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Presentazione

di

«Memorie
domenicane»

   

Santa Maria Novella
u
n convento nella città

 

11 (1980) 5-13

 

  # secondo volume commemorativo

  # libro dei morti

  # grande chiesa

  # necrologio o cronica fratrum?

ë

Un convento nella città,

«Memorie domenicane» 11 (1980) 5-13.

1. Secondo dei due volumi commemorativi del VII centenario della chiesa Santa Maria Novella in Firenze (1279-1979). Il primo, «Memorie Domenicane» 1979, era dedicato a un eminente teologo e predicatore, fra Remigio dei Girolami († 1319), che svolse un notevole ruolo culturale nel convento fiorentino e nella vita cittadina durante il quarantennio a cavallo del XIII e XIV secolo. Il presente volume - più vario nei temi e più ampio nei termini cronologici - porta un ulteriore contributo alla storia del complesso domenicano di SMN. Una storia lunga sette secoli, inscindibilmente intrecciata con la storia di Firenze e della Toscana, che nessun volume - e nessuno storico - oserebbe raccontare per intero se studi monografici e ricerche specifiche non ne spianassero la strada. A questo appunto ha mirato MD.

Quattro saggi sottopongono al lettore preziosi contributi su taluni aspetti del convento-chiesa SMN: reinterpretazioni iconografiche, funzione architettonica della sacrestia, scorcio di spiritualità post-tridentina. La presunta raffigurazione di Giovanni Boccaccio nell’affresco Via della salvezza del capitolo conventuale (poi Cappella degli Spagnoli) dà sì occasione a Paul F. Watson di mostrare l’infondatezza d’un’identificazione di dettaglio, ma si risolve nella ripresa interpretativa dell’intero affresco di Andrea di Bonaiuto da Firenze. Spazi gerarchici vi compongono gli ordines del rigoroso cosmo cristiano, d’una società di cui l’ecclesia è anima e principio d’ordine. Il ricorso alla lettera agli Ebrei, tentato da Rona Goffen, persuade intensi sguardi contemplativi dei misteri nascosti da Masaccio nella Trinità di SMN. Mentre il trattato di fra Benedetto Onesti (1568), pubblicato e commentato da Isnardo Grossi, illustra tipici momenti della spiritualità post-tridentina presso ampi strati popolari, così come delle forme nuove d’aggregazione nelle quali tale spiritualità si diffonde e si trasmette. Vi si coglie già la figura “moderna” del direttore spirituale e dei suoi compiti in ordine all’intimità della vita devota, perseguita «per via de’ sacramenti e oratione». La storia della sacrestia e sue funzioni architettoniche - contese tra liturgia della chiesa e cappella padronale - è scrupolosamente ricostruita da Margaret Haines tramite sistematico spoglio delle fonti inedite e suggestive inquadrature interpretative.

2. Un’altra sezione del volume rivela evidenti intenti di edizione di fonti. A nessuno sfugge la decisiva importanza della recensione sistemativa delle fonti dirette per avviare una “storia”, sia pure confinata a un soggetto quale quello del convento mendicante. Il “necrologio” di SMN è fuor di dubbio la fonte precipua della vita interna del convento. Per i primi due o tre secoli anzi è la fonte unica, se si astrae per un istante dal fondo diplomatico. Nel 1955 Stefano Orlandi ne pubblicava e commentava ampiamente i primi tre secoli. Qui Paolo Ricozzi riprende il lavoro dove interrotto dall’Orlandi (1504) e cura l’edizione fino all’anno 1665. Purtroppo, prevenuto dalla morte il 15.III.1980, p. Ricozzi non ha potuto corredare il testo neppure con le essenziali notizie bio-bibliografiche, come pure si era ripromesso. Ma c’è di che essergli riconoscenti, visto che ha dedicato non poco tempo e pazienza alla trascrizione d’una sezione del codice dove, cessata la stilizzazione prima gotica poi umanistica della scrittura, ci s’imbatte ad ogni carta in notevoli asperità paleografiche.

Accanto al libro che registra il decesso dei frati, SMN ne possedeva un altro che registrava il decesso dei laici sepolti nei recinti del complesso monumentale del convento fiorentino (chiesa, cimitero, chiostri...). Passato all’Archivio Arcivescovile di Firenze - probabilmente al tempo della soppressione napoleonica - esso copre gli anni 1290-1436. Il Libro dei morti – e sua variante Libro delle sepolture degli archivi dei conventi domenicani di Toscana - è la controparte laica del “necrologio” dei frati. E si rivela strumento preziosissimo per addentrarsi, su base documentaria, in quello spazio neutro che corre tra istituzioni religiose e società civile. Un convento mendicante, nel cuore d’una civitas quale Firenze, presume totale autonomia nella sua origine e nella sua permanenza? fa eco, con meccanica fedeltà, alle vicende che animano la crescita o che agitano i conflitti della cittò e sue componenti sociali? Se la sua strutturale sussidiarietà lo inclina a secondare le grandi curve delle vicende culturali e politiche della città, la sua identità di soggetto religioso non gli permetterà interventi e presenze - culturale, assistenziale, spirituale - allogene alle concorrenze squisitamente politiche dei corpi sociali delle città? Quando, come, in quali congiunture? Ho accennato sopra al fondo diplomatico di SMN presso l’Archivio di Stato di Firenze. Vastissimo per mole ed estensione temporale; irrinunciabile in ogni tentativo di ricostruzione e interpretazione della rete tessuta tra convento e città. Ma data la natura di tale fonte, come prevederne l’edizione? Il ricercatore dovrà farvi ricorso direttamente. Mentre l’altra fonte, di pari importanza, è ora a disposizione dello storico in un’edizione scrupolosa e prodiga d’informazioni. Basta intrattenersi alquanto a raccordare dati onomastici, frequenze quantitative, relazioni cittadine per intuire l’importanza de Il libro dei morti ai fini del discorso suaccennato. Non c’è che congratularsi con Carlo C. Calzolai che ne ha curato l’edizione per MD.

Nel medesimo discorso s’inserisce il censimento dei manoscritti del fondo librario di SMN, ora disperso nelle biblioteche fiorentine Nazionale e Laurenziana. Il convento è di frati Predicatori. Gran parle della storia culturale d’un convento domenicano passa per la biblioteca. Per lo meno vi lascia le impronte. Che cosa si legge (o non si legge)? quali le presenze (e le assenze) bibliografiche? quale il movimento librario in coincidenza con specifici fatti culturali? quale la produzione letteraria dei frati? quali gli strumenti di cui poteva disporre il domenicano per la meditazione, per la predicazione, per l’insegnamento, per il commento esegetico, per il trattato polemico...? Le vicende degli antichi fondi librari dei conventi italiani sono tormentate e segnate da grosse lacune che vanno dalla dispersione alla distruzione. Bisognerà guardarsi da argomentazioni precipitose a partire da silenzi o da assenze. La Pomaro ha offerto uno strumento di lavoro di fondamentale importanza. Chi s’inoltrasse nello studio dei singoli codici sulla scorta delle schede del Censimento sarà presto sorpreso da insospettabili raccordi, testimonianze (si pensi alle note di possesso!) richiami - ad esempio - tra dati codicologici e fonti utilizzate da uno scrittore o predicatore coevi di SMN. Evocazione di persone, nomi d’autori, frammenti d’un dossier polemico, intrecci cronologici concorrono e congiurano d’un tratto a rianimare brandelli di scrittoio.

3. Ai priori cittadini in carica da mezzo dicembre 1293 a mezzo febbraio 1294, fra Remigio dei Girolami indirizzava questo sermone (traduco dall’originale latino, cod. G4, f. 355rb-va, Confitebor tibi in ecclesia ) per sollecitare la sovvenzione alla fabbrica di SMN:

Ti loderò nella grande chiesa, tra un popolo grave ti loderò. Ps. [34,18].

La nostra chiesa - vostra, anzi - è più grande di qualsiasi altra chiesa di mendicanti che io conosca. Grande è il sacerdote, grande la signora, grande il popolo: non si dovrà a costoro una chiesa grande? Sacerdote è Cristo, la cui grandezza non conosce confini; signora è la Vergine Maria, «cui grandi cose ha fatto il Potente», Luc. 1[,49]; popolo è quello di Firenze, grande e numeroso. Al primo ogni grandezza è impari. Alla seconda ogni grandezza si conviene. Al terzo eccellente grandezza è necessaria.

Noi frati abbiamo osato dar inizio alla costruzione di questa chiesa. Ma non perché confidassimo in noi medesimi. Non possediamo redditi né da fitti né da pensioni né da censi. Confidiamo invece nel Sacerdote, in Nostra Signora e nel popolo di Firenze. Occorre render lode al Sacerdote - da cui ogni bene proviene - per i benefici concessi a questo popolo; si dice infatti [nel tema del sermone] «tra un popolo grave ti loderò». Dice «grave». Ché se il popolo intende formare un utile governo cittadino, deve possedere gravità di grano, non leggerezza di pula che il vento disperde ogniddove - come è stato il caso dei priori precedenti. Operate giustizia se volete regnare nella pace. «Frutto di giustizia è la pace », Is. 22 [= 32,17]. E ben a proposito il gonfaloniere di giustizia si chiama Lapo di Pace. Vi preghiamo che si dia corso a quanto stabilito dagli arbitri del comune e che si tenga consiglio sulla questione. A voi ci rivolgiamo a tale specifico scopo perché in voi nutriamo speciale fiducia. Dunque Stefano [Benintendi], che significa “norma” o “regola”, porti aiuto ai “regolati”. Giovanni [che significa“in chi è grazia”] faccia la grazia. Iacopo Giambollari ci apponga la bolla. Ser Pino [Bonaccorsi] sigilli con la pece. Lapo Talenti concordi di buon grado. Fantino Silimanni non stia in silenzio ma ci metta una buona parola. Lapo di Pace infine conduca la cosa a termine con buona pace di tutti.

“Grande” - preannunciato nel tema - stringe la fattura del sermone con la sua ossessiva ricorrenza. SMN, come la nuova Santa Reparata, il palazzo del podestà, il palazzo dei priori sono i pubblici simboli della grandezza e del successo della Firenze guella. Come il fiorino. Il convento spartisce orgoglio e compiacenza nella grandezza cittadina. La lode liturgica contamina la lode del fiorino, evidente misura della potenza fiorentina.

Sette specialissimi doni ha elargito Dio a questa città. Ne è accecata se ne fa cattivo uso, com’è il caso più frequente. Ma ne sarà illuminata, se ne farà buon uso: abbondanza di danaro, nobiltà di moneta, moltitudine di popolo, saggio ordinamento politico, industria della lana, produzione di armi, espansione edilizia nel contado.

L’abbondanza del danaro acceca l’avaro (…) ma illumina l’uomo pio che dà in elemosina... Nobile è la moneta per tre ragioni. A motivo della sua materia: buono l’oro dei tarì, migliore quello degli augustali, ottimo è quello del forino. A motivo delle immagini che porta impresse: da una parte Giovanni Battista, di cui, a detta del Signore, «non vi è più grande tra i nati di donna»; dall’altra il giglio, che figura - secondo il Cantico dei cantici - il Cristo e sua Madre. A motivo della sua circolazione: ha corso in quasi tutto il mondo, perfino presso i Saraceni! (Remigio dei Girolami, Sermone Unum scio, BNF, Conv. soppr. G 4.936, ff. 89v-90rb).

Nessun imbarazzo. I 3,53 grammi d’oro fino, san Giovanni Battista, il giglio di Cristo e della Vergine fanno in solido, e senza ombra alcuna di contesa, la forza della moneta fiorentina. In un lungo discorso inaugurativo dell’anno accademico (prologus), il medesimo fra Remigio impernia la lode della teologia nel tema «Sicut protegit sapientia sic protegit pecunia» (Eccles. 7,13). La minuziosa e pertinace comparazione tra fiorino e teologia prevarica le misure retoriche della metafora. Se il fiorino è simbolo della forza di Firenze, la teologia è simbolo della forza del convento domenicano. Le congruenze sono nei fatti, prima ancora che l’uomo di cultura gli dia parola. «Soccorso alle miserie umane è il danaro, a quelle spirituali la sapienza teologica. Cosicché l’uomo, naturalmente portato a sovvenire alle proprie miserie, naturalmente appetisce (naturaliter appetit) e il danaro e la sapienza teologica». Danaro e teologia sono insolubilmente legati ai medesimi radicali bisogni dell’uomo. E «ambedue sono termini d’un medesimo desiderio, come dice Salomone Prov. 2[,3] “Se chiami e invochi la sapienza, se la ricerchi come l’argento e ti metti a scavarla come i tesori...”». Vi aveva fatto da premessa un asserto dalle imprevedibili conseguenze: «Ogni creatura, sia essa corporale che spirituale, di suo è buona, come si dice in I Tim. “Ogni creatura di Dio è buona”...». Così la sapienza - appannaggio finora del monastero o della corte - fa la propria comparsa nella città. E ne assume gli spazi urbani, come per familiare e consueta frequentazione.

Il cittadino ama la città più di se stesso, poiché nella città la virtù intellettuale, morale e teologica sopravanza quella dell’uomo solitario. Nella città il cittadino trova più ausilii alla virtù che se vivesse da solo. E può maggiormente progredire intellettualmente. Da solo potrebbe certo acquisire la sapienza tramite ricerca personale (per inventionem) mentre in città la consegue tramite pubblico insegnamento (per disciplinam), e con tanti maggior vantaggi quanto più una città grande dispone di gran numero d’insegnanti (doctores). (…) La grammatica è stradina o vicolo o chiasso che guida alla logica; questa è come la via; la matematica è il pubblico viale; la scienza naturale è la gran sala del palazzo; la morale è il chiostro conventuale; la metafisica è la piazza della città; la teologia è il campo [campus: spianata di pubblico convegno?]... [cf. «Memorie domenicane» 1979, 47; 1980, 9-10; 1985, 113 n. 197].

Le convergenze tra città e convento domenicano sono palesi. Pochi mesi dopo il sermone ai priori cittadini di cui sopra, i Consigli della Repubblica sanciscono regolari sovvenzioni alla costruzione di SMN. E come il frate aveva senza veli contestato leggerezza all’amministrazione precedente, così nel corso del 1294 e 1295 - in piena crisi della politica antimagnatizia di Giano della Bella e delle lotte tra consorterie delle arti maggiori e minori - risonerà di nuovo la voce del convento. Simpatia e biasimo tra gli schieramenti di parte sono appena dissimulati dalla rapidità detl’allusione: «Unde cavendum est vobis ne contra hoc aliquid faciatis, vel pro Iano [della Bella] et cetera...». «Et ideo omnis iniustitia removenda est a Statutis [Ordinamenti di giustizia] civitatis et cetera...».

4. Una volta che tale radicale interdipendenza sia stabilito, il convento svolgerà pubbliche funzioni, molteplici per contenuti, varie per tempi e significati: dalla mediazione di pace all’eliminazione della dissidenza ereticale, dal fervore della vita intellettuale all’acquiescenza al potente del giorno, dalla intensità delle forme spirituali al coinvolgimento negli intrighi cittadini, dalla denuncia del prestito ad interesse nella pubblica predicazione alla riscossione canonica «de incertis» da banchieri e mercanti tardivamente pentiti, dall’assistenza misericorde ai pauperes Christi all’impudente sollecitazione di benefici... Ma entro le fasi lunghe di crescita e declino, bisognerà individuare minuti termini cronologici, appurare fatti e persone, adattare rapidamente quadri esegetici per seguire le fila che tessono questa ricchissima e mobilissima tela dei rapporti tra città e convento mendicante. Vi si potrà intravedere, inoltre, quando e come il convento mendicante - frutto precipuo dell’evangelismo medievale in concorso con l’urbanizzazione dell’Europa del XII e XIII secolo - riasserisce la propria ispirazione e rivendica la propria sopravvivenza. Il presente numero di MD mette a disposizione strumenti di notevole valore - vogliamo credere - per una storia di tal genere.

5. Una parola finale sul “necrologio” di SMN. A fine della prima pars si legge: «Primae partis Necrologii nostri conventus Sanctae Mariae Novellae de Florentia imponitur finis 7 martii 1665...» (v. sotto, MD 11 (1980) 314). Stefano Orlandi aveva ben notato che il titolo Necrologii pars I sul dorso del codice e l’iscrizione Necrologium Sanctae Mariae Novellae nelle prime e ultime carte di guardia (carta di rilegatura moderna) sono di mano recente, del XVIII e XIX secolo (Orlandi, Necrologio I, pp. XXXVII-XXXVIII). E l’explicit della prima parte è palesemente posteriore all’ultimo articolo necrologico (1665). Facendo cenno al genere dei libri conventuali d’archivio, l’Orlandi scrive: «Codesti libri, o registri, furono detti obituari, necrològi, ed anche libri dei morti, e, talvolta anche cronaca, come è il caso del necrologio di S. Maria Novella» (ib. p. XXXV). Non è questione qui d’introdurre necessarie distinzioni di cronologia, di aree geografiche e di funzioni letterarie in fatto di fonti necrologiche (cf. N. Huyghebaert, Les documents nécrologiques, Typologie des sources du moyen âge occidental, Turnhout 1972); ma soltanto d’attirare l’attenzione sulla natura specifica dei documenti (Libro dei morti e Cronica) che MD presenta al lettore. Una semplice nota filologica che mira a restituire allo studioso che volesse usare tali documenti, la traccia che marca continuità, e rotture all’occorrenza, nella tipologia del fondo archivistico “libri conventuali”, almeno dei conventi domenicani di Toscana.

Il Libro dei morti, o Libro delle sepolture, ha una propria fisionomia e mai si confonde con altri libri conventuali. Esso è destinato a registrare il decesso dei laici sepolti nei recinti del complesso conventuale, o a descrivere la serie delle tombe padronali. Ma Obituario, Necrologio, Cronaca sono la medesima cosa? coesistono cronologicamente? si evolvono da un medesimo prodotto letterario? I frati che hanno dato Necrologium per iscrizione al documento di SMN testimoniano una fase avanzata di divisione e specializzazione dei libri conventuali d’archivio (XVII-XVIII secoli) e hanno palesemente retrodatato il nome del loro documento. Di fatto questo - e con particolare riferimento alla parte pubblicata dall’Orlandi (1235-1504) - come chiama se stesso?

Ecco quanto si può utilmente sottoporre alla valutazione stessa dello studioso.

Quando il documento fa esplicito riferimento a se stesso:

a) mai si chiama necrologium

b) talvolta si denomina con termine generico liber o libellus

c) chiama se stesso ordinariamente col nome specifico di cronica, cronica fratrum, cronice. Qualche esempio. «Studeat [sacrista] nomen ipsius et locum in quo obierit presenti cronice adnotare» (Necrologio I, 11). Pietro di Galigaio dei Macci († 1301) fu «huius libelli et cronice compilator» (n° 179). Scolaio di Squarcia († 1320) «presentem cronicam ex parte plurima compilavit» (n° 221). Paolo da Santa Croce († 1348) «dictator ornatus et scriptor pulcer, et magnam partem huius cronice compilavit» (n° 355). Paolo di Lapo dei Bilenci († 1381) «in hac etiam presenti cronica fratres plures preclare laudavit» (n° 496). L’aggiunta tardo-trecentesca a f. IIv dà la lista dei vescovi registrati «in istis cronicis» (Necrologio I, p. XXXIX).

L’inventario 1489 di fra di Tommaso di Matteo dei Sardi da Firenze recensisce il nostro documento come «Cronica fratrum mortuorum» (Orlandi, La biblioteca di SMN…, Firenze 1952, 61 n° 607; Pomaro, Censimento II, 335 n° 599).

Perché dunque pubblicarlo con la denominazione sei-settecentesca di Necrologium? Bisognerebbe - è vero - ricostruire sistematicamente l’evoluzione della cronica due-trecentesca in eventuali ramificazioni a libro più complesso e a più sezioni (cronica quadripartita del periodo rinascimentale) o a libri autonomi (cronica conventus, liber vestitionum, libro delle ricordanze...). Ma certamente la coincidenza di terminologia in documenti analoghi coevi e della medesima area geografica e amministrativa testimonia una netta costante a favore di cronica. Giovanni di Matteo detto Caccia inizia, nel secondo quarto del XIV secolo, la Cronica del convento domenicano di Viterbo (ed. A.M. Viel - P.M. Girardin, Roma-Viterbo 1907, 1, 3). «Incipit cronica conventus antiqua» dice l’autore della Cronica di Santa Caterina in Pisa ( Cr Ps f. 1r; ed. F. Bonaini, «Archivio Storico Italiano» I ser. t. 612 (1845) 399). E nel 1403 «presentem cronicam inchoabo» scrive l’autore della Cronica di San Domenico in Camporegio di Siena (ed. M.-H. Laurent in «Fontes Vitae S. Catharinae Sensensis Historici», Milano 1937, 1). Il prologo dell’analogo documento di San Domenico di Perugia (secondo quarto del XIV s.) si propone «ad perpetuam rei memoriam cronice annotare obitus venerabilium patrum et fratrum perusini conventus», e ammonisce chi lo seguirà: «studeat... presenti cronice annotare» (Cr Pg f. 25r-v).

Intorno al 1550 fra Domenico di Francesco dei Baglioni riprende il lavoro dopo lunga interruzione: «Postquam per centum et plures annos hęc intermissa est chronica de glorioso obitu fratrum conventus Sancti Dominici de Perusio vel viventium neglectu vel oblivione seu negligentia vel quia libellus iste ad tempus latuerit, quare et studiosos animos ad hoc opus prosequendum excitare nequivit, visum est mihi...» (ib. f. 60v).

In edizione a stampa, MD 11 (1980) 12-13, trovi qui scritto:

«Nel 1457 fr. Vincenzo detto Abate riprende il lavoro dopo una lunga interruzione: …».

Spiacevole errore dovuto al salto d'una pagina nel mio quaderno d'appunti al primo contatto con la Cronica. Si restituisca il tutto, lavoro e tempi, a Domenico di Francesco dei Baglioni, e si corregga come qui riproposto in colonna sinistra.

Il gusto umanistico detterà talvolta gli Annalia, come nel caso di San Marco in Firenze (ed. R. Morçais, «Archivio Storico Italiano» 71 (1913) 6). Ma ci sono - e prevalgono - nel XVI secolo e oltre, coloro che testimoniano continuità filologica, benché l’antico ceppo della cronica due-trecentesca (prevalentemente biografica anziché necrologica) abbia ramificato in più direzioni. A fra Giovanni Maria dei Tolosani è fatto ordine nel 1516 di scrivere la «cronica conventus» di San Domenico di Fiesole. Il prologo documenta in modo singolare i lasciti antichi e i bisogni nuovi, la trasmissione di antico strumento a funzioni nuove:

Prior... iussit mihi... ut reformarem et denuo scripto mandarem cronicam conventus eiusdem: sicut ordinatum fuerat in precedenti capitulo provinciali…, ut scilicet reformarentur cronice defectuose et destructe conventuum eiusdem congregationis. Sed quum in cronica veteri huius conventus multa deficiunt et pauca que in ea scripta sunt confuse ibi posita sunt, ideo ad plenum non est possibile ipsam reformare. Quippe in ordinem congruum reducam non omnia sed quedam que ex dicta veteri cronica... Fideli igitur narratione distinguam volumen hoc in quatuor partes. In prima [parte] describentur acta et gesta conventus... In secunda priores... In tertia fratres recepti ad habitum... In quarta vero fratres huius conventus defuncti...» (in Orlandi, Necrologio II, 514).

Nel 1517 fu avviata la Cronica di Santa Maria del Sasso (ed. ciclostilata di I. Grossi, Firenze 1975). E ancora nella seconda metà del Cinquecento fra Serafino Razzi iniziava la Cronica di San Domenico in Pistoia: è andata perduta, ma se ne possono ricostruire ampi brani dalle citazioni fattene negli altri libri conventuali, Libri delle sepolture, Libri delle ricordanze ecc.

Ogni storico sa l’importanza delle piste filologiche. Il cosiddetto “Necrologio” è la Cronica fratrum di Santa Maria Novella in Firenze.


finis

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