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... Quolibet I,13

... Questione quodlibetale I,13

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

(... - Utrum existens in via possit absolvi a pena purgatorii)

(... Chi vive ancora in questo mondo, può essere assolto dalla pena del purgatorio?)

Et ideo alii, quibus assentio[8], dicunt quod tantum valent quantum verba indulgentie exprimunt, dummodo quatuor ibi concurrant. Duo scilicet ex parte facientis indulgentiam, scilicet clavis scientie ut fiat pro rationabili causa, et clavis potentie ut scilicet habeat auctoritatem. Et alia duo sint ex parte penitentis, scilicet caritas ut possit recipere influxum a capite et membris ecclesie et corpore ecclesie superhabundanter meritis et afflictis, et operositas scilicet eius quod est in litera scriptum, sive efficiat illud per se sive per alium, dummodo hoc in litera contineatur et forma litere ipsum concedat.

Altri dunque, ed io personalmente con loro, sostengono che (tali condoni) valgono quanto esplicitamente espresso nella lettera d'indulgenza, fatte salve quattro condizioni. Due da parte di chi dispone l'indulgenza: congrua sapienza per ragionevole causa, e congruo potere per legittima autorità. E altri due da parte del penitente: carità, perché sia disposto all'influsso promanante dal capo, membra e corpo della chiese, ripieni di meriti ed afflizioni; ed esecuzione di quanto scritto nella lettera, sia per sé sia tramite altri, sempre che ciò sia esplicitamente scritto e lo conceda il diploma ufficiale.

Sed advertendum quod licet semper in litera exprimatur quantitas indulgentie non tamen semper exprimitur quantitas operis. Et ideo tunc debet intelligi quantitas operis secundum proportionem ad conditionem operantis, scilicet secundum divitias et paupertatem eius. Item non semper exprimitur quantitas durationis, quanto scilicet tempore valeant; et tunc valor indulgentie non videtur artari ad aliquam vicem, sed quando exprimitur determinatio temporis fit artatio ad unam vicem tantum, ut dicunt.

Un punto da richiamare. Sebbene nel diploma viene sempre esplicitata la quantità dell'indulgenza, non sempre viene annotato  quanto dovuto dal beneficiario. In tal caso quanto spetta al beneficiario va definito in proporzione al suo stato sociale, ossia sua ricchezza o povertà. Parimenti non sempre viene fissata la durata, ovvero i tempi di validità delle indulgenze; e in questo caso la validità non sembra debba esser confinata a qualche determinato ricorso. Quando invece sono espressi gli estremi temporali, la validità s'intende ristretta ad una sola volta, - dicono taluni.

Sed hoc fortassis non potest bene sciri nisi sciretur pectus pape, quia tantum valet et eo modo quo papa intendit. Aliquando etiam exprimuntur persone quibus indulgentia applicatur, ut generalius vel specialius, scilicet de tali regno vel de tali provincia vel de tali dyocesi. Sed quia interdum papa ad nichil speciale applicat suam intentionem nisi secundum quod forma litere ex virtute verborum dat intelligi, quia nec forte ipse aliquando apprehendit significatum verborum suorum secundum consuetudinem iuris, ideo tunc iudicare oportet de valore indulgentie secundum quod verba comuniter |81rb| significare solent.

Cosa che non si non può sapere con certezza, a meno che non si conosca l'intendimento del papa, perché (il diploma indulgenziale) vale quanto e come il papa intende. Talvolta vengono specificate le persone beneficiarie dell'indulgenza, in  termini generali o specifici; esempio: persone appartenenti al tale regno, a tale procincia, a tale diocesi. Si dà tuttavia che il papa non esprima personale intenzione se non nei termini del formulario diplomatico; e forse talvolta neppure attribuisce alle proprie parole il significato della consuetudine giuridica. E in tal caso dobbiamo valutare l'ingulgenza sulla base del lessico correntemente |81rb| usato e inteso.

1. Ad argumenta igitur in oppositum dicendum ad primum per interemptionem utriusque propositionis, quia ligare est dubitantis sed solvere est scientis in sillogisticis. Iterum papa potest ligare ad penam purgatorii, sicut patet de beato Benedicto, sicut refert beatus Gregorius in II Dyalogorum de illis monialibus quas beatus Benedictus prius excomunicaverat et post mortem earum eas recomunicavit[9]. Sunt enim illi de purgatorio de foro ecclesie, secundum beatum Augustinum libro XX De civitate Dei[10].

Risposta agli argomenti in contrario. Al primo, per inconsistenza sillogistica  d'entrambi gli asserti: legare è del dubitante, sciogliere è del saggio nell'arte sillogistica; inoltre il papa ha il potere di legare alla pena del purgatorio; lo si legge di san Benedetto, come racconta san Gregorio Magno († 604), Dialogo II, 23 (PL 66, 178-80), a proposito di quelle monache che san Benedetto prima scomunicò e dopo la loro morte le riconciliò. Chi si trova in purgatorio fa parte della competenza giudiziaria della chiesa, secondo sant'Agostino, La cíttà di Dio, libro XX, capitoli 17 e 25 (CCL 48, 727-28. 748).

2. Ad secundum dicendum quod licet solus Deus absolvat a culpa principaliter tamen homo absolvit a culpa ministerialiter disponendo ad gratiam. Et preterea sic absolvere a culpa est ordinis sed sic absolvere a pena est iurisdictionis. Unde papa dyaconus existens posset absolvere a pena sed non a culpa per se ipsum.

Risposta all'argomento secondo. Sebbene solo Dio in prima istanza assolve dalla colpa, l'uomo tuttavia assolve dalla colpa in quanto ministro subordinato che dispone alla grazia. E pertanto, in questo senso assolvere dalla colpa è pertinenza del sacramento dell'ordine (o presbiterato), ma assolvere dalla pena è pertinenza del potere giudiziario. Cosicché un papa che fosse solo diacono potrebbe assolvere dalla pena, ma per se stesso non dalla colpa.

3. Ad tertium dicendum quod glosator propter illa verba notare ipsum videtur quod sibi contradicat. Unde dicit: «Quomodo ergo valent huiusmodi remissiones sicut sonant, ut dictum est supra, videtur Magister contrarius sibi ipsi»[11].

Risposta all'argomento terzo. Il glossatore (Guglielmo da Rennes) sembra annotare che  Raimondo da Peñafort in quelle parole si contraddica. Dice infatti: «In che modo poi tali condoni valgano quanto dichiarano, come detto sopra, qui maestro Raimondo sembra contraddirsi».

Et subdit Glosa: «Dicunt etiam aliqui, et probabiliter, quod huiusmodi particulares remissiones, de quibus scilicet loquitur Raymundus, fiunt illis qui secundum facultates suas conferunt elemosinas propter huiusmodi remissiones consequendas; alioquin tantam haberet remissionem rex pro uno denario quantam quilibet pauper. Unde quia non potest esse certum de facili danti, utrum dederit secundum facultates suas, non potest esse certus de facili an facta sit sibi remissio, nec debet dimittere quin agat penitentiam sibi iniunctam». Hec Glosa[12].

E aggiunge la Glossa (di Guglielmo da Rennes): «Alcuni dicono condizionatamente che i tali particolari condoni -  quelli cioè di cui parla Raimondo - sono concessi a chi dà elemosine proporzionate alle proprie risorse al fine di conseguire il condono; altrimenti sia un re che un poveraccio otterrebbero pari quantità condonata in cambio d'un solo spicciolo. Poiché dunque non è facile accertare se si dà su misura delle proprie possibilità, uno non sarà certo d'aver conseguito il condono, né può tralasciare di eseguire la penitenza ingiùntagli». Fin qui quanto scrive la Glossa.

Sed et certe non est certus quod sit in caritate. De scientia autem et potentia ex parte facientis aliter considerandum est.

Una cosa è certa, che costui rimane incerto se è o no in grazia. Quanto poi alla conoscenza e alla competenza giuridica del condonante, il discorso è diverso.

4. Ad quartum dicendum quod non est contra iustitiam quantumcumque aliquis totaliter absolvatur, quia sola minima pena Christi, dimissis meritis et penis suis et aliorum perfectorum omnium, sufficit pro iusta absolutione a pena mille purgatoriorum, dummodo applicetur ad absolvendum per illum qui potest applicare de plenitudine |81va| potestatis in quantum est Christi vicarius.

Risposta all'argomento quarto. La piena assoluzione di qualcuno non contrasta la (divina) giustizia. Anche una sola e minima pena del Cristo, ignorando meriti e pene suoi e di tutti i santi, è sufficiente ad una equa assoluzione dalla pena di mille purgatori. Unica condizione: che la remissione sia fatta da chi detiene pienezza |81va| di potere in quanto vicario di Cristo.

Explicit quolibet fratis Remigii Florentini ordinis Predicatorum.

Fine del (primo) quodlibeto di fra Remigio da Firenze dell'ordine dei Predicatori.

finis est!

ω


[8] «alii, quibus assentio»: Cf. TOMM., In IV Sent. d. 20, a. 3, q.la 2 (ed. cit. p. 1029 § 92); Quodl, II, a. 16 corp. § «Ad hoc ergo quod indulgentia...».

[9] Vuoi riposarti e divertirti? Leggi la simpatica storiella (exemplum, dicevano) nel volgarizzamento del Dialogo (II, 26) fatto da Domenico Cavalca de Vicopisano OP († 1341 ), ed. Milano 1840, 140-41:

Onde presso al suo [= di san Benedetto] monastero erano due donne religiose rinchiuse, alle quali uno buono uomo serviva portando loro quello che faceva di bisogno loro di fuori. Ma come suole in alquanti, la nobiltà della carne genera ignobilità di mente, in ciò che non si vogliono in questo mondo dispregiare perfettamente, ricordandosi d'alcuna gentilezza per la quale pare loro essere maggiori che gli altri. Le predette donne non avevano ancora perfettamente raffrenata la lingua, ma insuperbiendo di loro gentilezza, lo predetto buono uomo che serviva loro, per parole incaute e superbe spesse volte provocavano ad ira. Lo quale avendo gran tempo sostenuto questa molestia, non potendo più sostenere le contumeliose parole e villanìe che esse gli dicevano, andossene a lamentare a san Benedetlo, e dissegli quante ingiurie da loro udiva. Onde udendo ciò, Benedetto mandò a loro dicendo così: "Correggete la lingua vostra, che se voi non la correggerete io vi scomunicherò". La qual sentenza di scomunicazione non diede proferendo ma minacciando. Le quali donne non mutandosi da' loro mali costumi di prima, né avendo raffrenata la lingua, non dopo molti giorni passarono di questa vita e furono seppellite nella chiesa. E dicendosi la messa nella detta chiesa in quell'ora che il diacono soleva gridare - cioè innanzi che il prete levi il corpo sacrato di Cristo, e dire secondo l'usanza di quel tempo che tutti i catecumeni, cioè discepoli non battezzati, e tutti gli scomunicati uscissero fuori della chiesa -, una femmina la quale era stata loro bàlia ed era venuta a fare offerte per l'anime loro, visibilmente le vide uscire fuori del sepolcro e andare fuori della chiesa; e vedendo così più fiate ch'alla voce del diacono uscirono fuori e non potevano stare nella chiesa, fussi ricordata delle parole di Benedetto che aveva detto che le scomunicava se non correggessero la lingua loro; e incontanente con grande dolore il fece a sapere a Benedetto. Onde Benedetto diede a quegli che gliel dissero, con sua mano una ostia e disse: "Andate e fate offerire questa ostia per loro, e non sieno più scomunicate". La quale incontanente che fu consacrata e offerta a Dio per loro, non furono più vedute uscire fuori della chiesa, quando lo diacono gridava che tutti gli scomunicati uscissono fuori della chiesa. Per la qual cosa senza dubbio si dimostrò che, poichè non si partivano con gli scomunicati, furono ricomunicate da Dio per li meriti del servo suo Benedetto.

[10] Altrove Remigio: «Unde existentes in purgatorio quodammodo sunt de foro ecclesie, sicut dicit Augustinus, XX De civitate Dei c. 9» (cod. G3, f. 154va). J. LE GOFF, La nascita del Purgatorio, Torino 1982, 280 ss.

[11] GUGLIELMO DA RENNES, Apparatus in Summa Raimundi III, 34 § 65 "Nec scio nec credo", in Summa de paenitentia, ed. Roma 1603, 495-96.
Raimondo aveva scritto sul valore delle indulgenze (Summa III, 34 § 65): «Verum alia sententia est favorabilis et magis communis, et illam approbo, videlicet quod valeant sicut sonant» (ed. Roma 1976, col. 873).

[12] GUGLIELMO DA RENNES, ibidem p. 496a-b.


cathedra magistralis, e tre atti didattici: lectio (basata su un liber textus ufficiale), disputatio (disputa aperta a tutti), sermocinatio (sermone scolastico). Nota la preminenza della catteda: «Baccalarii qui legunt extraordinarie non ascendant cathedram propter reverentiam magistrorum», prescrive capitolo gen. Milano 1278 (MOPH III, 197/4-5); «Item ordinamus quod cursores Sententiarum in cathedra lectoris principalis non sedeant quando legunt», capitolo provinciale 1284 (ACP 68/30-31).
fine

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