CP Perugia: «Diffinitor capituli generalis fr. Remigius Florentinus, cui socium assignamus fr. Mironem de Velletro» (ACP 145/19-20). Il capitolo dispone anche la colletta dai singoli conventi, da consegnare entro la festa della Resurrezione (7.III.1303), per sostenere le spese del definitore e suo socio che parteciperanno al CG 1303 (145/21-35). CP 1302 era stato convocato in FI per il 22 luglio (142/27-28), trasferito ad altra sede probabilmente a motivo del disordine pubblico in cui versava FI (Tratt. pol. 88-89).
Mirone, o Milone, da Velletri: lettore in Tivoli 1292 (ACP 106/21) in Santa Sabina 1293 (112/13), priore di Santa Sabina e predicatore generale 1300 (139/15).
Girolamo, Chiaro e Mompuccio, fratelli figli di Salvi del Chiaro dei Girolami e nipoti di fr. Remigio, erano stati banditi da FI nei primi mesi del 1302 dalla fazione nera. Confinati in un primo tempo nel ducato di Spoleto, si trasferiscono a Venezia. Girolamo e Mompuccio (detto anche Mompi), accusati d’essere i mandanti d’un omicidio perpetrato a FI in novembre 1302, rientrano nella città natale per provare in tribunale la loro innocenza. Tra 7 novembre e 14 dicembre Girolamo viene condannato e i suoi beni confiscati, Mompuccio assolto (Tratt. pol. 72-76). Riconosciuta innocenza 26.X.1308.
CG Besançon: «In hoc capitulo fuit diffinitor fr. Remigius, socius eius fr. Miro de Velletro» (Cr Ro 117). «Super quibusdam falso impositis Hugoni priori provinciali Romane provincie et quibusdam aliis fratribus nostri ordinis ponimus vicarios et inquisitores fr. Tolomeum priorem Lucanum et fr. Nycholaum Brunatii [AGOP XIV A 1, f. 105r; Bramasii ed.] Perusinum quondam provincialem regni Cicilie, dantes eisdem plenariam potestatem et committentes quod in locis et conventibus opportunis inquirant super premissis plenariam veritatem» (ACG I, 322/7-13).
De pace IX, fine luglio 1311, dà specifiche notizie sul convento domenicano di Besançon, che Remigio potrebbe aver raccolto sul posto in occasione di CG 1303 (Notizie di biografia 239-40; Tratt. pol. 196).
CP Spoleto, convocato per l’8 settembre (ACP 145/15-17): «Facimus predicatores generales: ... Iordanem lectorem florentinum» (148, 13). Il CG Tolosa 1304 assolve tutti i predicatori generali nominati dal CP Todi 1301 in poi (ACG II, 6/5-7), cosicché fr. Giordano da Pisa viene nominato predicatore generale una seconda volta dal CP Rieti 1305 (ACP 160/26-27).
Giordano da Pisa: «Librum Sententiarum theologicum legit eleganter Florentie in studio generali; deinde ibidem tribus annis lector principalis existens ut stella candida corruscavit» (Cr Ps 451). Poiché Giordano è detto lettore fiorentino nel CP 1303 (che non porta provvisioni per i lettorati conventuali) e predicava in FI già da gennaio 1303 (C. Delcorno, Giordano da Pisa e l’antica predicazione volgare, Firenze 1975, 13, 293 qui in stile fiorentino), l’insegnamento fiorentino deve risalire almeno ad autunno 1302. Il 4.III.1306 Giordano dice: «quelle cose, le quali io v’hoe predicate già è tre anni, sono cose grossissime» (Quaresimale fiorentino 171/159-60). Predica in FI, ed è detto lettore, nel 1304 (Delcorno, Giordano 15); Avventuale fiorentino 1304 [29.XI.1304 -7.II.1305], «quando stava in Firenze per lettore de' frati», ed. a c. di Silvia Serventi, Bologna 2006, 61; nel 1305, ciclo quaresimale su Gen. c. 1 (ed. D. Moreni, Firenze 1830, 1: 7.III.1304/5; Delcorno, Giordano 305 ss; v. anche Rieti sett. 1305); nel 1306, ed è detto lettore (Prediche inedite, ed. E. Narducci, Bologna 1867, 246, 252, 261, 262; Quaresimale fiorentino 3 nell’accluso foglio d’«errata corrige», 33, 35, 75, 81, 138, 173, 232, 240, 272, 347, 354, 367, 419, 428, 429, 433).
Per l’anno 1307 le datazioni in Delcorno, Giordano 335 ss, relative al ciclo su Gen. c. 3 di BL, Acquisti e Doni 290, vanno riviste dopo l’identificazoine dell’altro ciclo su Gen. c. 2 di BL, Calci 21 (C. Delcorno, Nuovi testimoni della letteratura domenicana del Trecento, «Lettere italiane» 1984, 577-87). Ma permangono non sufficientemente accertati sequenza luogo e anno dei cicli su Gen. c. 2 e c. 3 ed il loro intreccio con i lettorati fiorentini di Giordano; mentre è verosimile che la predicazione quaresimale sulla Genesi costituisca il versante omiletico della lettura scolastica sul medesimo libro biblico: a motivo della tenuta dottrinale del ciclo, benché riversata in più volgato registro linguistico; e a motivo di quanto si legge in BL, Calci 21 (su Gen. c. 2), f. 58r:
«Vedete apertamente che nel paradiço della gloria e nel paradiço delitiano sarebbono state tante operationi, e sono in vita eterna. E noi miçeri che siamo in tanta tempestate e non operiamo a dDio né ai prossimi, che sarà di noi? Unde preghiamo Dio che cci dea grasia di fare operationi in amare e contemplare e laudare lui, perciò che delectassioni somme sono. Queste prendete e lassate l’altre che sono nulla. Or in questa predica è co[m]piuto lo paradiço, tutto così bene come io l’exponesse mai in iscuola».
Vedi ora Giordano da Pisa, Prediche sul secondo capitolo del Genesi [Pisa 1308?], a c. di S. Grattarola, Roma 1999; Sul terzo capitolo del Genesi [Pisa 1309], a c. di C. Marchioni, Firenze 1992.
Tenendo da parte la questione dello studio «generale» (il redattore della Cronica pisana, fr. Domenico da Peccioli, muore in dicembre 1407 e potrebbe aver retrodatato lo statuto giuridico dello studio fiorentino) e considerato che laddove la terminologia non distingua esplicitamente lettorati principali dai sentenziari, lector denota qualsiasi frate (finanche maestro in teologia: ACG II, 104/19-21) insegnante non importa quale disciplina, la sequenza dei lettorati fiorentini di Giordano potrebb’essere così ricostruita:
a) lettura delle Sentenze, anni accademici: 1302-1303; 1303-1304;
b) triennio di lettorato principale, anni accademici: 1304-1305, 1305-1306, 1306-1307.
A proposito d’un importante, e in parte frainteso, testo di Remigio, De bono comuni 18, 161-75 (MD 1985, 160), dov’è posta la questione «Quilibet magis tenetur velle, ut videtur, quod suum comune in inferno dampnetur et non ipse quam quod ipse dampnetur et non comune, immo et totus mundus» (18, 161-63), Giordano da Pisa nel contesto dell’ordo caritatis (prima Dio, poi la propria anima sopra ogni altra cosa): «E pero v’ammonisco che l’anime vostre mettiate innanti e amatela sopra tutte le cose e sopra tutte le persone. Or vedi, e’ suole essere questione se tu dei commettere uno peccato mortale per iscampare una città e tutto lo mondo e tutti li homini. Frate, dico che no, però che tu dei amare più l’anima tua ke tutte l’altre cose del mondo, e uno peccato mortale farebbe perdere l’anima tua. Unde non dei volere perdere l’anima tua per tutto lo mondo. Or che fructo ti sarebbe se tutto ’l mondo per uno tuo peccato mortale fusse in paradiço e l’anima tua fusse dannata? Nullo. Unde però innanti dei lassare una città e tutto lo mondo perire che fare uno peccato mortale. E se tu mi dicessi ‘Or non si dee lo maggiore bene più amare che ’l minore?’, frate rispondoti che sì. E se tu mi dicessi ‘Maggiore bene è che si salvi tutto ’l mondo che una anima’, e io ti rispondo che ben dici vero, ma non è lo meglio per te, ché saresti dannato e sarebbe la morte tua. E Iddio ti comanda che tu ami più l’anima tua che tutte l’altre cose e che tutte l’altre creature del mondo. Unde tu per nullo caso dei amare li altri sopra l’anima tua, ma dei lassare andare male ogni cosa innanti che gravare in alcuna cosa l’anima tua» (BL, Calci 21, f. 38r; vedi ora Giordano da Pisa, Prediche sul secondo capitolo del Genesi, a c. di S. Grattarola, Roma 1999, 104). Salvi in entrambi, Remigio e Giordano, gli estremi teologici della tesi (che nessun atto implicante colpa teologale sia legittimato dal fine, quantunque buono), l’argomentazione divide altrettanto nettamente i due lettori di SMN: sul repertorio dialettico delle distinzioni (tra colpa e pena, ad esempio); sulla precedenza della comunità nell’ordine dell’amore, cosicché l’individuo sia disposto, benché innocente, all’oblazione vicaria di sé nella pena in riscatto della comunità medesima; e sulla sensibilità all’estensione sociale dell’atto virtuoso del cristiano-cittadino.
Ritmo Ad Urbem vocat |
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01 |
Ad Urbem vocat Remigium repromissum magisterium, sed dum primum consistorium sperat quo expediatur summus presul infirmatur, mors succedit, tumulatur; dictus frater sic frustratur fine quo era vocatus. |
06 |
A Deo quere, ora sincere si vis valere hoc facere. |
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02 |
Qui non est ex hoc turbatus, generale bonum ratus et sequentis presulatus expectando gratiam. |
07 |
Hoc dogma sere hoc mente gere, si cupis vere proficere nequibis deficere. Amen. |
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03 |
Si it in fallaciam non perdit constantiam, nam scit providentiam per quam prosunt bonis mala. |
08 |
Post hunc, presul Predicator huius est licentiator, cardo Minor magistrator in pape palatio. |
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04 |
Iustos purgat ista pala ad scandendum recta scala ad volandum levans ala ad te, summa Puritas. |
09 |
Dei sit laudatio ordini promotio de hoc beneficio. Amen et adicio. |
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05 |
Hec est ergo equitas, videtur iniquitas; nulla tunc adversitas poterit nocere. |
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cod. G4 406va-b |
Dopo l’affronto subìto in Anagni, 7 settembre 1303, papa Bonifacio rientra a Roma il 18 settembre e vi muore l’11 ottobre.
Non molto prima della morte del papa, Remigio si reca a Roma per ricevere il magistero in teologia dal papa (il 15 agosto 1303 Bonifacio aveva ritirato alle università del regno di Francia la facoltà di rilasciare la licentia ubique docendi); di fatto sarà il successore Benedetto XI («presul Predicator») a rilasciare a Remigio il magistero.
■ S. NESSI, Biografia critica di Iacopone da Todi, «Il Santo» 46 (2006) 55-102, specie pp. 81-87 contestazione antibonifaciana. Me ne invia copia l'A., nov. 2008.