio comparivano nei prologhi alla silloge d’Oddone («Ego Odo episcopus Tusculanus habens pre oculis... »: AGOP XIV.34, f. 2va), non così invece per la collezione dei sermoni «ad status seu vulgares» di Giacomo da Vitry (AGOP XIV.36); e perché i sermoni «de tempore et de festis» abbreviati e ammodernati da Taddeo non possono che applicarsi alla serie di Oddone, XIV.31-34, per l’appunto sermoni temporali e festivi dall’Avvento alla domenica XVIII dopo Pentecoste (mentre XIV.35 è il santorale). Oddone morì in gennaio 1273 in Orvieto, dove allora risiedeva la curia romana, e fu sepolto nella chiesa domenicana della città. Non ci sorprenderemo più, allora, se in almeno uno dei sermonari scopriremo le tracce della frequentazione bibliotecaria dei frati orvietani; in AGOP XIV.34, f. 2vb, a fine prologo di «Odo episcopus Tusculanus» si legge una giunta di mano tardotrecentesca, diversa da quella del copista e del correttore, dai tratti irregolari. Il tenore della nota rinvia palesemente alla penna d’un frate di San Domenico d’Orvieto. La lettura risulta incerta in più luoghi a motivo dell’inchiostro evanescente (tra parentesi acute lezioni dubbie o tentativi di restauro):
Nota quod iste venerabilis pater et magister in sacra theologia dedit conventui urbevetano unum calicem totum aureum et crucem etiam ex toto de auro <de?> spina de corona Domini nostri Iesu Christi, quam spinam donavit beatus Ludovicus rex Francie predicto domino cardinali. Insuper dedit conventui supradicto paramenta pulcra de violatio, necnon et quam plura bona alia. Et quia ipse venerabilis dominus iacebat et iacet sepultus in ecclesia fratrum Predicatorum de Urbeveteri, scilicet iuxta altare beate Marie infra crates ferreas, ratione sue sancte sepulture dominus Guilielmus cardinalis tituli sancti Marci voluit consimiliter in eadem ecclesia sepeliri. Cuius sepulcrum est permagnificum et sumptuosum inter <omnia sepulcra> vicinia et romana. Qui etiam dominus Guilielmus dimisit <et l>egavit urbevetano conventui.
Cf. A. Walz, «Analecta ord. Praedicatorum» 33 (1925) 178 n. 5. Il cardinal Guglielmo da Bray morì in Orvieto, 29 aprile 1282: A. Paravicini Bagliani, I testamenti dei cardinali del Duecento, Roma 1980, 34-37. Non credo però che la nostra nota sia incompleta e «si interrompa nel margine inferiore alla fine della seconda colonna» (ib. p. 37, da J.-B. Pitra). Gli ultimi due verbi son tutt’altro che alieni dalla costruzione assoluta, che non esige necessariamente l’esplicitazione d’un complemento oggetto; asseriscono, senz’ulteriore specificazione, che anche Guglielmo «fece lasciti e dispose legati a favore del convento orvietano». Se il chiosatore avesse voluto aggiungere alcunché avrebbe potuto sfruttare l’abbondante spazio disponibile alla sua sinistra, a piè di colonna a.
Va escluso che possa esser la mano di Bartolomeo di Tebaldo: l’evoluzione della scrittura a base libraria verso soluzioni corsivo-documentarie è meno avanzata che in Bartolomeo; la u iniziale a forma di v prolunga in alto verso sinistra il primo tratto (ripiega in alto verso destra, in Bartolomeo); la d è eseguita con una sola asta retta adagiata verso sinistra (con asta tondeggiante che si prolunga in alto per girare verso sinistra ad occhiello e richiudersi con tratto orizzontale di rientro a destra, in Bartolomeo). E relativamente al sistema grafico di Bartolomeo si noti ancora: rispetta la tradizione gotico-libraria della r a forma di 2 dopo lettere che chiudono a occhiello; fa regolare uso della cedigliata ç; la distinzione fonetica in atto tra u e v è spesso graficamente rappresentata, anche all’interno della parola: adinvenit, Servii, Lauvina (da Lauinia), insieme con Eua, Minerua, nelle rubriche al De mulieribus claris del Boccaccio in Roma, Bibl. Vallicelliana C 48, ff. 130-170.
«Permagnificum et sumptuosum»: così suona nel lessico estetico del chiosatore la meraviglia di fronte al capolavoro d’Arnolfo di Cambio che dava lustro a San Domenico d’Orvieto. Trasferito altrove e sopravvissuto in frammenti, il monumento sepolcrale del cardinal Guglielmo da Bray († Orvieto 29.IV.1282) è oggi oggetto di rinnovate ricerche ai fini d’un conveniente restauro e ricollocazione nel suo posto originario: P. Refice, Per una lettura del monumento De Braye: analisi e documentazione, «Arte Medievale» 2 (1988) 141-53.
Ecco la lista completa degli interventi autografi di Bartolomeo di Tebaldo nella Cronica di San Domenico d’Orvieto:
Cr Ov 4 (ed. 2-3): M°clxx° temporibus Alexandri... generale capitulum celebraretur.
6 marg. sup. (manca in ed.): M°ccxv post lateranense... constitutionum assumentes.
22-23 integralmente (ed. 29-31): le quattro notizie biografiche, salve le rubriche delle prime tre in p. 22, dei maestri dell’ordine Iohannes de Molendinis, Symon de Lingonis, Helias Tholosanus, Raymundus de Capua.
24 (ed. 31): Fr. Thomas de Firmo... magister ordinis.
38 marg. inf., la prima delle due giunte marginali (ed. 53): Fr. Ludovicus de Urbeveteri fuit episcopus **rontinus[16]. Fr. Iohannes Bartholomutii fuit episcopus synopiensis.
43 col. b, righi 4-8 (ed. 63): fr. Dominicus de Peccioli... fr. Federicus de Fulgineo.
45 (ed. 68-70): molte giunte laterali e interlineari, la più lunga nel marg. inf.: fr. Nicolaus de Urbeveteri... prior urbevetanus.
49 marg. d. (ed. 75): tempore istius... de Tuscanella.
52 marg. sin. (manca in ed. 81-82): «Iste <scil. Iacobus Hugolini> recepit conventum in Chafa». Si tratta piuttosto di un notabilia sul testo di Giovanni Caccia, il quale però qui sta copiando quanto la Cronica perugina aveva attribuito a Franco da Perugia.
60 marg. sup. (ed. 90): Tempore prioratus... de dicto fonte platee populi.
68 marg. inf. (ed. 101): Tempore prioratus... orologium conventus M°cccv.
75 marg. inf. (ed. 109): Tempore prioratus... sub tecto M°cccxj.
76 marg. inf. (ed. 111): Iste fuit primus vicarius... infideles et saracenos.
80 marg. inf. (ed. 114-15): Iste fuit longo tempore... pro hospitali.
86 marg. sup. con nota di richiamo (ed. 120): scripsit multa manu propria... nostri conventus urbevetani.
86 rigo 8 in interlinea (p. 120): fuit (relativo alla giunta precedente).
91 marg. inf. (ed. 125): Nota propter multa bona... descendentes domini Berardi.
■ In Cr Ov ed. 125 si legga «Nam dominus Conradus domini Ermanni domini Cittadini (non cittadini) de Monaldensibus» intendendo Cittadinus per antroponimo, nome cioè del nonno di messer Corrado; il quale dette il medesimo nome, Citta per troncamento, a uno dei suoi figli: (Orvieto 3.III.1307) «Nobiles viri et potentes, silicet Mannus et ser Citta, filii condam domini Corradi domini Hermanni de Monaldensibus, pro se et Berardo eorum fratre et Vannutio filio Petri domini Aldebrandutii,... ex succexione domine Oduline, matris predictorum Manni, Berardi et Citte, et domine Ranaldesce matris ipsius Vannutii, que fuerunt filie nobilis viri domini Berardi condam domini Petti Ranaldi» (APR, Diplomatico 3.III.1307). Bartolomeo mostra di disporre d’una buona fonte quando disegna in questa giunta di Cr Ov 91 le relazioni dinastiche dei Monaldeschi. Cf. D. Waley, Mediaeval Orvieto, Cambridge 1952, 167-68 e Table I.
■ Adde: Altro intervento autografo di Bartolomeo in Cronica fratrum Sancti Dominici de Perusio, Perugia, Biblioteca comunale Augusta 1141 (xiv-xvi), f 10v marg. infer., in relazione alla biografia di Giordano da sannonia: «Sub magistro Irdane anno ??ccxxxiij receptus fuit conventus in Urbeveteri romane provincie per fratrum Clarum, tunc priorem provincialem romane provincie. Et est primus conventus ordinis hedificatus sub nomine beati Dominici. Eodem enim anno beatus pater Dominicus chathalogo sanctorum fuit annotatus».
Quando esattamente Bartolomeo attese a integrare la Cronica del proprio convento?
Le biografie dei maestri dell’ordine suppongono almeno ottobre 1399, data di morte di Raimondo da Capua; quella appena avviata di Tommaso da Fermo è posteriore a maggio 1401, tempo dell’elezione al magistero. L’integrazione nella lista dei provinciali suppone almeno l’inizio del provincialato di Federico Frezzi da Foligno (1400-04, restringi a 1402-04). Le altre giunte, asistematiche e di natura avventizia, non rilasciano indicazioni cronologiche di sorta; a rigore potrebbero esser state vergate anche in tempi diversi, irrelate come sono le une alle altre. Soltanto la giunta Cr Ov 45 (ed. 69) concernente il convento di Todi e sopra discussa, comporta l’utile indicazione dell’anno 1407 come termine post quem.
La cronologia di Bartolomeo finora conosciuta non aiuta a formulare una risposta soddisfacente per tutti i casi. Invita a puntare gli occhi alle residenze orvietane. A quella d’inizio Quattrocento, presumibilmente protrattasi fino alla carica di procuratore (1407 ca.); che per congruità cronica richiama gl’interventi sulle serie dei maestri dell’ordine e dei provinciali Romani, entrambe aggiornate fino ai primissimi anni del Quattrocento. Un’altra residenza orvietana fa seguito al lettorato veneto: dal 1411-12 fino alla successiva residenza perugina, iniziata almeno in autunno 1415 e chiusasi nel 1423. La più volte menzionata giunta sul convento tudertino riferisce fatti del 1407, ma non rilascia alcun indizio per inferirne che venisse vergata in quello stesso anno. Nulla contesta l’eventualità che Bartolomeo tornasse a più riprese e in tempi diversi a chiosare le carte della cronaca conventuale. Anche dopo il definitivo rientro ad Orvieto nel 1423, se la conclamata decrepitezza (in parte funzionale al rilascio della grazia papale) gli avrà consentito di tener la penna in mano.
Resterebbe il tentativo di un’analisi minuziosa sulla progressiva senescenza dei tratti grafici, da rimettere a paleografi specialisti in materia. Un punto fermo a cui ancorare il tentativo l’abbiamo: la lettera autografa scritta da Siena in ottobre 1407. Gl’interventi su f. 170v del codice Vallicelliano e più vistosamente le rubriche dei capitoli del De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio (composizione aa. 1361-62, con successive limature) sembrano accusare qualche smagliatura o irrisolutezza di tratto rispetto alla lettera del 1407; e rispetto alle pagine della Cronica che accolgono gli aggiornamenti dei maestri dell’ordine. Vero è che datare gli interventi autografi di Bartolomeo nel codice Vallicelliano non equivarrebbe necessariamente a datare anche la trascrizione dell’opera del Boccaccio (di certo eseguita dopo il 1388, magistero in teologia del frate orvietano, titolo ricordato dall’explicit di f. 170va); ma è difficile credere che il committente e padrone del codice tardasse di anni a rubricare la nuova opera messagli a disposizione dal copista Martino e a postillarla con i molti notabilia marginali.
Diciamo dunque preferibilmente che fr. Bartolomeo di Tebaldo da Orvieto aggiorna la Cronica del proprio convento nel primo ventennio del Quattrocento; fatta salva l’eventualità d’altri tempi, e di date croniche più circoscritte, per le glosse di natura avventizia.
* * *
Addendum. A seconde bozze di stampa m’imbatto in uno spoglio settecentesco di fonti orvietane: segnala stanziamento di vitalizio a favore di Bartolomeo da Orvieto OP maestro in teologia, anno 1423, nei libri delle Riformagioni della città d’Orvieto (AGOP XIV lib. LLL, II, f. 551). Perfettamente consonante con i nostri documenti relativi al 1423. Non sarà difficile a ricercatori locali rintracciare l’originale nell’Arch. di Stato d’Orvieto, Libri delle Riformagioni, ad annum.
[11] Scritto chiaramente sc’iam sc’i (scientiam sancti); tale divenuto nell’atto della scrittura per attrazione d’anticipo in luogo di sn’iam sc’i (sententiam sancti)?
[16]
Lettura incerta. Ma dovrà trattarsi di «fr. Ludovicus de Urbeveteri
episcopus Chironensis » (1396) di cui nei registri dei maestri
dell’ordine: MOPH XIX, 118 n° 561, 119 n° 566. Ignoto a
HC I, 185; mentre il «Ludovicus Urbevetanus episcopus Sìnopensis»
di cui Bullarium OP IV, 78, ripreso da
HC II, 238 (e finito a Cr Ov ed. 53 n. 2), potrebbe avere
alle sue spalle nient’altro che una contaminazione col seguente fr.
Giovanni vescovo «synopiensis» della nostra giunta.