Quolibet I,11 |
Questione quodlibetale I,11 |
originale latino |
volgarizzamento (2008) di EP |
⌂ Articulus 11 - Utrum peccet iIle qui profitetur regulam secundum consuetudinem non observantium eam in aliquo monasterio, protestando quod sic profitetur et non aliter, si transgrediatur ea que sunt in regula[1] |
Articolo 11 - Chi professa una regola nella tradizione dei non osservanti in qualche monastero, e dichiara che così e non altrimenti intende professare, pecca o no se trasgredisce quanto scritto nella regola? |
Postea quantum ad profitentes. Utrum profitens regulam secundum consuetudinem non observantium eam in aliquo monasterio, protestando quod sic profitetur et non aliter, transgrediendo ea que sunt in regula peccet. |
Poi circa chi professa o emette voti. Chi professa una regola nella tradizione dei non osservanti in qualche monastero, e dichiara che così e non altrimenti intende professare, pecca o no se trasgredisce quanto scritto nella regola? |
Et videtur quod non, quia nullus peccat transgrediendo ea ad que se non obligat; sed predicto modo profitens non obligat se ad servandum ea que sunt in regula; ergo etc. |
Argomento per il no. Nessuno pecca trasgredendo ciò a cui non è obbligato. Ma chi emette i voti in questo modo, non si obbliga ad osservare quanto scritto nella regola. Dunque eccetera. |
Contra. Ad principale sequitur accessorium; sed in religione professio est principale; ergo omnia alia secuntur ut obligent ad sui observationem. |
Argomento in contrario. A ciò che è principale consegue quanto gli è complementare. Ma nello stato religioso l'emissione dei voti è la cosa principale. Dunque tutto il resto che ne consegue obbliga all'osservanza. |
Responsio. Hic videtur procedendum cum distinctionibus. Obligatio enim alicuius ad aliquid est duplex, sicut apparet ex precedenti questione. Una obligatio est ex alio, alia est ex se ipso. Secunda habet locum in profitente. Sed et secunda est duplex: quedam est discreta, quedam est indiscreta. Prima semper obligat. |
Risposta. Anzitutto distinguiamo. Una persona si sente obbligata a qualcosa in due modi, come risulta dalla precedente questione: o per ordine superiore o per personale decisione. Questo secondo tipo di obbligo è quello di chi emette voti. Ma anche che questo secondo obbligo è duplice: discreto e indiscreto. Il primo obbliga sempre. |
Sed indiscreta est duplex: quedam enim est indiscreta quia
obligat se quis ad illicitum, puta ad homicidium vel furtum perpetrandum vel
aliquid huiusmodi; et talis non obligat, iuxta illud Ysidori «In malis promissis
rescinde fidem, in turpi voto muta decretum»[2]. Sed eo ipso quod
aliquis ad tale quid se obligat reputatur fractor obligationis, puta mendax vel
periurus vel aliquid huiusmodi. |
Il secondo obbligo, ossia l'indiscreto,
è a sua volta duplice. Uno è obbligarsi o
impegnarsi all'illecito, esempio a commettere un omicidio o un furto, e simile.
Tale impegno non genera un vero obbligo, secondo il detto d'Isidoro
da Siviglia († 636): «Nelle disoneste promesse rescindi l'obbligo e nell'empio
proposito muta decisione». A rigore, proprio perché uno s'impegna a tali
cose, di fatto è ritenuto trasgressore d'un obbligo, ad esempio mendace o
spergiuro o simile. |
Primo modo potest dupliciter contingere, quod aut illud illicitum |79va| mixtum pertinet per accidens ad matrimonium, et tunc obligatio <ad matrimonium remanet sed obligatio>[3] ad illicitum illud non remanet, quia cause per accidens sunt infinite; aut pertinet ad matrimonium per se, puta quia est directe contra matrimonium scilicet contra bona eius, et tunc obligatio etiam matrimonii non tenet, puta si dicat coniux “Ego consentio in te sub ista conditione quod ego possim accedere ad alteram vel alterum” non tenet obligatio quia est contra fidem. |
Nel primo caso (obbligo ordinato ad un bene minore) si dànno due possiblità: l'illecito commisto che tocca il matrimonio solo accidentalmente, e allora permane l'obbligo al matrimonio ma non all'illecito, visto che le cause accidentali sono infinite; oppure quello che tocca il matrimonio direttamente, perché ad esempio in diretta contrapposizione al matrimonio e ai suoi valori. E in tal caso l'obbligo del matrimonio non tiene; come se il coniuge dicesse: "Io do il mio consenso a te, a patto poi che io sia libero d'andare con un'altra o un altro". Obbligo che non regge, perché contrario alla fede. |
Et similiter si consentiat sub ista conditione quod fetum in utero interficiat, non tenet, quia est contra prolem. Et similiter si dicat “Consentio ut sis uxor mea usque ad certum tempus”, puta usque ad quinque vel decem annos, non tenet, quia est contra sacramentum. |
Parimenti se dà consenso con la condizone di disfarsi del feto nell'utero, l'obbligo non tiene, perché è contro la prole. Parimenti se dicesse: "Io acconsento che tu sia mia moglie fino a un tempo determinato", poniamo per cinque o dieci anni, tale l'obbligo non tiene, perché è contro il sacramento. |
Unde Extra, De conditionibus appositis, c. ultimo: «Si conditiones contra substantiam coniugii inserantur, puta si alter dicat alteri “Contraho tecum si generationem prolis evites” vel “donec inveniam aliam honore vel facultatibus digniorem” aut “si pro questu adulterandam te tradas”, matrimonialis contractus, quantumcumque sit favorabilis, caret effectu, licet alie conditiones apposite in matrimonio, si turpes aut impossibiles fuerint, debeant propter eius favorem pro non adiectis haberi». |
E dunque Decretales Extra, libro IV, titolo 5 De conditionibus appositis, capitolo 7: «Se il consenso matrimoniale è espresso con condizioni, tipo "Contraggo matrimonio con te a patto che eviti la prole", oppure "finché non trovo una più ricca di te", oppure "se ti dai alla prostituzione", in questi casi dunque il contratto matrimoniale per quanto accetto(?) è invalido; altre condizioni aggiunte, se immorali o impossibili, rispetto a un buon contratto vanno ritenute come inesistenti» (ed. Fried. Il, 684). |
Unde debet frangi conditio talis, sed matrimonium nichilominus tenet, puta si dicat “Contraho tecum si furtum feceris vel celum digito tetigeris”. Unde eodem titulo, c. 1: «Quiqumque sub conditionis nomine aliquam desponsaverit et eam relinquere voluerit, dicimus quod frangatur conditio et desponsatio irrefragabiliter teneatur»[4]. |
Cosicché siffatte condizioni vanno rimosse, ma il consenso matrimoniale ha valore. Esempio, se uno dicesse "Contraggo matrimonio con te a condizione che hai rubato o toccato il cielo con un dito". Nel medesimo titolo 5, capitolo 1 di libro IV delle decretali Extra: «Chiunque avesse sposato qualcuna sotto condizione e volesse lasciarla, disponiamo che la condizione decada e il matrimonio sia ritenuto inoppugnabile» (Il, 682). |
Aut talis obligatio est ad maius bonum, puta ad religionem, quod potest contingere dupliciter, quia aut profitens intendit esse religiosus aut non. Si non intendit, non videtur se obligare, quia et aliquis potest se obligare ad obedientiam tantum vel ad castitatem tantum vel ad paupertatem tantum. Vel potest existere in loco religionis et habitum quendam assumere sine omni voto. Si autem intendit et adicit conditionem contra substantiam religionis, puta contra aliquod trium votorum, non tenet obligatio, |79vb| sicut notavit Huguiccio[5], 19, q. 2, licet aliqui dicant contrarium. Et est argumentum pro eis, Extra, Qui clerici vel voventes matrimonium contrahere possint, c. ultimo. |
Oppure tale obbligo è ordinato ad un bene superiore, ad esempio entrare in religione. Che può occorrere in due modi: quando chi professa intende essere religioso oppure no. Se non intende, allora non sembra vincolarsi, visto che uno può obbligarsi solo al voto d'obbedienza o solo alla castità o solo alla povertà. Oppure capita che uno viva in area conventuale e indossi un abito religioso, ma non emetta alcun voto. Se invece intende essere religioso ed aggiunge una condizione contraria alla sostanza dello stato religioso, per esempio contro uno dei tre voti, allora l'obbligo non tiene, |79vb| come dice Uguccione da Pisa († 1210) nella Glossa a Decretum, Causa 19, questione 3, cànone 9 "Non extantibus" e "Nunc autem". Argomento a loro favore in Decretales Extra, libro IV, titolo 6 Qui clerici, capitolo 7 (ed. Fried. Il, 686). |
Si autem conditio apposita est indirecte contra religionem, non enim omnia que sunt in regula sunt precepta sed quedam sunt monitiones, quedam ordinationes etc.[6], et hoc potest contingere dupliciter, quia aut in talibus prelatus habet a regula potestatem dispensandi aut non. |
Se la condizione apposta è indirettamente contraria allo stato religioso - nella regola non tutto è precetto ma vi sono ammonizioni, disposizioni ecc. -, anche in questo caso si dànno due possibilità: che in siffatta materia il prelato abbia o no potere di dispensare. |
Ultimo modo transgrediendo peccat, sicut et in matrimonio vero existens peccaret commictendo furtum pro conditione appositum, quod dispensationem non recipit. Sed primo modo contingit, ut videtur, dupliciter, quia aut commictitur dispensatio prelato generaliter quantum ad omnia, aut specialiter solum quantum ad quedam. |
Trasgredendo nel secondo modo pecca, come chi sposato commettesse un furto posto come condizione; cosa che non prevede dispensa. Ma nel primo modo si dà (duplice condizione): o dando al prelato generale commissione di dispensare in tutti i casi, oppure soltanto in definita materia. |
Ultimo modo transgrediendo in aliis quam in illis peccat. Sed primo modo etiam transgrediens videtur peccare, cum dispensatio fieri non debeat nisi pro certa et rationabili causa, alias non esset dispensatio sed dissipatio. Unde tales generales dispensationes fieri prohibentur a papa, Extra, De statu monachorum, Cum ad monasterium. |
Chi trasgredisce nel secondo modo, pecca più in altre cose che non in quelle. Ma anche nel primo caso chi trasgredisce potrebbe peccare: la dispensa non deve darsi se non per certa e ragionevole causa, altrimenti non sarebbe dispensare ma dissipare. Siffatte generali dispense sono infatti vietate dal papa (Innocenzo III) in Decretales Extra, libro III, titolo 35, capitolo 6 (ed. Fried. Il, 599-600). |
Unde Bernardus in libro De dispensatione et precepto dicit: «Sane qui hec legit attendat me caute non dicere ea posse vel a prelatis leviter pro voluntate mutari, sed ex ratione fideliter dispensari». In ordine tamen fratrum Predicatorum constitutiones «non obligant ad culpam sed ad penam tantum, nisi propter preceptum vel contemptum»[7], ex ipsa auctoritate condentium constitutiones. |
Bernardo da Clairvaux, Su dispensa e precetto c. 2 (PL 182, 863 C), dice: «Chi legge faccia atttenzione: non sto dicendo che queste cose possano esser mutate con leggerezza dai prelati, ma solo dispensate con ragionevole prudenza». Nell'ordine dei frati Predicatori le costituzioni «non obbligano a responsabilità di colpa ma soltanto di pena, salva concomitanza di precetto o disprezzo», e ciò per disposizione delle stesse autorità costituenti. |
Ad argumentum igitur respondendum quod obligando se ad vota substantialia religionis consequenter obligat se ad ea que continentur in regula nisi cum eo dispensetur. |
Risposta all'argomento a sostegno del no. Chi s'impegna ai voti essenziali dello stato religioso si obbliga di conseguenza a quanto scritto nella regola, salve dispense. |
Ad aliud dicendum quod qui obligat se ad principale obligat se ad accessorium quod semper accedit, sicut ad hominem semper accedit risibile; sed non obligat se ad accessorium quod non semper accedit, scilicet sicut se habent quedam ordinationes regule respectu votorum substantialum. |
Risposta all'argomento in contrario. Chi si si obbliga al principale, si obbliga anche al complementare che ne consegue, così come all'essere umano consegue la proprietà di ridere. Non è obbligato però all'accessorio che non sempre consegue, come sono ad esempio talune ordinazioni della regola rispetto ai voti essenziali. |
[1] Art. 11 - Medesimo testo nell'Extractio questionum per alphabetum, cod. G3, ff. 93va94rb. Cf. TOMM., Quodl. I, a. 20; Summa theol. Il-Il, 186, 9.
[2] ISlDORO DA SIVIGLlA, Synonyma de lamentatione animae peccatricis II § 58 (PL 83,858 C); ma si legge in GRAZIANO, Decretum C. 22, q. 4, c. 5 (ed. Fried. I, 876). Durando da Saint-Pourçain citando il medesimo adagio isidoriano rinvia al Decretum (Quodlibeta avenionensia tria III, q. 7: ed. P. T. Stella, Zürich 1965, 290). Bartolomeo da San Concordio OP († 1346), Ammaestramenti...: «Nelle male promesse rompi la fede e nel rozzo proponimento muta il tuo intendimento» (ed. Parma 1859, 96).
[3]
et tunc obligatio ad matrimonium iter. et del. G3
| ad matrimonium remanet sed obligatio om. C, suppl. ex G3 (f. 93vb).
I due distinti incidenti in cod. C e in cod. G3 sul medesimo brano fanno pensare
a varianti redazionali d'autore in fase compositiva nell'antigrafo (verosimile
autografo dell'autore Remigio) da cui son tratti i codd. C e G3.
[4] I commenti a Decretales IV, 5, 7 e IV, 5, 1, sono ispirati alla Glossa ordinaria in locum (Decretales..., ed. Romae 1584, p. 1046b) che termina col rimando a Uguccione da Pisa: «Haec fuit opinio Hug(uiccionis) quam invenies 19, q. ultima, causa Si qua mulier, § Nunc autem. Alii contradicunt»; corrispondente in ed. Fried. l, 842, a Decretum, C. 19, q. 3, c. 9.
[5] «Huguiccio»: cf. Glossa in Decretum C. 19, q. 3, c. 9 "Non extantibus" e "Nunc autem" (Decretum cum glossis, ed. Venetiis 1584, p. 1613). Ma credo che l'evocazione d'Uguccione sia giustificata (e attinta) dalla Glossa alle Decretales di cui nella nota precedente.
[6] Cf. TOMM., Quodl. I, a. 20 corp.: «Non autem omnia quae in regula continentur sunt praecepta; quaedam enim sunt monitiones sive consilia; quaedam vero admonitiones sive statuta quaedam...».
[7] Constitutiones antiquae ordinis Praedicatorum [1216-36] prologus (ed. A. H. Thomas, De oudste Constituties van de Dominicanen, Lovanio 1965, p. 312). Constitutiones [1241]: ed. R. Creytens, AFP 18 (1948) p. 29. Costituzioni OP (1375). Vedi, di Remigio, Questio de duratione monitionum capitulorum generalium et provincialium: ed. E. Panella, AFP 50 (1980) 97-101. Cf. TOMM., Quodl. I, a. 20 corp.; Summa theol. Il-Il, 186, 10 ad 1.