I curdi. Chi sono costoro?
- Riccoldo da Monte di Croce, di fatto cittadino fiorentino del popolo San Pier
Maggiore; il padre Pennino era originario di Monte di Croce (castello distrutto,
sito a monte di Pontassieve) immigrato in Firenze. Riccoldo frate domenicano dal
1267, muore il 30.X.1320. Viaggia e risiede in medioriente (a lungo
nella valle mesopotamica, attuale Irâq) nel decennio 1288-1298. Consegna il
racconto dei viaggi ed esperienze orientali nel
Liber peregrinationis,
redatto appena di ritorno a Firenze, 1300 circa. Liber peregrinationis,
manoscritto Berlin, Staatsbibliothek, lat. 4°.446 (xiv in), ff. 1-24, originale latino, correto e integrato dall’autore; sui curdi ff. 11vb-12ra. Qui
sotto anonimo volgarizzamento toscano trecentesco, d’area linguistica pisano (nasione
= nazione; pió = più): Firenze, Bibl. Nazionale Centrale,
Magl. II.IV.53 (xiv med), ff. 1r-26r. I curdi: gente mostruosa e rabiosa
nella rappresentazione corrente (per un fiorentino di città anche un mugellese
o romandiolo era salvatico!), mansueta e beningna nell'episodio direttamente vissuto. Pregiudizi trasmessi contro rapporti personali. Percorso: Riccoldo sverna (1290?) in Tabrîz (Irân), di qui muove verso le montagne curde e scende nella valle del Tigri (Irâq), verosimilmente attraverso Rawanduz.
Quinde <da Tabrîz > procedendo verso
'l meizzo [= ad meridiem] pervenimmo alla mostruosa
e rabiosa gente dei corti… Questi abitano in monti alti e colli prerupti come
capre salvatiche; unde li tartari, li quali sì suggiugano tutte l’altre
nassioni orientali, non si potero sottomettere questi corti. Et non sono
chiamati corti perch’elli siano di piccola statura, ansi sono grandi
comunemente, ma perché sono crudeli e rei come lupi, unde corti in lingua
persicha viene a∙ddire lupo. Questi vanno |10v| quasi nudi e con capelli
lunghi e rivolti e composti, e portano lunga barba, e in capo portano certe
creste rosse in sengno di superbia e di singnoria… Questi sono saracini e
tienno la legge dell’alcorano, et ànno in sonmo hodio li cristiani et
spesialmente li franceschi, e molto piò spesialmente cherici e religiosi, e
però piò si studiano e dilettano d’uciderlli. Questa gente così feroce e
crudele, Dio a∙nnoi per∙lla sua pietà fece diventare mansueta e
beningna, ad ciò che ci ricevectono dolcemente et mostrarnoci molta umanità.
Et cerconno per certi nostri conpangni li quali eràvano
per∙llo diserto, e tràsseroli della neve et rimenalli a∙nnoi. Et
poi ci fecero molti grandi fuochi et presentonnoci mel silvestre e certa manna
la quale chiamano manna di cielo, la quale in quelli loro diserti copiosamente
abonda, e diceno che discende et viene da cielo. Questi in prima antichamente
funno caldey, poi al tenpo delli apostoli u poi diventorno cristiani, et al’ùtimo
per avere leggie piò larga e libera diventorno saracini (Firenze, Bibl.
Nazionale, Magl. II.IV.53, f. 10r-v).
Firenze, chiesa Santa Trinita, 3a cappella della navata sinistra entrando, pala d'altare del secondo '400, Annunciazione. Porta in didascalia il saluto dell'angelo Gabriele:
"Ave Maria gratia prena, Dominus techum"
Proprio così, prena; pregna in volgare toscano, gravida, detto d'ogni specie d'animale
femmina. Un lapsus in luogo di plena (piena)? come vuole la vulgata biblica Luc. 1, 28. Insostenibile un errore involontario, che oltrepassi filtri molteplici: testo breve, controllo del pittore e dei lavoranti di bottega; controllo soprattutto del frate sacrista che espone al culto pubblico una tavola
con tale didascalia, lì rimasta per secoli.
Caso dunque di testo biblico (fonte del prodotto artistico) nella versione volgare, comunemente circolante e accettata, addirittura promossa a pubblica edificazione in chiesa; irraggiungibile per via della trasmissione scritta della bibbia. "Mia nuora è pregna", sentii da un contadino d'Arezzo! - non solo le conigliole. Già Dante,
Parad. XIII,84: «così fu fatta la Vergine pregna».
Variante inautentica, prena,
nella trasmissione scritta. Raggiunge tuttavia, tramite la trasmissione orale mescidata col volgare, l'intenzione autentica del messaggio biblico. Con più commossa e domestica emozione. Maria è incinta di Gesù; costui è la grazia del Padre; dunque: Maria sei pregna della grazia!
"Angelo annunciante" di Domenico di
Fathino da Lucca (1389)
Scultura lignea. Proveniente dalla chiesa San
Cristoforo di Lucca, conservata nel Museo di Villa Guinigi. La mano sinistra
dell'angelo regge cartiglio in ricaduta verticale, dall'iscrizione:
"Aue Maria grasia
prena, Dominus
[Dominois?] techvm"
Me lo ha segnalato, e me ne fatto riproduzione,
Emilie Mineo, 25.III.'06 (festa dell'Annunciazione! casuale?). Grazie.
Qui il volgarismo si estende anche a
grasia,
semplice grafema dell'area tosco-occidentale per rappresentare il suono
della z
sorda (i fiorentini scrivevano
grazia o
graçia).
Quanto a
prena,
questo secondo caso conferma, mi sembra, la pubblica accoglienza di volgarismi
(dissonanti dal testo latino della liturgia ufficiale) anche in icone sacre,
esposte al pubblico culto. E rimuove ogni tenuta all'iniziale sospetto
di banale lapsus involontario.
Simpatico modello didattico, questa iscrizione
lucchese:
1°)
U /V: varianti di puri grafemi tardomedievali senza ulteriore e coerente valenza
linguistica; qui addirittura invertiti rispetto ai rispettivi suoni non
rappresentati, consonantico il primo (Aue)
e vocalico il secondo (techvm;
ricaduta meccanica della tradizione epigrafica?)
2°)
S/Z: distinti grafemi, entro l'area toscana, rappresentativi di medesimo
fonema, z
sorda
3°)
prena
/ plena:
distinti grafemi
che trascinano con sé proprie e distinte unità sia fonetiche che semantiche.
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