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EMILIO PANELLA, Per lo studio..., Pistoia 1979

presentazione e premessa
 

Presentazione
di Armando Verde OP [† 23.XI.2010], pp. 7-10

 

 

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Premessa dell'Autore, pp. 11-14

P r e s e n t a z i o n e

<1> Non di rado il succedersi degli eventi, il mutarsi delle situazioni, le modificazioni ambientali, le trasmigrazioni con la conseguente trasformazione dell'habitat umano tolgono a luoghi e ad istituzioni la funzione cardine che hanno avuto nella vita civile di un popolo o di una città, e li riducono al rango di musei: mète di «pellegrinaggi» oppure attrazioni turistiche, ideologicamente sfruttate ed utilitaristicamente ostentate.

Questa sorte non è toccata ai principali luoghi ed edifici che in Firenze, dall'età comunale, esercitano un ruolo propulsore all'interno della vita cittadina. Nonostante lo spandersi, il trasformarsi, l'alterarsi di spazi e di rapporti spaziali, Palazzo Vecchio è tuttora il centro della vita politico-amministrativa cittadina, il Duomo con il suo San Giovanni è ancora il punto di riferimento della cristianità fiorentina, via Larga è pur sempre la strada della grandezza del Magnifico e della Casa de' Medici, Arcetri è ancora il luogo da dove si scruta l'immensità astrale, S. Maria Novella tuttora raccoglie nell'ampio suo abbraccio e sotto le sue ariose volte quanti a Firenze giungono o per Firenze transitano.

Sono ormai sette secoli. Fundata il 18 ottobre 1279, la chiesa dei domenicani di Firenze ha percorso insieme a tutta la città sette secoli di vita, dai quali non è stata travolta. Così le celebrazioni centenarie non hanno il significato di rievocazione di un passato tramontato, ma vogliono essere la individuazione dei processi attraverso i quali si è andato formando il presente.

<2> «Memorie Domenicane» ha programmato due volumi di studi. Non so se saranno sufficienti ad illustrare l'intero percorso di questi processi, ma sicuramente sono necessari per avviare il cammino, e saranno utili ad intravedere le più lontane direzioni.

Che questo sia l'intento della rivista, e che lo scopo sara raggiunto lo dimostra già questo primo volume, nel quale la scelta dell'argomento, la specialistica trattazione, la competenza tecnica non solo non sono separate dall'impostazione generale del problema, ma da questo, dalla sua esatta e lucida impostazione, ricevono valore.

Lo studioso domenicano che rivive da «moderno» l'antica questione del ruolo di fra' Remigio dei Girolami, pressato fra le figure di S. Tommaso d'Aquino e di Dante Aligbieri, il padre Emilio Panella, sin dalle prime battute si premura di avvertire i lettori che Remigio dei Girolami «ha una sua personalità culturale e originalità politica». Ma l'affermazione, fatta nella Premessa, si impone con forza ed autorità non tanto perché deve sgombrare il terreno da luoghi comuni, quanto piuttosto perché essa costituisce la motivazione di tante fatiche, e la giustificazione del fatto che da fra' Remigio comincia il percorso e la celebrazione. La «personalità culturale e l'originalità politica» stanno per fiorentinità: fra' Remígio occupa un posto notevole nella vita fiorentina « dalla riforma costituzionale di Firenze promossa dal cardinale legato Latino Malabranca, ai sermoni [pronunciati] per i priori della crisi di Giano Della Bella, ai trattati [scritti] De bono pacis e De bono communi al tempo del bando di Parte Bianca, ai sermoni [redatti] per i protagonisti della politica angioina in Toscana e della guerra contro Uguccione della Faggiuola... ». Una partecipazione alla vita fiorentina che inglobava l'interesse agli avvenimenti che si verificavano nel vasto mondo del politico, del civile e dell'ecclesíastico (si legga con attenzione l'importante contributo dato dall'Autore alla bíografia remigiana nell'Appendice Il).

<3> Lo studio «dall'interno» del fiorentino fra' Remigio dei Girolami comincia con la preparazione dell'edizione di un particolare trattato: Contra falsos ecclesie professores. Perché tra tutte le opere, la cui identificazione e catalogazione ha richiesto da parte dell'Autore l'uso di capacità critiche non comuni (si veda l'Appendice III: Le opere di fra' Remigio dei Girolami), la scelta e caduta sul Contra falsos?

La scelta è stata preparata senz'altro dall'attenzíone che su questo trattato posò il grande medievalista Martin Grabmann. A questi premeva però mettere l'accento sulla questione del potere papale, che era, ed è, una vexata quaestio; all'odierno editore del trattato, ad Emilio Panella invece, preme mettere in risalto «l'originalità dell'ispirazione generale sia in rapporto all'evoluzione del pensiero ecclesiologico che al proposito di dar cittadinanza teologica a tutto il mondo della società medievale»:

«universalitas istius ecclesie - scrive fra' Remigio - intelligitur non solum quantum ad universitatem locorum, puta quia per totum orbem diffunditur; nec solum quantum ad universitatem personarum, puta quia de omnibus generibus homínum congregatur; sed etiam quantum ad universitatem notitiarum, puta quia quod pertinet ad omnem notitiam cuiuscumque scientie vel artis in ista ecclesia reperitur» (cap. 1, 20-25); ed il cap. 46 dell'opera s'intitola: «Quomodo invenimus in ea omnes septem artes mechanicas, et primo quantum ad lanificium, et primo quod omnes virtutes sunt vestimenta ecclesie et quod Christus vestit ecclesiam et e converso»; ed il cap. 97: «Qualiter in ecclesia invenitur theatrica sub vocabulo ludicra».

<4> Era integrismo clericale? era la convinzione teologica che lo spirituale deve animare il temporale? era il desiderio di non perdere la propria caratterizzazione cristiana via via che si andavano individuando e coltivando categorie teoriche e pratiche che già si avvertivano come diverse da quella del «sacro»? Oppure era già allora la moderna tendenza, tutta fiorentina e toscana, e persino post-conciliare, di rovesciare la dimensione del sacro proponendola in veste profana e purtuttavia salvaguardandone le esigenze e persino la struttura in un mutato lessico ed in una originale concettualità?

Se non si possono fare fughe in avanti, a maggior ragione non si possono fare all'indietro. La storia dei «precorrimenti» è stata giustamente bollata da uno dei più grandi storici del pensiero medievale, rinascimentale e moderno, Eugenio Garin, così immerso nella Firenze di ieri e di oggi. Il p. Panella da parte sua si mantiene rigorosamente sul piano storico: «Certo, è ancora una volta - egli scrive - l'impulso all'universale, tipico del cittadino della res publica christiana. Un atto dunque tutto medievale. Ma non di poco valore storico e non senza originalità, se lo si definisce sia a confronto con un'ecclesiologia ormai monopolizzata dal potere gerarchico centrale che con la svolta culturale della schola». Ma non si può negare - e l'Autore anzi lo evidenzia - che la struttura concettuale ideata da fra' Remigio non solo non ripeteva «la frattura tra la philosophia theorica e l'agire pratico dell'uomo», ma tendeva anzi a superarla. Non si tratta, è certo, di dare un «primato» al frate fiorentino, ma si vuole soltanto capire perché il domenicano del primo Trecento, famoso sinora per essere stato lo scolaro dell'Aquinate ed il supposto maestro dell'Aligbieri, abbia concepito in quel modo la Chiesa, e quali rapporti, egli, uomo del suo tempo, intrecciò con la società fiorentina, che si accingeva a vivere una delle sue più floride stagioni economíco-amministratívo-culturali, e a proporsi come società squisitamente mercantile, creando quel tipo di uomo cosi gustosamente configurato da messer Boccaccio.

<5> Gli studi attuali su fra' Remigio sono lungi dal consentire «una sintesi», ci avverte ancora il Panella. Ma ora che tanto lavoro è stato fatto, ora che i codici sono stati individuati, che la cronologia è stata stabilita, che le opere sono state elencate, che le leggende sono state sgombrate; ora che esce la prima edizione critica di una parte di un'opera così significativa, è necessario operare affinché il cammino editoriale non si arresti qui. Non soltanto è auspicabile, ma è necessario che al Contra falsos seguano i Sermoni, i Trattati, le Postille, ecc.: senza una adeguata edizione delle opere, infatti, non è possibile tracciare la sintesi di una personalità così ricca culturalmente e politicamente cosi originale.

«Memorie Domenicane» ha il merito di aver iniziato l'opera; ora deve avere la costanza di proseguirla ed il senso civico di interessare all'impresa l'intera comunità culturale fiorentina: l'«universitas» cittadina che, se non più medievale ma modernamente «locale», deve pur sempre essere il punto di riferimento di ogni scientifico progresso.

ARMANDO VERDE O.P.
(† 23.XI.2010
) 

P r e m e s s a

Remigio di ser Chiaro dei Girolami († 1319), frate domenicano di Santa Maria Novella in Firenze, ha attirato a più riprese l’interesse ora degli storici della prima scuola tomistica in Italia ora degli studiosi del periodo formativo filosofico-teologico di Dante Alighieri, quando questi frequentava - tra 1291 e 1295 - le «scuole de li religiosi» (Convivio II, 12). Fra Remigio discepolo di Tommaso d’Aquino e maestro di Dante nella schola di SMN?

Non si contesta la portata storica e culturale della domanda. Ma l’ansia tutta puntata sulla risposta ha inclinato storiografia ed ermeneutica remigiane a funzione inserviente ai due ben più illustri nomi. Cosicché lo studio sistematico delle opere del frate fiorentino e delicati problemi biografici hanno sofferto in proporzione inversa all’interesse dimostratogli. Con qualche recente eccezione, come si vedrà. Le conoscenze biografiche si erano arrestate a quanto laboriosamente raccolto un trentennio fa da Stefano Orlandi, che in questo settore beneficiava - oltre a fonti comuni della chronica di SMN e degli Atti dei capitoli provinciali - dei contributi di Vincenzo Fineschi, Pio Tommaso Masetti, Innocenzo Taurisano. Ma anche là dove si dispone di contributi notevoli - penso a Lorenzo Minio-Paluello, a Charles Till Davis, alle pregevoli edizioni curate da Ovidio Capitani - la lunghissima carriera letteraria di fra Remigio soffre di troppi spazi vuoti perché si possa valutare con profitto perfino i pochi scritti finora pubblicati e datati. Ricordiamo le parole dell’articolo necrologico: «idem fere vivendi ac scribendi spatium assecutus». Detratto lo scarto dell’iperbole, un arco di tempo che va pur sempre dal decennio 1270 all’anno di morte 1319. Nominato predicatore generale nel 1281 - dunque la sua attività oratoria doveva rimontare a non pochi anni addietro - Remigio protrae la sua predicazione fino alla vigilia della morte: l’ultimo sermone databile è indirizzato ai priori cittadini di Firenze in carica nel bimestre mezzo dicembre 1318 mezzo febbraio 1319. Nominato lector nel convento fiorentino quand’ancora diacono - non molto dopo la formazione intellettuale a Parigi a cavallo dei decenni 1260-1270 - eserciterà la carica d’insegnamento per più di quarant’anni. Raccoglie e riordina i propri scritti negli anni 1314-1316, ma i margini dei suoi codici documentano attività oratoria e letteraria posteriore a quegli anni.

Un arco di tempo che copre profonde trasformazioni nell’assetto della penisola: fine dell’impero svevo, avvento della dinastia angioina, rafforzamento dei partiti e governi guelfi, progressivo allineamento del papato alla forza traente del regno di Francia, che maturerà il trasferimento ad Avignone della curia romana. La Toscana si trova al centro geografico e politico di tali rivolgimenti. La produzione letteraria di Remigio - oratoria e accademica - registra, spesso esplicitamente, fatti persone istituzioni che concorsero in primo piano in tale storia.

E se si restringe l’orizzonte alla vita cittadina della repubblica fiorentina, si ha la sensazione che il medesimo arco di tempo concentri un’accelerazione frenetica di tempi e di trasformazioni. Dalla caduta del governo ghibellino al rafforzamento e prevalenza della borghesia urbana, all’istituzione del governo guelfo delle Arti, alle lotte tra le classi dirigenti del governo del Secondo Popolo, alle minacce esterne di Carlo di Valois ed Enrico VII di Lussemburgo: insomma dal 1267 circa al primo ventennio del Trecento, la Firenze medievale vive il cinquantennio di più rapida e conflittuale crescita che la sua storia conosca. Ebbene, partecipazione protratta e interventi puntuali di Remigio dei Girolami sono documentati dal tempo della riforma costituzionale di Firenze del cardinal legato Latino Malabranca ai sermoni per i priori cittadini della crisi di Giano della Bella, ai trattati De bono pacis e De bono communi al tempo del bando di Parte Bianca, ai sermoni per i protagonisti della politica angioina in Toscana e della guerra contro Uguccione della Faggiuola.

All’interno dell’istituzione religiosa dell’ordine dei Predicatori, Remigio, più volte membro di capitoli generali e provinciali, priore provinciale egli stesso, sembra ben esprimere la linea evolutiva - dottrinale e istituzionale - che sostenne il forte consolidamento interno e la funzione pubblica dell’ordine domenicano dal generalato d’Umberto da Romans (1254-63) al concilio di Vienne (1311-12); più in particolare nella provincia Romana dei frati Predicatori, il cui territorio era stretto - e conteso ad un tempo - tra vicarìa imperiale, Patrimonio di san Pietro, regno di Sicilia e Comuni toscani: gli Atti dei capitoli provinciali del tempo non dissimulano del tutto le persistenti spinte di segno opposto che concorrono nella contesa. Il ruolo di Remigio nella vita culturale e dottrinale dello studium fiorentino e perugino, così come la sua partecipazione alla vita istituzionale e legislativa dell’ordine, sono ampiamente documentati dai Prologi, dall’Expositio sulla durata legale delle ordinazioni dei capitoli generali e provinciali, dalla serie di sermoni ai frati e per i capitoli provinciali. Mentre il filone tornistico-parigino scorre prevalentemente negli scritti di scuola quali quodlibeti, questioni, trattati.

Il quadro - come si vede - è sorprendentemente vasto; a motivo, certo, della considerevole estensione della produzione letteraria, unico complesso organico dell’attività della prima discepolanza tomasiana nella provincia Romana dei frati Predicatori che ci sia pervenuto; ma vasto soprattutto per il necessario e tenace intreccio che stabilisce di volta in volta con le molteplici coesistenze religiose, culturali e politiche entro cui la stessa città di Firenze è costretta - dalla mediazione politica del cardinal Latino alla signorìa di re Roberto d’Angiò - a disciplinare la propria storia.

I termini di siffatto quadro andavano restaurati e attivamente immessi nei propositi delle ricerche remigiane per dissuadere da un’elaborazione storiografica eroico-prosopica che terminasse all’isolamento del “personaggio” (la fortunata trasmissione dei codici remigiani di contro alla lacuna della produzione teologica coeva è permanente lusinga); e per assicurare soprattutto la comprensione di fatti storici, dei ruoli delle persone, dei comportamenti delle pubbliche istituzioni - religiose e civili -, così come della parallela elaborazione intellettuale - dalla teologia politica al modello etico della pubblica predicazione - di cui l’opera di fra Remigio dei Girolami è ricchissima testimonianza. E man mano che procede lo spoglio sistematico dei codici remigiani, ci si persuade sempre di più che il lector di SMN, «protorethor e pater universitatis nostre» - come è chiamato nella lettera dei priori di Firenze a Siena (9.I.1313) - ha una sua personalità culturale e originalità politica; che merita, insomma, d’essere studiato e conosciuto dall’interno.

S’imponeva allora un contributo - sia pure affiancato all’edizione d’un testo quale Contra falsos ecclesie professores cc. 5-37 - che non eludesse le questioni d’ermeneutica generale alla base dello studio del frate fiorentino: status critico delle opere sia in fatto di recensione (da tempo si sospettava che apocrifi fossero scivolati nei cataloghi dei bibliografi) che di forma testuale della loro trasmissione; ricerche biografiche che assicurassero taluni momenti fondamentali della carriera di Remigio, e che riducessero, per quanto possibile, i lunghi vuoti (cronici e topici) della sua biografia.

Il presente lavoro palesemente non presume a una sintesi su Remigio dei Girolami; al contrario, è una ripresa di ricerche propedeutiche. E trae profitto - come si vedrà - dai precedenti studiosi del frate fiorentino. Insieme dunque al Contra falsos cc. 5-37 - che aveva da tempo interessato gli storici di teoria politica ed ecclesiologica medievale - son qui presentati taluni contributi ordinati principalmente su tre piste:

·        forma peculiare della trasmissione del testo (Introduzione I);

·        problemi biografici (Appendice II);

·        tentativo di recensione sistematica delle opere di Remigio (Appendice III), cui è connessa identificazione ed edizione - un testo prezioso, mi sembra - delle Distinctiones bibliche.

Note di ricerca su letture e fonti dirette di Remigio sono rimesse in Introduzione III.


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