Quolibet I,4 |
Questione quodlibetale I,4 |
originale latino |
volgarizzamento (2008) di EP |
⌂ Articulus 4 - Utrum in Christo sit tantum unum esse[1] |
Articolo 4 - In Cristo vi è un solo essere? |
Postea de Deo quantum ad unionem cum humana natura. Et erat questio utrum in Christo sit tantum unum esse. |
Poi circa Dio quanto all'unione con la natura umana. Ed era stata posta la domanda: in Cristo vi è un solo essere? |
Et ostendebatur quod non, quia omnis forma dat esse, ut patet per Philosophum in II libro De anima; sed in Chisto est duplex forma, scilicet divina, iuxta illud Philip. 2[,6] «Cum in forma Dei esset», et humana scilicet anima rationalis, iuxta illud Io. 10[,18] «Potestatem habeo ponendi animam meam» etc.; ergo erit ibi duplex esse, scilicet divinum et humanum[2]. |
Argomento per il no. Ogni forma dà l'essere, come risulta da Aristotele, Dell'anima II,1 (412a 20-25). Ma in Cristo vi è duplice forma: quella divina, Filippesi 2,6 «pur essendo di natura divina»; e quella umana ossia l'anima razionale, Giovanni 10,18, «Ho il potere di offrire l'anima mia» eccetera. Dunque vi è duplice essere, il divino e l'umano. |
Contra. Unius suppositi unum est esse; sed Christus fuit unum suppositum; ergo etc. |
Argomento in contrario. Un solo supposito ha un solo essere. Ma Cristo fu unico supposito. Dunque eccetera. |
Responsio. Ista questio[3] habet maximam difficultatem tam ex parte ipsius esse quam etiam ex parte Christi. Quidam enim ponunt |74vb| quod esse et essentia in creatura sunt idem realiter; alii vero dicunt contrarium. Et similiter de Christo quamvis omnes catholici concordent in quodam comuni, puta quia non oportet iudicare quantum ad omnia humana de Christo sicut de alio puro homine, tamen quantum ad quedam specialia discordare inveniuntur. Dicunt enim aliqui in Christo est tantum unum esse substantiale; alii vero dicunt quod plura, etiam dato quod esse et essentia in creatura differant realiter. Sed diversi diversis viis inveniuntur moveri, sicut in tractatu De uno esse in Christo plenius executi sumus. Nunc autem quantum ad presens sufficiat sic dicere. |
Risposta. Questione di massima difficoltà, sia da parte dell'essere che da parte del Cristo. Taluni ritengono |74vb| che essere ed essenza nella creatura siano medesima cosa; altri ritengono il contrario. Parimenti a riguardo di Cristo; sebbene tutti i credenti cattolici concordino su una visione di base, ad esempio che tutte gli aspetti umani del Cristo non vanno meccanicamente valutati su misura d'una data persona; ma discordano su talune questioni speciali. Alcuni infatti sostengono un solo essere sostanziale in Cristo; altri sostengono esseri molteplici, anche ammesso che essere ed essenza nella creatura siano realmente distinti. Ma ciascuno attiva percorsi argomentativi diversi, cone più ampiamente mostrato nel trattato De uno esse in Christo. Qui ora ci limitiamo all'essenziale. |
Distinguimus ergo primo de esse dicentes quod est duplex esse, scilicet esse essentie et esse existentie. Esse autem essentie idem est quod essentia vel quiditas quam significat diffinitio. Et sic accipit esse Philosophus in I Topicorum ubi dicit «Terminus - idest diffinitio - est oratio significans quid est esse», et in pluribus aliis philosophie sue locis. Esse autem existentie nichil aliud est quam quedam actualitas creature in rerum natura. |
Anzitutto distinguiamo la nozione di essere: essere dell'essenza ed essere dell'esistenza. L'essere per essenza è medesima cosa che essenza o quiddità espressa dalla definizione. E in questo senso la intende Aristotele, Topici I,5 (101b 39): «Il termine, ossia la definizione, è discorso che esprime l'essenza»; e così in molti altri testi dei suoi trattati filosofici. L'essere per esistenza invece altro non è che una qualche attualizzazione della creatura nella realtà delle cose. |
Et utrumque dictorum esse dividitur quia quoddam est in re, quoddam est in sola ratione. De esse namque essentie loquens Philosophus in V Methaphisice secundum quod est in re, dividit ipsum in decem res predicamentorum, quasi in decem essentias realiter distinctas[4]. Sed de esse essentie quod est in sola ratione loquimur cum dicimus quod alia est essentia generis et alia est essentia speciei, et sic de aliis universalibus et de aliis secundis intentionibus. |
Entrambi gli esseri si distinguono: essere nella reale attuazione, ed essere in quanto termine logico. Parlando Aristotele dell'essere per essenza nella realtà, Metafisica V,7 (1017a 23-30), lo divide in dieci predicamenti o categorie, quasi fossero dieci essenze realmente distinte. Parliamo tuttavia dell'essere per essenza nel solo atto conoscitivo quando diciamo che diversa è l'essenza del genere e diversa è l'essenza della specie, e così circa gli altri universali e le altre seconde intenzioni. |
Iterum esse existentie quod est in re dividitur a Philosopho in V Methaphisice in per se et per accidens[5]. Primum con(tingi)t substantie prime, quod a quibusdam vocatur esse subsistentie, secundum vero con(tingi)t substantiis secundis et accidentibus et partibus primarum substantiarum, vel que per modum partis significantur. Esse[6] autem existentie quod est in sola ratione est illud quod significat compositionem cuiuslibet enuntiationis quam anima facit; et est copula verbalis, sicut dicit glosa Origenis super principium Iohannis, et significar idem quod verum, sicut dicit Philosophus in V Methaphisice. Et sic esse attribuitur omni ei de quo potest propositio affirmativa vere formari, sive illud sit ens sive non ens, ut “chimera est chimera”, et “non ens est non ens”. |
Inoltre l'essere per esistenza reale, Aristotele lo distingue in asssoluto e in accidentale Metafisica V,7 (1017a 7-8). Il primo attiene alla sostanza prima, detto da taluni essere per sussistenza; il secondo attiene alle sostanze seconde, agli accidenti, alle parti delle sostanze prime o a quanto è inteso come parte. L'essere per esistenza che è nel solo atto conoscitivo è quello che esprime la composizione di qualsiasi enunciato fatto dall'intelletto; è "copula verbale", come dice Origene nel prologo a Giovanni; ed equivale a vero, dice Aristotele in Metafisica V,7 (1017a 31). E in questo senso l'essere funge da attributo verbale per qualsiasi soggetto atto ad una proposizione affermativa, sia esso esistente o no; esempio: “la chimera è chimera”, “il non ente è non ente”. |
Hiis igitur sic prelibatis, sciendum est quod nos in proposita questione loquimur de esse existentie quod est in re per se, quod scilicet dicitur esse subsistentie, |75ra| quia scilicet est rei subsistentis. Et hoc esse dicimus in Christo esse solum unum. |
Fatte dunque tali premesse, c'è da dire che in rapporto alla questione sollevata noi parliamo dell'essere per esistenza nella realtà in senso assoluto; lo si chiama essere per sussistenza |75ra| in quanto appartenente ad una realtà sussistente. E inteso in tal senso, asseriamo che in Cristo l'essere è unico. |
Quia[7] enim in Christo ponimus unam rem subsistentem tantum, ad cuius integritatem concurrit etiam ipsa humanitas quia unum suppositum est utriusque nature, ideo oportet dicere quod esse substantiale, quod proprie attribuitur supposito in Christo, est unum tantum, sicut et suppositum est unum tantum. Nisi enim natura humana assumeretur in Christo ad unum esse ypostaticum, proprietates humane nature non dicerentur vere de Filio Dei, scilicet quod sit passus et huiusmodi, sicut nec vere dicitur quod angelus sit coloratus vel risibilis propter corpus hominis assumptum. Nec etiam diceretur assumens assumptum sicut nec angelus assummens dicitur corpus vel homo. Et sic Filius Dei non esset passus neque esset homo, quod est contra fidem. |
Noi dunque poniamo in Cristo un'unica realtà sussistente; alla sua pienezza concorre anche la stessa umanità, poiché unico è il supposito di entrambe le nature (divina e umana). Bisogna pertanto dire che l'essere sostanziale, che in senso proprio viene attribuito al supposito in Cristo, è uno solo, allo stesso modo che il supposito stesso è unico. Se infatti la natura umana non fosse assunta in Cristo nell'unità ipostatica ossia di persona, le proprietà della natura umana non potrebbero a rigore predicarsi del Figlio di Dio, ad esempio che sia morto e simili; così come non possiamo attendibilmente asserire che l'angelo sia colorato o ridevole per il fatto che ha assunto un corpo umano. Né il soggetto assumente lo possiamo chiamare assunto, così come un angelo assumente non lo si dice corpo o uomo. Parimenti il Figlio di Dio non sarebbe morto né sarebbe uomo; cosa contraria alla (nostra) fede. |
Alia vero esse multiplicari in Christo non est inconveniens, scilicet esse essentie quod est in re, quia in Christo est duplex essentia vel natura, et esse essentie quod est in ratione, secundum quod dicimus predicari de Christo intentionem individui et singularis et diffiniti; et similiter esse existentie quod est in re per accidens, quia in Christo fuerunt multe partes tam integrales quam essentiales, et multa accidentia tam in anima quam in corpore, et fuit homo et animal et corpus et substantia; et similiter esse existentie quod est in ratione, quia multe propositiones affirmative poterant vere formari de Christo. |
Non è poi inopportuno moltiplicare gli altri essere in Cristo; ossia l'essere per essenza sussistente nella realtà, poiché in Cristo vi è duplice essenza o natura; e l'essere per essenza nell'atto conoscitivo, in forza del quale attribuiamo a Cristo la nozione d'individuo e singolare e definito; parimenti l'essere per esistenza sussistente a mo' d'accidente, visto che in Cristo vi furono molte parti sia integrali che essenziali, e molte proprietà accidentali sia psichiche che fisiche, e fu uomo, animale, corpo e sostanza; e così anche l'essere per esistenza nel solo atto conoscitivo, perché molti asserti affermativi potevano essere formulati sul Cristo in piena verità. |
Ad argumentum in oppositum dicendum quod interdum aliquid con(tingi)t alicui secundum quod in se est et tamen non con(tingi)t ei propter adiunctionem sui ad alterum nobilius, sicut apparet in artificialibus. Instrumento enim, ut instrumentum est, con(tingi)t ut producat effectum secundum dissimilitudinem forme; sed si sua forma coniungatur forme principalis agentis, hoc ei non con(tingi)t, puta quando artifex martello facit mar<t>ellum. |
Risposta all'argomento in contrario. Talvolta una qualche realtà appartiene al un soggeto in quanto tale, ma non al medesimo soggeto inin quanto ricongiunto ad entità superiore, come appare ad esempio nei prodotti artigianali. Allo strumento in quanto tale spetta produrre un effetto dissimile dalla propria forma; ma se la sua forma si congiunge alla forma dell'agente principale, ciò non accade; esempio, quano l'artigiano lavorando col martello produce un martello. |
Item in clericalibus. Canonico enim
alicuius cathedralis ecclesie, in quantum cononicus est, con(tingi)t ut aliquam
reverentiam vel obedientiam exibeat preposito vel decano vel episcopo sue
ecclesie; sed propter coniunctionem canonicatus ad cardinalatum, |75rb|
puta si sit simul canonicus et cardinalis, ipsi non con(tingi)t. |
Parimenti nel mondo dei chierici. Al canonico d'una chiesa cattedrale (= sede
episcopale), in quanto canonico spetta esibire una qualche riverenza od
obbedienza al preposto (prevosto!) o al decano o al
vescovo della propria chiesa; ma in caso di congiungimento del canonicato col
cardinalato, |75rb|
come nel caso di chi sia canonico e cardinale insieme, a
costui non spetta. |
Et similiter est in proposito. Licet enim forme, in quantum forma est, conveniat dare esse, tamen forma propter coniunctionem ad formam nobiliorem competit non dare esse, cum unius suppositi sit tantum unum esse. Unde forma elementaris, que in elemento dat esse, in mixto[8] non dat esse, quia ibi est forma nobilior, scilicet forma mixti. |
E così è circa la nostra questione. Sebbene alla forma in quanto forma spetti dare l'essere, tuttavia in caso di congiungimento con una forma superiore, alla forma non spetta conferire l'essere, visto che ad un unico supposito corrisponde un unico essere. Cosicché la forma elementare, che nell'elemento conferisce l'essere, nel misto non lo conferisce, perché in esso c'è una forma superiore, ovvero quella del misto. |
Et anima sensitiva, que in bruto dat esse, in homine non dat esse, quia ibi est forma nobilior, scilicet anima rationalis in cuius esse substentatur. Et similiter in puro homine anima rationalis dat esse, sed in Christo non dat esse sed substentatur in esse quod dat forma divina cui anima rationalis coniungitur in eodem supposito, licet non coniungatur ei in ea natura, sicut contingit de forma mixti et de anima sensitiva ad animam rationalem et de forma mixti ad animam vegetativam. |
L'anima sensitiva, che nel bruto conferisce l'essere, nell'uomo non lo conferisce, perché nell'uomo c'è una forma superiore, ovvero l'anima razionale, sul cui essere si sostiene. Allo stesso modo, nella persona umana l'anima razionale conferisce l'essere, nel Cristo invece non dà l'essere ma è sostenuta dall'essere derivante dalla forma divina, alla quale l'anima razionale si congiunge nel medesimo supposito; benché non le si ricongiunga in quella natura, come invece accade nel caso della forma del misto, o dell'anima sensitiva rispetto all'anima razionale, o della forma del misto rispetto all'anima vegetativa. |
Illud enim sufficit quantum ad propositum quia unius suppositi unicum est esse. |
Sufficiente quanto alla questione qui sollevata, ché ad un solo supposito corrisponde un unico essere. |
[1] Art. 4 - Cf. TOMM., Quodl. IX, a. 3; De unione Verbi incarnati a. 4; Summa theol. III, 17, 2; molti testi sul soggetto raccolti da E. HOCEDEZ, Quaestio de unico esse in Christo a doctoribus saeculi XIII disputata, Roma 1933. Anonimo OP, Quaestio de unico esse in Christo [Perugia 1284-85]: ed. S.L. Forte, AFP 19 (1949) 115-21. REMIGIO DEI GIROLAMI, De uno esse in Christo: ed. M. Grabmann, «Estudis Franciscans» 34 (1924) 260-77.
[2] Il paragrafo (ed. stampa
rr. 4-8) sviluppa il quarto argomento delle ventisette obiezioni del
De uno esse in Christo (ed. Grabmann p. 260). Cf. MATTEO D'ACQUASPARTA, Utrum in Christo sit
tantum unum esse [1279-87], sed contra 7: Quaestiones disputatae selectae II,
Quaracchi 1914, 163; in HOCEDEZ, op. cit., p. 48. Per la sistematica
utilizzazione della questione di Matteo d'Acquasparta nelle obiezioni del De uno
esse in Christo di Remigio vedi sopra Introd. III §3.
Cf. ARIST., De anima II, 1 (412a 9-10 ss); II, 2 (414a 12 ss); ma Florilège
1, 189 (Metaph. VII): «Unde forma dat esse rei».
[3] Il paragrafo (ed. stampa p. 83 rr. 11-20) riprende alla lettera De uno esse in Christo (ed. Grabmann p. 263), salvo fine brano che ha: «Sed diversis viis moventur, sicut ex obiectionibus factis potest patere necnon ex dicendis poterit apparere» (ib.).
[4] I dieci predicamenti o categorie della logica medievale: substantia, quantitas, relatio, qualitas, actio, passio, quando, ubi, situs, habitus. E (subito dopo) i cinque universali o predicabili: genus, species, differentia, proprium, accidens.
[5] ARIST., Metaph. V, 7 (1017a 7-8). Cf. Florilège 1, 130: «Ens est duplex, scilicet per se et per accidens».
[6] Da qui fino a fine paragrafo (ed. stampa p. 83 rr. 38-43): medesimo brano in De uno esse in Christo (ed. Grabmann p. 267); in forma più concisa anche in De modis rerum I, 1: «Ille autem talis modus significatur per hoc verbum 'est' prout est copula verbalis et significat veritatem propositionis, secundum Philosophum in V Methaphisice et glosam Origenis super principium Iohannis» (cod. C, f. 18ra). Cf. TOMM., Quodl. IX, a. 3: «Dicendum quod esse duplicitur dicitur, ut patet per Philosophum in V Metaphysice et in quadam glossa Origenis super principium Iohannis. Uno modo secundum quod est copula verbalis significans compositionem cuiuslibet enuntiationis quam anima facit... Alio modo esse dicitur actus entis in quantum est ens...». La glossa origeniana si legge in TOMM., Glossa continua in lo. 1, 1: «'Sum' enim verbum duplicem habet significationem: aliquando enim temporales motus secundum analogiam aliorum verborum declarat, aliquando substantiam uniuscuiusque rei, de qua praedicatur, sine temporali motu ullo designat; ideo et substantivum vocatur» (EM 1953, p. 328b).
[7] L'intero paragrafo (ed. stampa p. 84 rr. 49-67) riprende, qua e là alla lettera, De uno esse in Christo (ed. Grabmann pp. 267-68); le prime 4/5 righe sono prestito letterale da TOMM., Quodl. IX, a. 3 corpo circa finem. Nota la convergenza con Giovanni da Parigi ed Erveo Nédellec: «Subsistere est per se actus ipsius suppositi, nec plurificari potest nisi ad plurificationem suppositi. In Christo autem non est nec esse potest nisi unum suppositum, et ideo non est ibi nisi unum subsistere. Et hoc, ut credo, est intentio doctoris venerabilis scilicet Thome quia dicit quod esse sipliciter quod pertinet ad suppositum, quod scilicet est ipsum subsistere in Christo, non est nisi unum, et illud unum existens habet relationem rationis ad naturam humanam, et natura humana relationem realem ad ipsum» (Quodl. VIII, 5, in Quodlibeta Hervei, ed. Venetiis 1513, f. 149vb). Per la paternità del quodlibeto VIII di tale edizione (Giovanni da Parigi come maestro ed Erveo Nédellec come baccelliere respondens?) vedi L. HÖDL, Die Quodlibeta Minora des Herveus Natalis, O.P., «Münchener theologische Zeitschrift» 6 (1955) 215-29; SOPMÆ II, 523 n° 2582.
[8] «in mixto»: Remigio tratta ampiamente la questione nel trattato De mixtione elementorum in mixto (cod. C, ff. 11vb-17rb).