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(... III - Il contesto letterario,  6. De bono comuni)

ordo caritatis & misericordie 

tradizione

Remigio

Dio Dio
noi stessi comune
noi stessi
prossimo prossimo
corpo corpo
 

4. Il tema ordo caritatis ha un’antichissima tradizione. Prende le mosse dal De doctrina christiana I, 23 di sant’Agostino (Corpus Christianorum Latinorum 32,18; PL 34,27), accolto nelle autorevoli Sentenze III, 29, 1-2 di Pietro Lombardo. Nessun autore scolastico si sottrae al tema nei commentari alle Sentenze o a Cant. 2, 4 «Ordinavit in me caritatem». Il modello dà l’ordine: Dio (quod supra nos), noi stessi (quod nos sumus), il prossimo (quod iuxta nos), il nostro corpo (quod infra nos). Le innovazioni saranno poche (cf. Tomm. d'Aq., Summa theol. II-II, 26), e tutte nell’ordinare precedenze e successioni tra congiunti e amici sotto la voce “prossimo” (vedi De bono comuni 18, § 12 e 18). Nel De misericordia cc. 18-22 Remigio trasferisce l’ordine della carità a quello della misericordia. Ma la novità non è qui, né nel fatto che i quattro soggetti diventino cinque. Ciò che è peculiare - e unico, per quanto si sappia - è l’inserimento del comune (e intendo città-stato) nella sequenza degli oggetti dell’atto “ordinato” di misericordia: Dio (c. 18), comune, anima nostra, anima del prossimo, corpo nostro (cc. 19-22). Il comune è posto dopo Dio e prima dell’anima nostra. Soggetto dell’atto misericordioso spettante al comune è il civis (v. De bono pacis).

De misericordia c. 19

La misericordia c. 19

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

Estote [misericordes].

Secundo debemus misereri comunis, quia bonum gentis est divinius quam bonum unius, ut dicitur in I  |204ra| Ethicorum; et Augustinus dicit in Regula «Caritas, de qua scriptum est quod non querit que sua sunt, sic intelligitur quia comunia propriis anteponit». Unde Ieronimus: «Que misericordia est parcere uni et multos in discrimen adducere?», quasi dicat “non est ordinata”. Unde ordinatus civis in misericordia exponit se morti pro defensione sui comunis.

Siate misericordiosi.

In secondo luogo, dobbiamo usar misericordia con la comunità politica, perché il bene della polis è più divino del bene d'una singola persona, secondo Aristotele, Etica nicomachea I,1 (1094b 7-10). E Agostino nella Regola: «La carità, della quale si dice che "non cerca il proprio interesse" (I Corinzi 13,5), va intesa come virtù che antepone il pubblico al privato». E san Girolamo: «Quale misericordia sarebbe quella di perdonare un singolo e discriminare i molti?»; come dire "misericordia disordinata". Cosicché il cittadino ordinato nella misericordia si espone alla morte per difendere il proprio comune o comunità politica.

Exemplum de Codro rege atheniensium in Valerio, l(ibro) c(apitulo), require in tractatu De bono comuni. Sicut manus exponit se ictui pro defensione corporis, et bonus princeps et ordinatus in misericordia non parcit furi vel homicide vel adultero vel alteri malefactori ne comune patiatur detrimentum; sicut ordinatus medicus in misericordia abscidit membrum putridum ne totum corpus inficiat (cod. C 4.940, ff. 203vb-204ra).

Esempio di Codro, re degli ateniesi, in Valerio Massimo, libro, capitolo eccetera, vedi nel trattato Il bene comune. La mano si espone ai colpi per difendere il corpo. Il buon principe, ordinato nella misericordia, non chiude un occhio al ladro, all'omicida, all'adultero o ad altro malfattore, perché la comunità non patisca danni. Il medico ordinato nella misericordia recide il membro putrefatto perché non infetti il corpo intero (cod. C 4.940, ff. 203vb-204ra).

Il rimando è a De bono comuni c. 5. Più oltre (§ 7 n° 2) incontreremo l’applicazione del modello all’ordo pacis.

5. De via paradisi V, 2. Contesto del «modus» del comandamento "non uccidere". Il comandamento non è soggetto a restrizione alcuna, se preso in senso assoluto, «simpliciter loquendo» (cod. C, f. 276va). Poi segue:

De via paradisi V, 2

La via del paradiso V, 2

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

Si autem secundum aliquem modum sit occisio secundum quid et sit vivificatio simpliciter, talis occisio non prohibetur per preceptum immo aliquando cadit sub precepto, puta quando occisio vilioris secundum ordinationem divinam ordinatur ad vivificationem nobilioris. Res enim sortitur nomen a fine; unde Philosophus dicit in I De generatione quod quando ignis, qui est nobilius elementum quam terra, generatur ex terra est corruptio secundum quid et est generatio simpliciter.

Se in qualche modo c'è uccisione in senso relativo e vivificazione in senso assoluto, tale uccisione non è proibita dal comandamento "non uccidere". Anzi, si dà che talvolta ricada sotto il medesimo precetto, per esempio quando uccisione di realtà più vile è ordinata per predisposizione divina alla vita di realtà più nobile. Le cose infatti traggono denominazione dal fine; cosicché Aristotele, Generazione e corruzione l,3 ( 319a 15-17), dice che quando il fuoco - elemento superiore alla terra - è generato dalla terra, si tratta di corruzione in senso particolare e di generazione in senso assoluto.

Secundum autem ordinem nature minus perfecta sunt propter magis perfecta; unde et in via generationis natura ab imperfectis ad perfecta procedit, sicut in generatione bominis prius vivit embrio vita plante deinde vita animalis ultimo vita hominis, secundum Philosophum in libro . .(lac.) . De animalibus. Et ideo si plante occidantur propter vitam animalis, et plante et animalia occidantur propter substentamentum et commodum vite hominis, non debet dici occisio simpliciter sed tantum secundum quid, sed debet dici vivificatio simpliciter. Et ideo Dominus in principio nature ita ordinavit, sicut patet Gen. 1 et infra[1].

È disposizione naturale che le cose meno perfette siano ordinate alle più perfette. Ne segue che nel percorso generativo la natura procede dall'imperfetto al perfetto, come nella generazione umana: prima vive l'embrione di vita vegetativa, poi di vita animale, in ultimo di vita dell'uomo, sostiene Aristotele in Riproduzione degli animali <II,3> (Florilège 9, 203). Se dunque le piante sono abbattute per il sostantamento degli animali, e gli animali sono macellati per il sostantamento e il bene della vita umana, non si tratta di uccisione in senso assoluto bensì relativo, e va denominata vivificazione in senso assoluto. E così ordinò il Signore a inizio della creazione, come appare in Genesi 1 etc.

Rursus, quia pars ordinatur ad totum sicut imperfectum ad perfectum, et bonum privatum ad bonum multitudinis, et bonum particulare ad bonum comune, sicut in tractatu De bono comuni diffusius ostensum est, inde est quod occisio partis et privati et particularis boni propter vivificationem totius et multitudinis et comunis boni non debet dici occisio simpliciter sed est vivificatio simpliciter. Non enim medicus dicitur interficere sed vivificare quando abscidit membrum corporis propter totius corporis vivificationem.

Inolre, la parte è ordinata al tutto come imperfetto a perfetto, come bene privato al bene dei molti, bene particolare a bene della comunità, così come diffusamente esposto nel trattato Il bene comune. Ne segue che la mortificazione del bene della parte, del privato, del particolare ai fini della vivificazione del tutto e della comunità e del bene comune non va chiamato morte assoluta ma vivificazione assoluta. Il medico infatti non uccide ma ridà vita quando recide un membro del corpo per salvare la vita del corpo intero.

Nunc autem ita est quod quilibet homo singularis comparatur ad totam comunitatem, et etiam minor multitudo ad maiorem, sicut pars ad totum[2]. Et ideo occidere aliquem bominem singularem propter vivificationem totius comunitatis, vel minorem multitudinem propter vivificationem maioris, non est occidere simpliciter sed est simpliciter vivificare (cod. C, f. 276vb)[3].

È assodato che qualsiasi singola persona è in rapporto con l'intera comunità, e anche una comunità minore con quella maggiore, al modo della parte col tutto. Pertanto uccidere una singola persona per assicurare la vita dell'intera comunità, oppure una minoranza per salvare la maggioranza, non equivale ad uccidere in senso assoluto ma a dar vita in senso assoluto (cod. C, f. 276vb).

[1] Compendia Tommaso d'Aquino, Summa theol. II-II, 64, 1: Utrum occidere quaecumque viventia sit illicitum.

[2] Compendia Tommaso d'Aq., Summa theol. II-II, 64,2: Utrum sit licitum occidere homines peccatores.

[3] In De via paradisi V, 1, si erano già tratte tutte le conclusioni, dalla teoria dell’organicità del tutto e della parte applicata al rapporto società/individuo, per il caso degli eretici: «Sic et de innumeris aliis sanctis, quamvis de omnibus clericis sanctis novi testamenti dicere oporteat, sicut apparebit ex dicendis, quod ipsi non occiderunt propria auctoritate vel manu sed magis promulgaverunt sententiam de illorum morte. Et sancti patres nostri et ecclesia sancta mandat hereticos comburi. Bene ergo heretici sunt qui asserunt quod nullo modo licet hominem interficere» (cod. C, f. 276va). Cf. Tomm., Summa theol. II-II,64,4 (Utrum occidere malefactores liceat clericis).


 

6. De via paradisi V, 3

La via del paradiso V, 3

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

Si autem debite circumstantie non assint, non licet interficere hominem quantumcumque peccatorem, puta si sit defectus ex parte circumstantie “quis”. Non enim licet private persone interficere peccatorem. In tantum enim licet interficere peccatorem in quantum ordinatur ad vitam et salutem totius comunitatis, ut patet ex dictis. Et ideo ad illum solum pertinet cui commictitur cura comunitatis conservanda, sicut ad medicum pertinet precidere membrum putridum quando commissa fuerit ei cura totius corporis.

Se fanno difetto debite circostanze, non è lecito mettere a morte un uomo, per quanto peccatore, per esempio per difetto della circostanza "chi". Non è lecito infatti a una persona privata uccidere il trasgressore. Si può infatti mettere a morte il trasgressore solo per salvaguardare vita e sicurezza della comunità intera, come detto sopra. E questo spetta unicamente a colui al quale è stata affidata la cura della comunità; così come al medico spetta resecare il membro putrefatto, qualora gli sia stata affidata la cura di tutto il corpo.

Cura autem comunis boni commissa est principibus habentibus publicam auctoritatem. Et ideo eis solis licet malefactores occidere per se vel per alium, qui hoc facit sua auctoritate; sicut miles interficit hostem auctoritate principis, et minister latronem auctoritate iudicis. Non licet autem hoc privatis personis[4].

La cura del bene comune è demandata ai prìncipi o governanti che detengono la pubblica autorità. E dunque solanto a costoro spetta mandare a morte i malfattori,  personalmente o tramite altri, i quali a loro volta eseguono per autorità dei primi; nel medesimo modo che il soldato uccide il nemico per autorità del governante, e l'aiutante uccide il ladrone per autorità del giudice. Mandare a morte dunque non spetta ai privati cittadini.

Quamvis enim cuicumque private persone liceat, immo preceptum sit, amare bonum comune etiam magis quam proprium - ut diffusius ostendimus in tractatu De bono comuni |277rb| – et ipsius utilitatem pro suo posse debeat procurare, hoc tamen non debet facere cum nocumento alterius nisi secundum iudicium eius ad quem pertinet existimare quid sit subtrahendum partibus pro salute totius (cod. C, f. 277ra-b)[5].

Al contrario, ad ogni privato cittadino è permesso, anzi ordinato, di amare il bene comune perfino più del proprio - come diffusamente mostrato nel trattato Il bene comune  |277rb| e di procurarne l'utile secondo le sue possibilità; non tuttavia a nocumento di terze persone, se non a giudizio dell'ufficiale preposto a valutare il contributo del singolo cittadino a salvaguardia della comunità intera (cod. C, f. 277ra-b).

[4] Trascrive e adatta tutto il corpo di Tommaso d'Aquino, Summa theol. II-II,64,3: Utrum occidere hominem peccatorem liceat privatae personae.

[5] L’ultima proposizione trascrive Tommaso d'Aq., Summa theol. II-II, 64, 3 ad 3.


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