De bono comuni |
Il bene comune |
originale latino |
volgarizzamento (2007) di EP |
⌂ 19. Argumenta contra rationes inductas quantum ad obiectum, et eorum solutiones |
Capitolo 19. Obiezioni contro le prove addotte circa l'oggetto (ossia le cose da tutti amate per naturale inclinazione), e loro soluzione. |
Consequenter ponamus illa que videntur esse contra rationes inductas, et primo quantum ad obiectum. |
E a seguito poniamo le obiezioni contro le nostre prove addotte circa l'oggetto, e loro soluzione. |
1. Primo sic, quia etiam malum in comuni magis convenit cum bono in comuni, quantum ad comunitatem, quam bonum particulare; et tamen malum nullo modo amandum est. Et dicendum quod ad amorem non sufficit comunitas obiecti nisi et assit [= adsit] similis bonitas. Comune autem bonum comprehendit convenientiam quantum |105va| ad utrumque. |
Obiezione 1. Il male pubblico converge col bene pubblico più che il bene individuale; e tuttavia il male non lo si può amare in nessun modo. Risposta. Convergenza nel semplice oggetto (d'amore) non rende ragione dell'amore stesso, a meno che non intervenga affinità di bene. Il bene della comunità coinvolge la congruità |105va| di entrambi. |
2. Secundo sic. Proximus interdum est melior, quem tamen non teneor diligere plus me sed post me. Et dicendum quod totum ita est melius parte quod ab ipso dependet tota bonitas partis, quod non contingit de bonitate proximi melioris. |
Obiezione 2. Il prossimo talvolta è più virtuoso, e tuttavia non son tenuto ad amarlo più di me, ma dopo di me. Risposta. Il tutto è talmente superiore alla parte che da esso dipende l'intero bene della parte; non così il caso del bene del prossimo più virtuoso. |
3. Tertio sic. Vita bona solitaria prefertur vite civili, sicut multipliciter ostendimus in tractatu Contra falsos ecclesie professores[1]. Sed vita solitaria refertur ad amorem sui, civilis autem ad amorem comunis. Ergo etc. Et dicendum quod bonus solitarius non est censendus homo sed Deus, secundum Philosophum et X Ethicorum et I Politice[2]. Et ideo in illa vita non prefertur amor singularis hominis amori comunis, sed prefertur amor Dei amori cuiuscumque creati. |
Obiezione 3. La vita solitaria virtuosa è da preferire alla vita nella comunità politica, come ampiamente mostrato nel trattato Contra falsos ecclesie professores. Ma la vita solitaria si rifà all'amore di sé, mentre la vita politica all'amore della comunità. Dunque, eccetera. Risposta. Il solitario virtuoso è più Dio che uomo, a giudizio di Aristotele in Etica nicomachea X,7 (1177b 26-31) e Politica 1,2 (1253a 27-29). In quel tipo di vita non è l'amore per la singola persona che viene anteposto all'amore della comunità, ma l'amore di Dio anteposto all'amore di qualsiasi creatura. |
20. Argumenta contra rationes inductas quantum ad subiectum, et eorum solutiones |
Capitolo 20. Obiezioni contro le prove addotte circa il soggetto (ossia la persona umana che ama), e loro soluzione. |
Quantum vero ad subiectum obicitur sic. Maior est coniunctio ubi penitus nulla est seiunctio quam ubi est aliqua seiunctio. Sed partis a se ipsa nulla est penitus seiunctio nec in nomine nec in re. Sed totius a parte in nomine quidem plana est seiunctio, cum aliud nomen sit pars et aliud nomen sit totum. Sed etiam in re. Non enim totum et pars sunt nomina sinonima penitus idem significantia, sicut Tullius et Cicero, et sicut ensis et spata; sed pertinent ad diversas species relationis, cum totum sit relativum superpositionis et pars sit relativum suppositionis[3]. Ergo maior est coniunctio partis ad se ipsam quam ad totum. |
Quanto al soggeto si obietta: Maggiore è la congiunzione laddove non v'è alcuna disgiunzione che dove c'è una qualche disgiunzione. Ma non si dà nessuna disgiunzione della parte, né nominale né fattuale. Si dà invece evidente disgiunzione nominale del tutto dalla parte, visto che parte" e "tutto" sono due distinte dizioni. E si dà anche disgiunzione fattuale, perché "tutto" e "parte" non sono sinonimi dal medesimo referente, come ad esempio Tullio e Cicerone, o sciabola e spada; ma implicano relazioni di specie diversa, essendo "tutto" un relativo di sovrapposizione, e "parte" un relativo di posposizione. Maggiore è dunque la congiunzione della parte a se stessa che al tutto. |
Et dicendum quod coniunctio in solo nomine parum facit ad veram coniunctionem; magis enim sunt seiuncta secundum veritatem canis celestis et canis latrabilis, que coniunguntur in nomine sue speciei quo scilicet utrumque eorum vocatur canis, quam canis latrabilis et asinus rudibilis[4], que in nominibus suarum specierum seiuncta sunt. |
Risposta. La sola congiunzione denotativa poco apporta a quella reale. Cane celeste e cane abbaiante, ad esempio, sebbene convergenti nella medesima denomimazione di specie "cane", risultano di fatto più disgiunti che se dicessi cane abbaiante e asino ragliante; disgiunti quest'ultimi nella denomimazione di specie. |
Res autem duplex est, scilicet res suppositalis idest ipsum suppositum, et res virtualis idest virtus agentis, largo accipiendo agens pro omni quocumque modo influente. Dicendum est ergo quod licet suppositum sit magis coniuntum sibi ipsi quam agens re suppositali, tamen agens est magis ei re virtuali coniunctum, quia virtus existendi non est supposito a se sed ab influente, per quem modum nos dicimus, secundum beatum Augustinum, quod «Deus est intimior cuilibet creature quam sit ipsa sibi»[5], |105vb| quia scilicet virtus sue conservationis non est sibi a se ipsa sed a Deo; sicut si diceremus quod figura sigilli intimior est figure impresse in aqua per eam quam sit ipsa figura sibi, quia per se, sine presentia figure sigilli, nec ad momentum subsisteret. |
Una cosa può essere duplice: la cosa in quanto oggetto inteso dalla sua denominazione, e soggetto virtuale in quanto potenzialità agente; e intendiamo agente in senso ampio per qualsiasi operatività. Diciamo dunque: il supposito è congiunto a se stesso più dell'agente per virtù potenziale; tuttavia l'agente gli è (al suppositum?) maggiormente congiunto in forza della potenzialità, perché l'esistenza non gli viene dal supposito in quanto tale ma dalla potenzialità agente. PIù o meno come quando diciamo con l'adagio di sant'Agostino, «Dio è più intimo a qualunque creatura di quanto questa lo sia a se stessa»; perché la persistenza, la creatura non l'attinge in radice da se stessa ma da Dio. L'impronta del sigillo è più intima a quella impressa in acqua che a se stessa; l'impronta in sé, senza il supporto del sigillo, nulla sarebbe. |
Et per istum modum etiam dicimus quod principale agens est immediatius effectui quam agens instrumentale, quia «omnis causa primaria plus influit quam causa secunda», secundum primam propositionem libri De causis[6]. Dicimus enim quod vicarius operatur mediante episcopo et balivus mediante rege et famulus mediante domino. |
Parimenti diciamo: l'agente principale è più prossimo all'effetto che l'agente strumentale; infatti «ogni causa primaria influisce più della causa seconda», come dice la prima proposizione del libro De causis. Allo stesso modo diciamo: il vicario opera in nome del vescovo, il balivo in nome del re, il famiglio in nome del signore. |
Et per istum modum etiam dicimus ad propositum quod totum est magis coniunctum parti quam pars sibi ipsi, licet e converso sit quantum ad suppositum. Sed quia prima coniunctio est potior quam secunda, sicut principium est potius principiato, ideo simpliciter dicendum est quod totum simpliciter est magis coniunctum parti quam pars sibi ipsi, licet e converso sit verum secundum quid. |
E tornando al nostro tema, diciamo parimenti: il tutto è più congiunto alla parte che a se stesso, sebbene il contrario sia quanto al supposito. La prima congiunzione è superiore alla seconda, così come il principio è superiore al principiato; e pertanto va affermato che il tutto in senso assoluto è più congiunto alla parte di quanto la parte lo sia a se stessa, sebbene il contrario sia vero in senso relativo. |
21. Argumenta contra rationes inductas quantum ad causas, et eorum solutiones |
Capitolo 21. Obiezioni contro le prove addotte circa le cause dell'amore, e loro soluzione. |
Quantum vero ad causas obicitur sic. 1. Magis cognoscimus proximum quam Deum, et prius cognoscimus creaturam quam creatorem; et tamen secundum ordinem caritatis Deum debemus diligere super omnia. |
Quanto alle cause si obietta: Obiezione 1. Conosciamo meglio il nostro prossimo che Dio, e prima la creatura che il creatore; e tuttavia secondo l'ordine della carità dobbiamo amare Dio sopr'ogni cosa. |
Et dicendum quod sola precognitio vel maior cognitio non sufficit ad hoc quod aliquid magis diligatur naturaliter ab aliquo, licet sit via ad hoc, sed oportet quod simul cum priori vel maiori cognitione sit etiam magis bonum in se et magis etiam coniunctum amanti. Que quidem duo inveniuntur in toto respectu totius, sicut patet ex dictis. |
Risposta. La previa o maggior conoscienza non decide da sola se un oggetto sia più amato per natura da qualcuno, sebbene ne sia predisposizione. Insieme a previa o maggior conoscienza, è necessario che l'oggetto sia anche un bene superiore in sé, e un bene più congiunto alla persona che ama. E queste due le cose si ritrovano nel tutto rispetto al tutto, come mostrato sopra. |
2. Secundo sic. Amor quo aliquis amat aliquid propter bonum proprium est amor concupiscentie. Sed amor amicitie est potior quam amor concupiscentie. Si igitur pars ex illa ratione diligit totum magis quam se quia est magis bonum ei quam ipsa sit sibi, cum se diligat amore amicitie quo scilicet aliquis vult bonum rei amate, sequitur quod amor quo naturaliter diligit se est potior eo amore quo naturaliter diligit totum. |
Obiezione 2. Quando uno ama un oggetto per il proprio bene o interesse, è questione di amore di concupiscenza. Ma l'amore di amicizia è superiore all'amore di concupiscenza. Poniamo allora che la parte amasse il tutto più di se stessa perché il tutto è maggior bene di quanta essa lo sia a se medesima; poiché la parte si ama di amor d'amicizia e di coneguenza vuole il bene della cosa amata, ne segue che l'amore con cui per natura ama se stessa è superiore all'amore con cui per natura ama il tutto. |
Et dicendum quod pars naturaliter diligit totum amore amicitie. Sed quia in bono rei naturaliter amate includitur etiam bonum rei naturaliter ipsam amantis, inde est quod pars etiam dicitur amare totum propter bonum |106ra| proprium; non quod ordinet bonum totius ad bonum proprium sed potius e converso ordinat bonum proprium ad bonum totius. |
Risposta. La parte per natura ama il tutto di amor d'amicizia. Ora nel bene dell'oggetto naturalmente amato, è incluso anche il bene di chi lo ama. E in questo senso diciamo che anche la parte ama il tutto per il bene proprio: non nel senso che subordini il bene del tutto al bene proprio; piuttosto al contrario perché ordina il bene proprio a quello del tutto. |
3. Tertio sic. Maior est similitudo quam habemus ad proximum, cum quo convenimus in specie, quam illa quam habemus ad Deum, cum quo convenimus in sola entitate cum Deus sit extra omne genus. Sed ex caritate tenemur magis diligere Deum quam proximum. Ergo maior similitudo partis ad totum quam ad se ipsam non est sufficiens causa quod pars preamet naturaliter totum sibi. |
Obiezione 3. La similitudine che abbiamo col prossimo è maggiore di quella che abbiamo con Dio; col primo infatti conveniamo nella medesima specie, con Dio invece conveniamo nella sola entità, visto che Dio è al di fuori d'ogni genere. Ma in forza della carità, siamo tenuti ad amare più Dio che il prossimo. Dunque la maggior similitudine della parte al tutto, piuttosto che a se stessa, non è causa sufficiente a che la parte per natura anteponga l'amor del tutto a quello proprio. |
Et dicendum quod similitudo quam habemus ad Deum non est per alicuius comparticipationem nec etiam entis in comuni, sed est per imitationem, scilicet sicut opus assimilatur artifici; et ideo potior est quam illa quam habemus ad proximum, que est per alicuius comparticipationem, sicut causa potior est effectu. Ex hoc enim quod participamus a Deo id quod ab ipso etiam proximus habet, similes proximo efficimur; et ideo ratione similitudinis debemus magis Deum quam proximum diligere. |
Risposta. La nostra similitudine con Dio non è per compartecipazione d'un qualcosa, nemmeno dell'essere in comune; è invece similitudine per imitazione, quasi al modo d'un manufatto rispetto al suo artigiano. Ed è pertanto una similitudine superiore a quella che intratteniamo col prossimo, la quale è per comparticipazione d'un qualcosa. Superiore infatti è la causa rispetto all'effetto. Tuttavia da Dio ci proviene per participazione la medesima realtà che da lui ha anche il prossimo: e che al prossimo ci rende simili. E dunque sulla base della similitudine dobbiamo amare più Dio che il prossimo. |
Obiectiones vero contra rationes sumptas ex effectibus et signis dimittantur ad presens. |
E sorvoliamo, per ora, le obiezioni relative agli effetti e ai segni dell'amore. |
Sed tamen utrum aliter ordinanda sint predicta ad declarationem oportuniorem veritatis vel ad salubriorem motionem voluntatis - puta primo rationes secundo exempla, vel primo rationes secundo contra obiectiones, vel aliter qualitercumque - diligens examinator provideat et adaptet. |
Forse si potrebbe ordinare diversamente l'intera materia, per più congrua illustrazione della verità o più fruttuosa pesuasione. Ad esempio: prima gli argomenti e poi gli esempi, oppure prima gli argomenti a favore e poi le obiezioni; o qualsiasi altro ordine. Se ne incarichi lo scrupoloso lettore, e adatti a suo piacimento. |
Explicit tractatus de bono comuni fratris Remigii Florentini magistri in theologia ordinis Predicatorum. |
Fine del trattato sul bene comune di fra Remigio da Firenze, maestro in teologia, dell'ordine dei Predicatori. |
[ Firenze 1301-1302 ] |
[ Firenze 2007 !] |
Qui segue nell'originale, f. 106ra-b, la lista dei capitoli, che nell'edizione ho premesso al testo.
[1] REMIGIO DEI GIROLAMI, Contra falsos ecclesie professores c. 76, 50-198 (ed. F. Tamburini, Roma 1981; MD 10 (1979) 165-68). In un sermone della domenica III d'Avvento, Cum audisset Iohannes (Mt. 11,2), tutto scritto in margine da mano B, si legge: «Circa quintum nota quod hominum volentium moraliter vivere duplex est modus vivendi. scilicet in vita solitaria vel in sotietate aliorum hominum; et primus modus est excellentior, sicut ostensum est diffuse in tractatu Speculi. Beatus autem Iohannes hic asseritur vixisse in solitudine deserti» (cod. G4, f. 8r, marg. sup. e d.). In Speculum (cod. C, ff. 135vb-154rb) non si trova il minimo accenno alla questione della vita contemplativa/attiva. Molto probabilmente Remigio intendeva rinviare al Contra falsos (c. 76, 50-198), dove la questione è ampiamente e sistematicamente discussa, ma per lapsus di memoria ha scritto Speculum. Per il rapporto cronologico tra Contra falsos e De bono comuni vedi sopra Introd. I § 2.
[2] Ethica nicomachea X,7 (1177b 26-31): «Non enim secundum quod homo est siturum [vel sic vivet] set secundum quod divinum aliquid in ipso existit» (traduz. recogn.: Arist. Lat. 26,578); in traduz. moderna, greco-ital.: «Ma una tale vita (contemplativa) sarà superiore alla natura dell'uomo; infatti non in quanto uomo egli vivrà in tal maniera, bensì in quanto in lui v'è qualcosa di divino». Politica 1,2 (1253a 27-29). Quest'ultimo testo citato letteralmente anche in Contra falsos c. 76,71-73.
[3] Cf. PIETRO DI SPAGNA, Tractatus II,3: «Eadem nomine dicuntur quorum res est una, nomina autem plura, ut Marcus-Tullius» (ed. cit. p. 18); III,18: «Relativorum quedam dicuntur secundum equiparantiam... Alia vero secundum superpositionem, ut dominus, duplum, triplum. Alia vero secundum suppositionem, ut servus, subduplum, subtriplum» (pp. 34-35). PAPIA IL LOMBARDO, Elementarium doctrinae rudimentum: «Synonima... (ut est) ensis gladius mucro» {ed. Milano 1476, rist. Torino 1966, 324a). Uguccione, Derivationes II, 828 § N28. Delle «relationes superpositionis» Remigio parla anche nel trattato De mutabilitate et immutabilitate c. 5 (cod. C, f. 132rb).
[4] PIETRO DI SPAGNA, Tractatus II, 20, sulla predicazione equivoca «ut canis nomine uno predicatur de latrabili, de marino et de celesti» (p. 25); II, 3, sulla «coniunctio nominum in genere et specie» (pp. 17-18). Uguccione, Derivationes II, 1040 § 54: rudibilis = clamare asinorum.
[5] Adagio tradizionale elaborato su AGOSTINO, De Trinitate VII, 7, 37-38 (CCL 50,285; PL 42,975); Confessiones III, 6, 57-58 (CCL 27,33; PL 32,688). Cf. SACO ALARCON in NICOLA D'OCKHAM, Quaest. de dilect. Dei q. 2 (op. cito p. 81).
[6] De causis, propos. 1a (ed. Saffrey, Fribourg-Louvain 1954, 4).