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2. Secondo chiostro o chiostro grande | ala occidentale

Margaret Haines, Gli appartamenti papali in SMN per Eugenio IV
nella sua prima permanenza a Firenze, 1434-1436
(1979)
ASMN I.B.87 ins. 14, pp. 1-8 (introduzione)

L’Opera del Duomo dovette occuparsi ripetute volte durante il Quattrocento dell’allestimento degli appartamenti papali in Santa Maria Novella in occasione delle visite più o meno prolungate dei pontifici e di altri ospiti di alto rango della Repubblica fiorentina. Riguardo a questi lavori straordinari diretti dal personale dell’Opera, spesso con fretta e furia e tra altri incarichi pressanti, si trova una magnifica documentazione, in grandissima parte inedita, nei libri dell’Archívio dell’Opera di S. Maria del Fiore. Vorrei cogliere l’occasione di queste feste della fine del travagliato anno 1978 per offrirle (= al prof. Procacci) un piccolo saggio di questo materiale. Si tratta dei lavori svolti in un altro anno sconvolto, cioè nel 1434, quando il papa Eugenio IV, in fuga da Roma si recò ospite a Firenze il 24 giugno alla vigilia dello storico “cambio di stato” fiorentino. Per gli Operai del Duomo era anche il momento in cui si mirava con ogni ansia alla prossima chiusura della cupola e in cui ci si accingeva ad affrontare i numerosi lavori all’interno di S. Maria del Fiore che avrebbero reso possibile l’apertura al culto della nuova tribuna. Sapendo che la culminazione di questa prima convivenza tra Eugenio IV ed i Fiorentini, cioè la consacrazione di S. Maria del Fiore in presenza del pontefice il 25 marzo 1436, è tema che Lei sta per trattare, pensavo che Le sarebbe stato di qualche interesse uno sguarda sul retroscena del momento storico.

Gli appartamenti dei papi a SMN erano già stati costruití, e in parte rícostruití ed adibiti ad uso pontificale, a costo di fiorini 1500, dall’Opera del Duomo su mandato della Repubblica in occasione della permanenza di Martino V a Firenze nel 1419. (Si veda ora anche la scheda relativa di F. Quinterio nel catalogo Lorenzo Ghiberti, materia e ragionamenti, Firenze 1978, 489‑491 con raccolta di bibliografia e documenti edití a cui vanno aggiunti i documenti pubblicati dal Müntz, I, 1878, 7‑8). Occupavano tutta l’ala occidentale del chiostro grande del convento e comprendevano un grande salone, probabilmcnte con annessí destinati a udienza, anticamera, ecc., l’appartamento privato del pontefice, alloggi separati per i più riguardevoli membri della sua casa e comuni per il resto della famiglia, più servizi come la cucina. C’era una scala al lato sud, verso l’ingresso in Via della Scala per cui nel 1434 si hanno notizie di disegni dati dal Ghiberti e dal Pesello. La disposizione dei vari servizi in questo momento, pero, è tutt’altro che chiara. Ci si appoggia sopratutto alla ricostruzíone storica offerta dal cronista domenicano, Borghigíani, che pur scrivendo nel XVIII secolo si basava su documenti e fontí conventuali (passi editi in Orlandi, Necrologio, II, 1955, p. 144 n. 51 e p.149). Ma i numerosi rimaneggiamenti.che rínnovavano i locali per accogliere i suoi illustri ospiti da Martino V a Leone X, fino alla loro trasformazione in convento di donne della Concezione sotto padronato granducale (Richa, III, 1755, 110-120 con pianta) e ora in caserma di carabinieri, creano una storia assai complicata che esige uno studio particolareggiato dei successivi momenti. Sono convinta che i documenti dell’Opera del Duomo potrebbero costituíre una base preziosa per tale studio il quale potrebbe dare in frutto, oltre alle singole notízíe, uno sguardo sull’evoluzione dell arredo “polittico” nel primo rínascimento fiorentino.

La documentazione che qui presento si limita a quella rinvenuta nei libri di deliberazioni, di stanziamenti, e per parte del periodo anche di cassa,  nell’Archivío dell’Opera del Duomo. Manca il lavoro di confronto sui documenti di altri fondi (da. cercare nelle Provvisioni, nell’Arte della Lana, e certamente nel convento soppresso di SMN) e sulle fonti contemporanee (Petriboni e gli altri cronisti e diaristí). E devo ammettere che l’importanza artistica dell’allestimento del 1434/5 potrebbe sembrare modesta a chi non è proprio appassíonato dei legnaiuoli del Quattrocento.

Il Duomo festeggiava il papa fuggitivo prima ancora che egli arrivasse a Firenze. Avute notizie che egli era giunto a Livorno, si segnalò l’avvenimento a tutta la città e campagna vicina con 170 pannelli accesi sulla cupola la notte del 15 giugno 1434 (docc. 25, 44). Tale era l’usanza per i grandi momenti nella movimentata storia fiorentina, ma questa illuminazione, che ormai poteva tracciare praticamente tutta la curva della nuova cupola, doveva sembrare particolarmente spettacolosa anche a chi aveva seguito il lento alzarsi di tanta mole da 14 anni. Prima dell’entrata del pontefice, comunque, c’era poco tempo per approntare gli appartamentí a SMN. Questí, del resto, non erano stati disoccupati dopo la partenza di Martino nel settembre del 1420, quando ci tornò il generale domenicano Leonardo Dati; e ci eran stati ospiti il cardinal Giordano Orsini nel 1424, l’ambasciatore veneziano nel 1426 e don Pedro di Portogallo nel 1428 (Quinterío, p. 490 e Richa, III, 116). Forse subito non si fece altro che sgomberare, spostare una parte della vita monastica del convento, dare una mano di bianco alla sala grande, accomodare qualche uscio e fare trovare le armi del papa dipinte sopra la porta della.sala grande (docc. 1, 26-29, 30). Le date degli stanziamenti, che potevano avvenire qualche giorno dopo i lavori affrettati, non permettono di dedurre una cronologia precisa.

Dal 6 luglio l’allestimento entrò in una fase più ordinaria con la deliberazione di registrare le giornate ívi lavorate dai maestri e manovali del Duomo nel libro già deputato per la costruzione degli appartamenti papali, cioè per Martino V nel 1419. Tale codice non è pervenuto, ma le le “opere” lavorate a SMN per il semestre agosto 1434 - gennaio 1434/5 risultano segnalate separatamente nei conti delle paghe nel libro di cassa VIII-1-1, e sono tante (se ne dà un esempio con il doc.105, ma sarebbe possibile comporre una tabella completa per il periodo rappresentato). Purtroppo proprio l’uso della maestranze del Duomo creò una situazione di contabilità che non ci permette di individuare e descrivere i singoli interventi quando questi non sono indicati da speciali deliberazioní o suggeriti dall’acquisto di particolari materiali. Né saprei indovinare l’uso preciso fatto dí alcuni materiali, da legni a ferramenti, pagati tra 1434 e 1435 per SMN (31-33, 57, 68, 69, 82). Il rimborso per un uscio fatto fare, invece, ci informa che esso serviva al tesoriere del papa, insedíato nella camera di uno dei frati (66).

Un paio di deliberazioni per specifici aspetti del lavoro, la cucina di papa Eugenio (3 - del 27 luglio) e il quartiere del maestro Luigi (4 - del 10 settembre; sarà il ricco e “superbo” patricarca, Lodovico Trevisan, che secondo Vespasiano, volle acquistare quasi per forza da Niccolò Niccoli un cammeo prezioso per 200 ducati) fanno pensare che Battista d’Antonio capomaestro dell’Opera, ebbe l’incarico di stabilire e dirigere tutti i lavori, probabílmente dietro i suggerimenti degli stessí occupanti. Anche più tardi si vede che la responsabilítà di fare eseguire i lavori deliberati era sempre delegata al capomaestro, come per il tetto dei cardinali (5, 11, 12, 14, 19, dal 31 gennaío) l’appartamento del vescovo di Traù, Tommaso Tommasini (10,  dal 17 febbraio), il graticolato nella sala grande e le armi del pontefíce sulla scala (15, 16, dal 18 marzo). Quindi, pur non potendo escludere qualche consulenza da parte di artisti di maggiore fama,come appunto il Ghiberti (Quinterío, p. 490 con punto interrogativo) o il Brunelleschi, allora provveditori della cupola, si deve riconoscere che i docunenti insistono sul ruolo del più modesto capomaestro dell’Opera, mentre tacciono su possibili interventi dei “grandi”. (Più tardí, invece, con gli allestimenti per la visita dell’Imperatore Federico III ho trovata esplicita menzione di progetti di Michelozzo, aílora succeduto al Brunelleschi suo alto incaríco). La sempre volenterosa dísponibilità dí Battista d’Antonio ad assumersi le responsabílità piu disparate (dalle fortificazioni del contado alle abitazioni dei chierici) ed ad assolverle con serietà e buon senso era apprezzato dagli Operai che tante volte durante il suo lungo servizio ebbero occasione di lodare la sua dedizione, e di trovare il modo di ricompensarla con qualche provvedimento speciale. Si veda, ad esempio, la deliberazione del 22 marzo 1434/5 (18) di donargli due grossi legni perché egli aveva lavorato molti giorni festivi per conto dell’Opera. Probabilmente questo sovraccarico di lavoro sostenuto dal capomaestro dipendeva, almeno in parte, dall’aggiunta responsabilità degli “acconcimi” di SMN. Anche i maestri dovettero qualche volta lavorare un giorno festivo per questo progetto (6, 7).

Se la documentazione pervenuta non ci permette di dedurre la natura dei lavori svolti dalle maestranze dell’Opera e con materiali già posseduti o difficilmente distínguibili da quelli per la cattedrale e il chiostro dei preti, essa per fortuna ci descrive certe singole imprese allogate in appalto. In questa categoria si trovano alcuni lavori di grossa falegnamería all’interno degli appartamenti, eseguiti, come pare, solo a partíre dal dicembre 1434. Uno di questi era la “tramezza” fatta “in sulla sala grande” dal legnaiuolo Francesco di Giovanni di Guccío, che poi dal 1435/6 avrebbe lavorato con Agnolo d’Arezzo per le tarsie della sagrestia del Duomo. La struttura era fatta di pioppo (37, 38) con applicazioni di ferri stagnati (63). Il legnaiuolo ricevette tre pagamenti (33, 35, 72) tra il 13 dicembre 1434 e il 30 marzo 1435 per un totale di lire 231, soldi 18, rappresentante qualcosa più di 77 braccia (quadre, penso) al prezzo stabilito di líre 3/braccio, e pare che il lavoro fosse già finito entro gennaio 1434/5 (55 “fatta”). Più tardi si vede un pagamento per una soglia di macigno da collocarsi alla porta del tramezzo (78); e forse per analogía, si può pensare a una sistemazíone nello stesso íuozo di un cardinaletto (74). Penso che si trattava di una specie di partizíone, alta abbastanza da appartare le funzioni che il salone ospitava, ma non da togliere il respiro al grande vano. La larghezza del salone, secondo il Richa (III, p. 117) era di 23 braccia. Quindi se un tramezzo di 77 braccía quadre proprio continuo, non sarebbe stato molto più alto di un metro; ma l’incognito dell’ampiezza di possibili aperture non permette conclusioni precise. (La soglia era larga braccia 2⅓).

Nel frattempo un altro legnaiuolo eseguiva importanti commissioni per palchi di legno negli appartamenti papali. Egli era Antonio di Manetto a cui, nel giro di un anno, sarebbe stato allogato, tra l’altro, la parete delle sagrestia del Duomo di fronte a quella per la quale avrebbe lavorato Francesco di Gíovanni. Ma per l’abitazione del papa il Manetti fu chiamato a fornire lavori molto píu sommari e senz’altro più spediti di quanto non sarebbero state le sue fínissime tarsie per la sacrístia. Una deliberazione retrospettiva del 2 marzo 1434/5 descrive, meglio degli stanziamenti, i singoli compiti a lui affidati, dei quali fissava i prezzi (13). Si trattava di volte in botte fuori la camera del papa in uno spazio designato “dormitorio”, un palco sopra la camera pontificale e alcune finestre ímpannate nell’andito del dormitorio e altrove negli appartamenti. I prezzí modesti di sol. 6/braccio (quadro, penso) per le volte e di solo den. 9 per il palco, pur netti del legname, quasi tutto di abete, acquistato dall’Opera (39, 4l, 42, 53?, 6l, 67?), non possono referirsi che a lavori abbastanza semplici. Ma una delle volte almeno non doveva essere del tutto disadorna, per avere più di 200 regoli dipinti (43, 48). Come il tramezzo, questi soffiti devono essere stati costruití in un breve lasso di tempo tra dicembre e gennaio 1434/5, anche se il Manetti fu saldato del resto, per un totale di lire 112, sol. 3, den. 8, solo il 29 aprile seguente. (Tre stanziamenti 36, 52, 87. Si dIce “fatto” già il 15 gennaio, doc. 106; mentre “la volta fatta” il 13 dicembre del doc. 43 sembra meno convincente nel contesto dell’altra documentazione.) Gli stanziamenti al legnaiuolo menzionano specificamente soltanto le volte, rna si deve interpretare tale dicitura come una specie di abbreviazione contabile per tutti i lavori enumerati nella deliberazione dei prezzi e non altrimenti pagati (altrove si trova il generico “lavorio”, 52, 106).

Il 18 marzo 1434/5 gli Operai deliberarono un altro intervento in legno, un graticolato nella sala grande dove si trovava il tramezzo (15). Lo stanziamento re1ativo ci informa che il legnaiuolo prescelto era di nuovo Antonio di Manetto, il quale aveva terminato il lavoro entro il 29 aprile quando fu saldato a ragione di sol.18/braccio quadro, ma a sue spese di legname (86). Il graticolato misurava ben 140 braccia quadre (quasi il doppio. del tramezzo) per il valore di lire 126, mentre un sovrappíù di lire 4 sol.10 stanziato doveva ricompensare il legnaiuolo per avere fatto un pergamo ordinato dal papa ma che l’Opera, pare, voleva offrire. Non sarei affatto sicura in un tentativo di identificare il graticolato manettiano con quel concello che secondo la descrizione del Borghigiani (in Orlandi, II, p. 144 n. 51) chíudeva una cappella a forma di tribuna in fondo alla sala grande.

Un altro lavoro per SMN prodotto da maestranze all’esterno delle paghe dell’Opera era un camino, probabilmente ingente, murato nel refettorio grande dei frati, allora adibito ad abítazione della famiglia di Eugenio IV. Per questo abbiamo documenti per la fornitura della pietra serena, forse piú che solo squadrata, da Antonio di Bartolo dello Scattocchio, scarpellatore e gestore d’una cava a Fiesole, in quello stesso periodo di dicembre‑gennaio 1434/5 in cui fervevono di lavori di legname (40, 60, e probabilmente anche 34, a un carradore per trasporto). I due stanziamentí allo Schattocchío, per un totale di lire 65 dicono ambedue “per parte” in modo da farci aspettare un’ulteriore somma dovutagli. Forse questa era pagata, insieme al saldo per le colonne del tetto dei cardinali, con lo stanziamento di lire 60 il 30 agosto “per resto d’ogni lavorío… di SMN per insino a questo dì” (97). Il maestro muratore, Paolo di Martino “Caleffi”, che costruiva il camino, lavorava pure a contratto e non a giornata. A lui sono intestati due stanziamentí del 31 gennaio 1434/5: il primo (54) per lire sol. 17 den.10 assai generico, ma la partita in cassa (108) precisa che egli faceva il camíno del refettorío; il secondo (62) per lire 15 per parte di lavoro fatto per l’abitazione della famiglia del papa. Il resto, stanziato solo il 30 agosto 1435 per fíoriní 14 sol. 5 den. 6 (93) riguarda il camino nel refettorio, cioè nell’alloggío della famiglia, e “ogni altro” lavoro. Probabilmente i fiorini dello stanziamento non sono quelli nuovi larghi, per cui si trovano valori attorno a lire 4 sol. 11 den. 6 nel ííbro di cassa (e.g. 107, 110), ma da calcolare a solo lire 4; comunque anche così il totale pagato al muratore si avvicina a lire 100. Il suo intervento era dunque impegnativo, e probabilmente costituito in notevole parte dalla costruzione del camino su cui insistono i documenti. Sempre nel refettorio-abítazíone famiglíare troviamo che furono impannate tre finestre con panno lino acquistato dall’Opera (73 - 30 marzo), quindi non identificabíli con i telai impannati eseguiti dal Masnetti, un panno lino a sue a sue spese (13), almeno che questo costo non fosse addebitato al legnaiuolo in una partita di cassa per il primo semestre del 1434, ora perduta.

Nel caso del refettorio e del suo camino i nostri documenti collimano solo parzialmente con un passo, assai ambiguo, del Borghigiani (in Orlandi, II, p. 149):

“Il Maestro generale Dati andava intanto allestendo tutto il bisognevile per lo ricevimento del Papa (Martino), giusta l’istruzione avutane sopra di ciò da’ Ministri Pontificii, per lo che, tra l’altre cose, fece accomodare il Refettorio per servire di tinello alla Corte bassa, ed i Religiosi si servirono dell’Ospizio per Refettorio, che è quello che oggi giorno pure è Refettorio; cosi fu nel tempo che stiede in convento Eugenio IV, ed in detto tempo i Frati andavano a fare Ospizío in una prima stanza dell’Infermeria. Questa volta (sembra di Eugenio?) nel detto Refettorio, per comodo di scaldarsi lo inverno, per chi mangiava al Tinello (allora, l’ex‑refettorío?), vi fu fatto un camino grande ornato di pietre, e nel frontone vi fu posta l’Arme di Martino V. In oggi sta dietro le manganelle dell’Ospizio”.

Il testo solleva, mi pare, più di una incertezza nella sua indicazione dei luoghi e dei tempi, tra cui forse la più ambigua l’ultima istanza di “ospizio”. Sospetto che il cronista abbia conflato notizie riguardanti diversi momenti e vorrei cercare nei documenti conventuali superstiti prima di dare troppo peso a questo passo. È comunque possibile che con inesattezze spiegabílí tramite un confronto con le sue fonti, lo scrittore settecentesco abbia voluto indicare proprio íl grande camino murato nel 1435 nel refettorio che accoglieva la famiglia del papa.

Altri abbellimenti per gli appartamenti di Eugenio IV furono eseguiti da pittori. Bicci di Lorenzo, il quale contemporaneamente adempiva altre commissioni per l’Opera, dipinse un giglio fiorentino con due agnus dei, simboli dell’Opera, sopra la porta che da Via della Scala dava nell’abitazíone del Papa (47, 110 nel doc. di cassa si nota la presenza del figlio Neri, 70), probabilmente durante la campagna di dicembre‑gennaío 1434/5. In marzo, poi, lo stesso giorno in cui fu deliberato il graticolato ligneo, si pensò di fare dipingere le armi di Eugenio in capo alla prima scala del chiostro (16), cosa compiuta da Piero Chellíni entro il 29 aprile insieme alla sua pittura sotto il tetto dei cardinali che proteggeva l’accesso, e poi tutto il percorso, di questa scala esterna (84). In maggio gli Operai deliberarono la doratura di un marzocco collocato sull’angolo della scala (pianerottolo interno?) degli appartamenti (20), e questo sarà il “leone di macigno” scolpito da Donatello nel 1419 “da mettere sopra colonna delle scale” (Quinterio, 1978, p. 490). Non appare dagli stanzíamenti se e da chi fosse fatta tale doratura. Questi accorgimenti pittorici esprimevano non solo l’onore dovuto all’augusto ospite ma anche l’orgoglio civico della commíttenza dei suoi alloggi. La doratura del marzocco era appunto “pro honorantia communis Fiorentie”.

Il progetto più impegnativo, in termini di tempo e danaro, intrapreso a SMN in questa occasione era il cosidetto “tetto dei cardinali” montato nel cortile dell’abitazione del papa, il chíosto grande. La deliberazione del 13 gennaio 1434/5 (5) che lo ordina spiega anche il motivo, cioè per proteggere dalle pioggie e dai calori dell’estate futura i cardinali che, dai loro alloggi dispersí nella città, arrívavano a cavallo fino nel cortile per smontare e salire in corte. Lo si dice per “residenza” o per “comodo” dei cardinali, un luogo forse anche di attesa e di rappresentanza. L’incarico di far fare al più presto possibile questo “tectum amattonatum cum colunnis condecentibus de lapide de macigno, ipsum ornando prout decet in tali loco” fu dato a Battista d’Antonío. Una ulteriore deliberazione del 5 marzo degli Operai, questa volta presenti in loco, (14) stabilì di completare la struttura in modo da coprire tutta la scala esterna; ed il 24 marzo si ordinò la costruzione di un muricciuolo in quella parte sotto il tetto dove esso mancava (19).

Gli stanziamenti documentano la costruzione della tettoia. L’opera lignea era affidata a Ghino di Piero legnaiuolo, artigiano spesse volte nel servizio dell’Opera. Egli appare ancora al lavoro mentre riceveva gli stanziamenti del 31 gennaio (50) e del 22 febbraio (64), mentre il tetto risulta già fatto, per quanto riguarda lui, al momento del resto del 29 aprile per un totale di lire 96 sol. 12 (81). Probabilmente i suo guadagno era netto del costo del legname, se alcuni acquistí di abete da parte dell’Opera riguardavano il tetto (e.g. 51, 53); infatti, si vede che dopo le deliberazioni di accrescere la struttura, séguita l’8 aprile un acquisto di abete destinato a tale aggiunta (76, e 79 del 22 aprile identico al 74). Nel frattempo arrivavano i lavori dei fornaciai per il tetto, sollecitati già il 25 gennaio (46). Penso che il termine “ammattonato”, anche se usato come descrizione del tetto, indichí il pavimento sodo e pulito, che si voleva stendere sotto i piedi dei cardinali equestri, e che in questo senso vanno interpretate le pianelle fornite (49, 77 e 80 che forse si ripetano, 96?), mentre gli embrici (65) sarebbero serviti per la copertura. La terminologia antica per i trodottí di terracotta  non è pervenuta con precísione tale da índurre ad insistere su questa o qualche altra interpretazione.

Una deliberazione apposta del 15 febbraio (11) curava l’ornato del tetto. Si decise di fare dipingere in verde terra l’accantonato “in facie muri tecti facti in cortili pape”. Penso, ma anche qui non sono sicura, che si indichi così un cantone del cortile preesistente nel quale fu addossato la tettoia, anche perché la struttura nuova sembra avere avuto soltanto murricciuoli (19). Infatti, troviamo il pittore Piero Chellini al lavoro sotto il tetto il 4 aprile mentre gli si intesta uno stanziamento di lire 40 per parte di tale lavoro (75). Il restante dovuto era però poco, compreso insieme a tutta la dipintura delle armi sulla scala con le 8 lire pagate al Chellini il 29 aprile (84). Purtroppo manca ogni indicazione del soggetto dell’affresco in verde terra anche se il prezzo sta ad indicare che esso non fu meschino.

Mancavano invece ancora proprio le colonne di pietra serena che non sarebbero arrivate fino all’estate, tanto da dovere concludere che il tetto, detto sempre “fatto” dalla seconda metà di febbraio, fosse sorretto da sopporti, provvisori di legno. Le basi ed i capitelli sono detti già “fatti” a nostra sorpresa a poco più di quindici giorni dalla prima deliberazione, quando si stanziarono lire 25 per parte di questi a Nanni di Donato, uno scarpellatore da Fiesole (59). Il saldo a Nanni, invece, dovette aspettare il 30 agosto seguente quando gli furono stanziate lire 34 per resto del suo lavoro mandato a SMN per il tetto dei cardinali (95). Ma si soprassedeva all’impresa delle colonne durante i primi lavori, e solo il 22 febbraio si diede balìa a Battísta d’Antonio di far fare questi tre monoliti di macigno (12). Egli conferi la commissione allo Scattocchio, che per questo ebbe tre stanziamenti per un totale di lire 89 sol. 4 tra il 21 maggio e il 28 giugno (88, 90, 92) oltre al saldo di lire 60 per tutte le sue forniture per SMN il 30 agosto (97) che, come abbiamo visto, probabilmente includeva anche il resto delle pietre per il camino. Il trasporto delle colonne dalla cava a Fiesole dovette essere faticoso. Arrivavano una alla volta, a giudicare dalle spese per vino dei maestri che le condussero il 14 giugno (89), Il 13 luglio (97 bis e 114) e il 23 luglio (115), una gentilezza straordinaria offerta dall’Opera oltre alla tassa di ben 46 lire corrisposta il 26 agosto al carradore per sua vettura delle tre colonne (94). Per il nostro tetto dei cardinali, si può portare a confronto la notizia di un tettuccio simile che si dice sopra la porta in Via della Scala, pare proprio nell’occasione della residenze di Eugenio IV, ma senza cítazione di fonte (Quinterío, 1978, p. 490).

Con l’estate del 1435 i grossi lavori a SMN dovevano essere terminati anche se si trovano ancora alcuni stanziamenti per materiali forniti (98-101), forse per resti o piccoli miglioramenti. Si può credere che il pontefice era contento di stare gli ultimi mesi, fino al marzo 1435/6, senza “muratorí in casa”. I lavoratori tornarono a SMN dopo la partenza del papa per fare due interventi deliberati Il 18 aprile 1436 (22), non so se per restituire i locali ad uso conventuale o per perfezioniarli per un’altra volta. A questi rimaneggiamenti probabilmente serviva il carrettiere pagato il 30 aprile (102). Un pagamento del 30 maggio ad Antonio Manetti per abete “pel sopraletto della chamera del papa” ha l’aria invece di essere un conto regolato in ritardo (103). Qualche altra deliberazione del periodo riguarda il ritorno al normale della chiesa e convento domenicano. Disfecero il palco in chiesa dove il papa aveva usato dare la benedizione e quello allestito nella cappella maggiore (23), mentre si mínacciò con azione legale il Petriboni se egli non restituiva alcune “cose dell’Opera” che aveva prelevato nella chiesa e chiostro di SMN (21). Finalmente l’Opera stessa doveva rendere alla Compagnia di S. Pietro Martire roba che essa aveva prestato alla famiglia del papa (24).

Dopo il fasto della corte di Eugenio e il viavai dei cardínali a cavallo, per non parlare della giostra in piazza che aveva voluto il nipote del papa (8), la quieta monastica tornava nei vasti locali del convento domenicano per qualche anno, fino a quando non sarebbe tornato lo stesso pontefice, questa volta portando con sé lo storico fervore del Concílio della chiesa greca e latina e tutti gli ospiti esotici che essa avrebbe tirati a Fírenze. Sarà certamente divertente seguire i particolari dei compiti dell’Opera del Duomo in questa occasione e negli altri momenti in cui SMN tornava al centro dell’attenzione della città per la sua magnifica ospitalità. Ma per ora basti questo piccolo esempio a saggio di quanto si può ancora scoprire in un archivio tanto studiato quanto quello dell’Opera di Santa Maria del Fiore.

segue (pp. 9-32) trascrizione dei documenti (numerati 1-115) dall'Arch. dell'Opera di S. Maria del Fiore

(doc. 60, 31.I.1434/5) Antonio di Bartolo da Fiesole lire 20 sono per partte di paghamento di uno chamino de· refetoro grande da SMN a libro segnato D c. 97.

(66, 3.III.1434/5) Maestro Alessio degli Strozzi [† 1437, Cr SMN n° 617] lire 14 p. sono per uno usscio fatto al tesoriero del papa inn una chamera la quale fu di maestro Girolamo di Giovanni [OP 1401, † 1454; Cr SMN n° 655] de' frati Predichatori a libro segnato D c. 120.

(73, 30.III.1435) Domenicho di Chante e conpagni linaiuoli lire 18 soldi 10 piccoli sono per braccia 40 di panno lino pe· lui venduto e dato al'opera per tre fare finestre inpannate ne· refetoro ghrande a SMN a libro segnato  .  .  c. 97.

(93, 30.VIII.1435) ... per resto di paghamento d'uno chamino per lui fatto a 'stanza dell'Opera inne· refettorio de' frati di SMN per l'abitazione della famiglia del papa

(108, 18.XII.1434) Pagholo di Martino Chaleffi che fa el chamino de· refetoro del papa...