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Vesperie quas feci pro magistro Federico
(
Pisa 1390-1391 ca.)

BAV, Barb. lat. 710, ff. 107va-108vb

originale latino

volgarizzamento (2009) di EP

Dixi tertio quod ponitur colligationis firma sanctitudo, quia dicitur inter me et vos.

Plane noster vesperiatus magistris et theologie doctoribus, quibus sperat coniungi et agregari, dicit: Inter me et vos erit firma sanctitudo colligationis. Nam colligabimur sapientia increata, quam omnes simul nostris viribus conabimur intelligere.

Terzo, solida santità di ricongiungimento, laddove dice tra me e voi.

Il nostro vesperiato dice apertamente ai maestri e dottori di teologia, ai quali spera d'esser aggregato: Tra me e voi  vi sarà salda santità di ricongiungimento. Saremo infatti congiunti dalla increata sapienza, che tutti noi ci sforzeremo insieme d'indagare.

Colligabimur sapientia ins<pira>ta, quam studio et oratione acquirere meruemur. Per sacram enim scripturam intelligimus sapientiam increatam habere:

Saremo associati per opera della sapienza ispirata, che meriteremo di conseguire con lo studio e la preghiera. Dalla sacra scrittura apprendiamo che la sapienza increata possiede:

- claram evidentiam quorumcumque dubiorum queribilium

- certam prescientiam quorumcumque futurorum possibilium

- notam luculentiam quorumcumque occultorum credibilium

- summam sapientiam quorumcumque obiectorum noscibilium.

- chiara soluzione di tutti i dubbi inquisitivi

- certa preconoscenza di tutte le possibilità future

- evidente splendore di tutti i misteri della fede

-  somma sapienza circa ogni materia conoscibile.

Scribitur enim, 2° capitulo Apoc., de Christo existente sapientia, «qui habet oculos tamquam flammam ignis». Christo enim convenit:

- oculus inhabitans lucem increatam

- oculus predestinans plebem preamatam

- oculus considerans labem occultatam

- oculus reverberans mentem celibata<m>.

È scritto in Apocalisse 2,18, a proposito del Cristo sapienza vivente: «il quale ha occhi fiammeggianti come fuoco». Congruo al Cristo è:

-  occhio che penetra luce increata

-  occhio che presceglie popolo amato

-  occhio che vede macchia nascosta

-  occhio che riflette mente celestiale.

Propter oculum inhabitantem lucem increatam, ille idem Apostolus qui di?? «lucem habitans inaccessibilem», dicit: «Omnia nuda et aperta sunt oculis eius». Ea propter beatus Agustinus, libro De agnitione vere vite, cap. 22, dicit: Hec profecto est lux inaccessibilis quam inhabitat Deus, hic oculus limpidus cui omnia patent, essentia Dei solis mundis cordibus visibilis. Hic nullus cogitet luce Deum quasi tabernaculo hominem circumdatum, quasi aliud sit Deus qui lucem habitat et aliud lux quam inhabitat; sed potius ipsam lucem essentiam(?) Dei sciat, in qua universa bona simul locata intelligat.

Occhio che penetra luce increata. Il medesimo Apostolo che aveva detto «Egli abita luce inaccessibile» (I Timoteo 6,16), dice: «Tutto è nudo e scoperto ai suoi occhi» (Ebrei 4,13). E pertanto Agostino, De agnitione vere vite, cap. 22, dice: Questa è la luce inaccessibile che Dio inabita, questo l'occhio limpido cui tutto è manifesto, l'essenza di Dio visibile ai soli puri di cuore. Nessuno pensi che Dio sia circordatato dalla luce al modo che l'uomo è circordatato dalla tenda, quasi che una cosa sia Dio inabitante la luce e altra cosa sia la luce inabitata; piuttosto la luce è la stessa essenza di Dio, nella quale tutte le cose buone risiedono insieme.

Hec est lux que angelos et animas in celis sua visione satiat, eosdem beatificans quos predestinavit, et in celestibus consedere fecit propter oculum predestinantem plebem preamatam. Dicit Psalmus 101 «Oculi mei ad fideles terre sedeant mecum», propter oculum considerantem labem ocultatam. Dicitur Ecc. 23[,19] «Oculi Domini multo plus lucidiores sunt super solem, circumspicientes omnes vias hominum, et profundum abissi et hominum corda intuentes».

Questa è la luce che in cielo sazia della propria visione gli angeli e le anime; che rende felici i predestinati; che tramite lo sguado provvidenziale fa risiedere in cielo il popolo amato. Dice Salmo 101,6, «I miei occhi sono rivolti ai fedeli del paese perché restino a me vicino», a motivo dello sguado rivolto alla macchia nascosta. Ecclesiastico (o Siràcide) 23,28: «Gli occhi del Signore sono di gran lunga più luminosi del sole; essi vedono tutte le azioni degli uomini e penetrano fin nei luoghi più segreti».

Et recte dicitur «super solem». Solis enim radius solum presentia non futura, solum extrinseca non interna, solum corporea non abstracta, solum opposita non superna, illustrare et introspicere dicitur. Sed Dei oculus presentia et futura, extrinseca et interna, patentia et occulta, corporea et abstracta, mundialia et celestia, intuerur; et non ulla creatura invisibilis in conspectu eius.

E rettamente si dice «di gran lunga più luminosi del sole» (Siràcide 23,28). Il raggio del sole illumina e scandaglia soltanto le realtà presenti non le future, soltanto il loro esterno non l'interno, soltanto le realtà fisiche non le nozioni astratte, soltanto il lato prospiciente non il retrostante. L'occhio del Signore, al contrario, vede le realtà presenti e quelle future, l'esterno e l'interno, le cose visibili e quelle recondite, le realtà fisiche e quelle astratte, le terrestri e le celesti; e nessuna realtà creata è invisibile al suo sguardo.

Merito ergo oculi Domini lucidiores sunt super solem propter oculum reverberantem mentem nostram celibatam. Dicebat beatus Agustinus, libro Meditationum, cap. 2: Non suffert oculus anime diu capere lucem illam que nonnisi purgata mente videtur; tota ubique est, tota visio est, tota oculus est. Non sufficit mens invalida in illum intendere oculum: reverberatur fulgore, vincitur amplitudine, obruitur immensitate, confunditur capacitate. Ideo dicimus cum psalmista: «Inperfectum meum viderunt oculi» donec veniat quod perfectum est, et videamus eum sicuti est.

Giustamente gli occhi del Signore sono più risplendenti del sole a motivo dello sguardo che rispecchia la nostra mente celestiale. Diceva sant'Agostino, Le meditazioni, capitolo 2: Lo sguardo dell'anima non sostiene a lungo quella luce, che è visibile soltanto a una mente pura; è tutta dappertutto, è tutta visione, è tutta sguardo. Una mente fragile è inabile a rimirarla: colpita dallo splendore, battuta dalla dimensione, sopraffatta dalla immensità, sconvolta dalla perizia. Diciamo infatti con le parole del salmista (Salmo 139,16): «Informe mi hanno visto i tuoi occhi» finché non verrà la perfezione, e possiamo vederlo così com'è.

Noster autem vesperiatus tota operatione po(ssibi)li sibi conatus est sanare oculum cordis, unde videri potest Deus. Consideravit enim quod ad hoc sacrosancta misteria celebrantur, ad hoc sermo Dei predicatur, ad hoc eius eloquiis inflammantur corda fidelium. Nam igitur eloquium Dei vehementer et «preceptum Domini lucidum illuminans oculos».

Il nostro vesperiato ha tentato con tutte le sue forze di curare l'occhio del cuore, cosicché Dio possa esser contemplato. Apprese che a tale scopo i sacri misteri vengono celebrati e la parola di Dio viene predicata, affinché i cuori dei fedeli siano infiammati dai suoi discorsi. Forte è la parola di Dio, «i comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi» (Salmo 19,9).

Unde conclusit quod in Christi visione apparet oculus igneus, oculus pervius, oculus lucidus, oculus flameus:

- oculus flammigerans oculus vaporis

- oculus elucidans oculus spendoris

- oculus purificans oculus nitoris

- oculus sanctificans oculus amoris.

Quid enim est aliud flamma ignis nisi vapor accensus? Igitur in Christi visione datur vapor accensus, fervor intensus, splendor immensus, amor extensus ad Deum et ad Christum.

È pervenuto dunque, il nostro vesperiato, alla conclusione che nella visione del Cristo compare l'occhio di fuoco, l'occhio aperto, l'occhio brillante, l'occhio ardente:

-  occhio infiammato è occhio di vapore

-  occhio brillante è occhio dello spendore

-  occhio puro è occhio della lucentezza

-  occhio santificante è occhio dell'amore.

E che cos'altro è la fiamma del fuoco se non il vapore acceso? Nella visione del Cristo si dà vapore acceso, calore intenso, spendore immenso, amore esteso a Dio e al Cristo.

Etiam noster vesperiatus vidit quod oculi Christi accipi possunt pro sensibus sacre scripture. Dicit enim Ambrosius, litera xi: Duos oculos habet scriptura, moralem et misticum. Et hii veluti ignis, amore |108vb| flammigerant et accendunt. Misticus oculus acutior est, moralis vero dulcior. Sed in utroque et amorem veritatis congnoscende et fervorem deitatis excolende et dulcorem caritatis accendende et nitorem claritatis consequende, asciscitur mens humana.

 Il nostro vesperiato, inoltre, ha constatato che gli occhi del Cristo possono essere intesi come significati della sacra scrittura. Dice Ambrogio, epistola XI: Due occhi ha la sacra scrittura, quello morale e quello mistico. E come se fossero fuoco, essi per amore |108vb| ardono e infiammano. L'occhio mistico è più acuto, quello morale più dolce. Ma in entrambi la mente umana approva l'amore della verità da scoprire, il fervore della divinità da adorare, la dolcezza della carità da accendere, lo spendore della luminosità da conseguire.

Propterea noster vesperiatus, in sacra scriptura studuit diligenter ascultando, eam legit aliis luculenter explanando, servavit et tenuit operanter exequendo et exequenter operando. Nam in scriptura habuit intelligentiam claritatis, efficaciam voluntatis, profectum memorie tenacis. Et sic illuminato intellectu adeo aliis elucidabat, devoto affectu in se recipiebat et adherebat, opere et effectu quod legerat adimplebat.

Di conseguenza il nostro vesperiato ha studiato la sacra scrittura in diligente ascolto, l'ha commentata a scuola in ridondante esposizione, l'ha osservata nella pratica di vita e nel coerente comportamento. Nella scrittura ha conseguito l'intelletto della chiarezza, l'efficacia della volontà, il frutto d'una memoria tenace. E il suo intelletto illuminava quello altrui, accoglieva in se stesso e aderiva (alla sacra scrittura), nei fatti e nelle conseguenze metteva in pratica quel che leggeva.

Sic igitur in sacra scriptura triplex meritum acquirebat: primo pro exercitio studii et instructionis, secundo pro actu credendi et adherendi, tertio pro actu interiori efficaciter operandi vel volendi ad correctionem vite.

Nella sacra scrittura conseguiva tre meriti: primo, dedizione allo studio e all'apprendimento; secondo, atto di fede e di partecipazione; terzo, interiore volontà di agire con efficacia e predisposizione a raddrizzare la rotta.

Ex hiis et aliis, noster vesperiatus cognovit quod studium sacre scripture erat meritorium, dicente Ambrosio, litera 7 super Beati: Hec est anime nostri vitalis substantia. Et Augustinus ait: Nulle virtutes, quibus beatitudo acquiritur, sine scripture notitia habentur; hic enim datur radix vite meritorie. Sed velle quidquid Deus vult te velle, et nolle quidquid Deus iubet te nolle, hic ostenditur qualiter et quare Deus diligendus, qualiter vitia odienda, parva appetenda, supplicia fugienda.

Da tutto ciò, e da altro, il nostro vesperiato ha preso atto che lo studio della sacra scrittura era encomiabile; Ambrogio, epistola 7, commento a Beati (Salmo 119,1): Questo è il nocciolo della nostra vera vita! E Agostino: Nessuna virtù, pegno della beatitudine, è conseguibile senza conoscenza della sacra scrittura; in essa risiede la radice di una vita degna. Volere quel che Dio vuole che tu voglia, rifiutare quel che Dio vuole che tu rifiuti: qui si mostra come e perché dobbiamo amare Dio, detestare i vizi, desiderare le cose umili, rifuggire dalle torture.

Ideo noster vesperiatus, obmissis aliis scientiis frivolis, totus inherebat studio sanctissime lectionis; orabatque ut Doctor animarum et illustrator ingenii in eius mentem infunderet veritatem, quam in utilitatem proximi posset effundere luculenter.

Il nostro vesperiato, pertanto, lasciate cadere le frivolezze, si concentrò pienamente nello studio della sacra pagina; e pregava affinché il Maestro della anime e luce dell'intelletto riversasse nella sua mente la verità, che a sua volta potesse abbondantemente diffondere a bene del prossimo.

Nam sciebat scriptum: «Non enim vos estis qui loquimini sed spiritus Patris vestri qui loquitur in vobis». Agustinus, super Ps. 88: Si a me loquor, mendax sum; si in me loqueris, Domine, verum dico. Ergo a te, Domine, dicam, et ego dicam duo: quedam sunt unum tuum et unum meum, veritas tua, os meum.

Conosceva le parole: «Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Matteo 10,20). Agostino, a proposito di Salmo 88: Se fossi io a parlare, sarei menzognero; se sei tu a parlare in me, o Signore, allora dico il vero. Parlerò dunque a tuo nome, Signore, e due cose dirò: una è totalmente tua, e una mia: tua è la verità, mie le labbra!

Ergo nisi loquatur nobis intus filius Dei, sine causa nos foris perstrepimus. Unde hoc apparet: quia cum multi audiunt, non omnibus persuadetur quod dicitur sed illis solis quibus intus loquitur Deus. Dicebat igitur noster vesperiatus: «Audiam quid loquatur in me dominus Deus, quoniam loquetur pacem» anime sempiternam. Quam nobis concedat, etcetera.

Se dunque il figlio di Dio non ci parla nel cuore, noi sapremo soltanto sbraitare. Ne è prova che laddove sono molti ad ascoltare, non tutti ne restano persuasi ma soltanto coloro nel cui cuore è Dio a parlare. Diceva il nostro vesperiato: «Ascolterò che cosa dice Dio il Signore, perché egli annunzia la pace» (Salmo 85,9) sempiterna del cuore. Pace che egli ci conceda, eccetera.

[ Pisa 1390-1391 ca. ]

[ Firenze 2009 !]

Emilio Panella OP

Firenze SMN, 2009


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