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Chiesa prevasariana nella ricostruzione (1757-61) del Borghigiani sotto l’anno 1556

NB/ La letteratura corrente vi fa frequente ricorso. Attenzione: il Borghigiani (n. 1697, OP 1720, 30.VI.1766) “ricostruisce”, non “descrive quanto vede”, come talvolta si dice o si crede. L’attendibilità del Borghigiani è da riscontrare su qualità delle sue fonti (in gran parte il Biliotti) e loro interpretazione. Esempio: «E sopra detto altare [della Santissima Trinità] vi stava il crocefisso di Masaccio; quale, demolendosi detto altare, fu posto sopra la porta di sagrestia per di dentro» (infra §14); attinge dal Biliotti (ASMN I.A.9, f. 17r D: c. 14) ma lo fraintende gravemente, scambiando due diversi crocifissi. Prezioso quando raffronta con quel che vedeva con i propri occhi ai suoi tempi.

Ed. Orlandi, Necrologio II, 397-404, da cui normalmente si attinge; purtroppo con notevoli errori di lettura o d’omissioni omeoteleute. Qui sotto in colonne un campione di raffronto.

Ne ripropongo testo riletto sull’originale ASMN I.A.30, pp. 330-341 (prima redazione sembra ASMN I.A.24, ff. 78r-84v). Mantengo originale suddivisione dei paragrafi, annuita da breve esposizione del primo rigo. Numero taluni paragrafi in rispondenza ai numeri della piantina. - E. Panella, dic. '03.

ed. Orlandi

ed. EP

succedeva il sepolcro del B. Giovanni di Salerno, Fondatore del Convento, con basso rilievo di marmo antico del Beato morto, con molti voti appesi contiguamente qua e là (Necr. II, 398 rr. 26-29).succedeva il sepolcro del beato Giovanni di Salerno fondatore del convento, con basso rilievo di marmo antico del beato morto e giacente, circondato da diversi miracoli da esso operati in vita e dopo morte, con molti voti appesi contiguamente qua e là. Gio(vanni) Carli nella sua vita. (§5)
nella restaurazione di Cosimo I. Vedi all’anno 1565 (II, 402 penult§)nella restaurazione di Cosimo I. Vedi all’anno 1455. (§16)
e stretto quanto è dagli scalini alla fine del mattonato, che non ha sepoltura (II, 403 r. 4)e stretto quanto è |339| dagli scalini alla fine delle prime file de’ sepolchri di marmo stesi sul suolo, cioè fino al principio del mattonato che non ha sepolture (§6)

alquanto sfondate, non per caso però nella muraglia, o poco se pure, a riserva di quelle della Crociata (II, 403 rr. 23-24)

alquanto sfondate, non per cavo però nella muraglia o poco se pure, a riserva di quelle della crociata (§6)

ASMN I.A.30, Vincenzo Borghigiani,
Cronica annalistica
di SMN [1757-61], vol. III, pp. 330-341,
sotto l’anno 1556 e ultimo del modello annalistico seguito dall’autore,
a mo’ d’appendice «stato interiore della chiesa».

Anno 1556 ed ultimo della mia leggenda. Essendo che l’anno presente 1556 sia l'ultimo termine prefisso..., non sarà, stimo, disgradevole |330| al benigno leggitore che dello stato interiore della chiesa, poi spogliata e disadorna delle più preziose e rispettabili antichità e delle principali costumanze allora osservavasi pel buon regolamento di essa siccome del convento, se ne rinovelli la ricordanza.

Per dar qualche specie adunque di come stava la chiesa l’anno presente <1556>, quanto allo stato e simetria materiale al di dentro, per procedere con ordine ci figureremo di entrare in quella per la porta grande di mezzo e di volgere il passo a destra lungo le pareti a levante della medesima.

1. A prima giunta s’incontra lo altare de’ Magi situato tra le due porte, ornato attorno di bei marmi, con tavola piccola sì ma molto stimata, dì mano di Sandro Botticelli, esprimente l’adorazione de’ Magi, sotto il titolo della Epifania del Signore, nel qual giorno vi si faceva la festa della famiglia de’ Lama, che ne possedeva il padronato. Fu eretta da Guasparri di Zanobi da Lamole o del Lama, e dotata poi da m(adonn)a Angelica figliuola di Lionardo di Luca Malfui e donna fu di Guasparri Lama suddetto. Appiè allo scalino di detto altare v’è il sepolcro del medesimo fondatore con l’arme della casata e con l’appresso lettere: «S(epulcrum) Guasparris Zenobii de Lama». Allora però erane passato il padronato nella famiglia de’ Fedini, o per compra o per eredità che si fosse.

 

Pianta di Hall, Renovation
pp. 167-68, 197 Fig. 1

Porta laterale della facciata a levante.

2. Cappella della beata Vergine Maria e di san Lorenzo Martire della famiglia de’ Giuochi, con sepoltura situata nell’angolo ultimo della chiesa, con volta e pilastro e cancelli attorno; per una parte appoggiava alla muraglia della facciata allato alla detta porta, e per l’altra al muro maestro della prima arcata a levante. Vedi sopra all’anno 1399.

Nel restante del sodo di detta prima arcata v’era una figura intiera di san Vincenzio Martire, in una nicchia dipinta sul muro, ed attorno i fatti principali del suddetto a pennello a fresco. Vi stava l’altare posticcio |331| e la lampada accesa. Vi si cantavano messe talvolta, particolarmente il giorno della festa del santo a’ 22 di gennaio, che facevano i giovani studenti, essendo il santo protettore dello Studio del convento. Anche in oggi vi si vede appesa una tavoletta d’un miracolo o grazia, mi vien detto, intercessa dal medesimo anticamente a qualche suo divoto; quale tavoletta tornava sopra il capo del santo. La prefata immagine di san Vince(nzio) Martire fu cassata l’anno 1725 lorché si rimbiancò tutta la chiesa. Vedi all’anno 1416.

3. Cappella di san Murizio [sic] Martire nel mezzo della seconda arcata, con tavola sul legno e pitture attorno de’ fatti del santo sul muro, eretta già a spese di messer Guido da Campi, conte stabile della Repubblica. Vedi all’anno 1305.

4. Veniva appresso sotto il terzo arco la porta del fianco, che esciva sul cimiterio degli avelli, che era cinto di <mu>raglia; con portone sulla piazza vecchia, la stessa che v’è al presente. Ai lati di detta porta dì fianco dentro in chiesa v’erano delle pitture sul muro che figuravano in diversi quadrati uniti tutta la vita della santissima Vergine Maria. Se ne sono scoperte le vestìgia a’ nostri tempi nello scrostare il muro dell’altare del Nome di Gesù per rimbiancarlo. L’ornato esteriore di detta porta si conserva pure al dì d’oggi dentro al recinto della Compagnia di san Benedetto Bianco.

5. Nel piano del quarto arco, alto da terra a mezz’uomo, succedeva il sepolcro del beato Giovanni di Salerno fondatore del convento, con basso rilievo di marmo antico del beato morto e giacente, circondato da diversi miracoli da esso operati in vita e dopo morte, con molti voti appesi contiguamente qua e là. Gio(vanni) Carli nella sua vita.

Accanto ed accosto ai due scalini seguiva il sepolcro della beata Villana Botti, lavorato di marmo, il medesimo che v’è adesso, di qua trasferito ove ora risiede; sopra vi stava |332| collocato il crocefisso miracoloso di detta beata, che al presente sta all’altare in fondo della cappella della Pura. Vedi all’anno 1451.

6. Saliti appunto gli scalini cominciava la impostatura ed appoggio alla muraglia maestra delle volte del ponte. Lì subito accosto v’era sotto al detto ponte la cappella di san Tommaso di Cantuaria della famiglia de’ Minerbetti ove adesso sta il deposito di Tommaso Minerbetti postovi a nome di[1] messer Francesco Minerbetti arcivescovo turritano già defonto fino dal 1543[2] fatto poi o trasferito nel 1569[3] dopo levato detto altare e la rosa di bronzo ed iscrizione in marmo in terra. Ove sta sepolto detto arcivescovo tornava appiè appunto lo altare. Vedi all’anno 1308.

Dove adesso è la porta del fianco o poco più là sotto al medesimo ponte, v’era un’immagine del dottore san Girolamo dipinta a fresco sul muro, opera d’uno degli antenati di casa Gaddi, cioè di Taddeo o di <Ag>nolo. Vi stava un altare posticcio, e la famiglia de’ Gaddi vi faceva cantar delle messe e v’erano degl’obblighi. Vedi all’anno 1414.

Arco posteriore aperto del ponte.

Porta che entra nella cappella della Pura.

9. Sepolcro del Vescovo Rimbertini ove adesso è l’altare di san Raimondo. Vedi all’anno 1466.

Voltando il canto della crociata.

Porta che mette nella cappella della Pura e sepolcro allato del patriarca di Costantinopoli.

Scala e cappella di santa Caterina Vergine e Martire de’ Rucellai in testa di detta Crociata, in tutto come sta presentemente.

Sepolcro di pietra del vescovo della Penna; risiedeva abbasso al muro, poi rialzato sopra il prospetto del presepio quando vi fu fatto di nuovo il presepio[4] circa l’anno 1590.

Cappella di san Gregorio della famiglia de’ Bardi |333| con le pitture ed ornato antico. Vedi all’anno 1333, 1335 e 1405.

Cappella di san Giovanni Evangelista, titolo di quando fu di padronato degli Smeraldi consorti de’ Buoni; allora detta de santi apostoli Filippo e Giacomo della famiglia de’ Strozzi, con le pitture del Lippi e sepolcro di Filippo Strozzi compratore di detta cappella, ed altro come sta modernamente. Vedi all’anno 1486.

In mezzo alla crociata, di contro alla navata maggiore e dirimpetto al coro, succede la cappella grande de’ Tornabuoni, che ne comprarono il giuspadronato da casa Ricci, e prima era stata de’ Sassetti. Lo altare stava in mezzo alla cappella, lo stesso d’oggi, con le pitture del Grillandaio e finestroni di vetri tinti che vi sono al presente. Torno torno v’erano le panchine di noce con le spalliere alte, che ricorrevano per tutta la cappella. Ed allo ingresso v’erano gli scalini di marmo bianco che si stendevano rettamente, conforme stanno ora ai lati del semisestagono, che fu poi tirato in fuori per fare il presbiterio quando fu portato avanti lo altare sotto l’arcone, ove adesso riposa. Vedi all’anno 1320, 1348, 1350 e 1365.

Cappella di san Luca e san Giuliano. Fu intitolata da principio di san Luca perché iví il dì 18 di ottobre, giorno di sua festa, vi fu gettata dal cadinale legato Latino Orsiui del nostro Ordine la prima pietra della gran fabbrica l’anno 1279. Fu prima del convento, poi de’ Tornaquinci poi degli Scali poi della famiglia della Luna, e finalmeute de’ Gondi. Giuliano Gondi vi aggiunse il titolo di san Giuliano. Stava come sta in oggi, con le pitture de’ greci antichissime; e con lo adornamento di marmi |334| principiato e non finito quando vi fu collocato, per concessione de’ padri, il crocefisso di Donatello a tempo ed a spese de’ Gondi medesimi. Vedi all’anno 1503.

Cappella di san Michele Arcangelo e san Domenico, della famiglia de’ Falconi. Qual fosse allora la sua disposizione ed ornato anteriore, non lo abbiamo. Fu poi, dopo al 1570, ceduta alla famiglia de’ Gaddi, che la ridussero al ricco stato in cui è adesso, col nuovo titolo di san Girolamo.

Porta de’ Carboni per cui si scende alle volte sotterranee in ordine al piano della chiesa.

Scala senza balaustri, simile alla di contro di santa Caterina; per detta si sale alla capella di san Tommaso d’Aquino di casa Strozzi, fondata e fabbricata vivente maestro Alessio Strozzi di Iacopo, ora col titolo di venerabile, e da’ suoi congiunti. V’erano le pitture dell’Orgagna [sic] rappresentanti il paradiso e lo inferno sulle specie di Dante, lo stesso altare e pavimento di marmi di adesso. Sotto la predella inferiore dello altare vi giaceva in una sepoltura il corpo incorrotto del prefato venerabile maestro Alessio Strozzi, da me più volte veduto intattissimo, con tutta la pelle palpebre unghie, e che tirato fuori, tenuto con una sola mano, reggevasi rítto in piedi. Assieme con esso vi erano le ossa disfatte di m(adonn)a Diana Giambullari Strozzi sua madre. Ultimamente i signori Strozzi ottennero da Roma di collocare il predetto sagro corpo del venerabile Alessio sotto l’altare ove si conserva presentemente, vestito da frate e chiuso con sigillo di monsignor arcivescovo di Firenze. In detta occasione fecero rifiorire le pitture dell’Orgagna dal pittore Veracini, ed aggiunsero il balaustrato alla scala, sotto la quale vi stava e vi sta la Pietà con altri santi, fatti dipingere dal detto maestro Alessio Strozzi in vita. I fedeli vi concorrevano a venerarla con molta divozione, e v’era chi vi manteneva |335| la lampada accesa. V’erano in detta cappella alcuni tramezzi di legno ritti, non molto discosto dalla muraglia, alti più d’un uomo; furono levati nella suddetta ultima restaurazione. Vedi all’anno 1356 e 1373.

Seguita la cappella di Tutti i Santi posta sotto al campanile, attenente alla famiglia de’ Rucellai, con altare posticcio e tavola fissa di legno, che vi è pure oggidì, con altre pitture a fresco per la muraglia. Fuori v’è la pila dell’acqua santa fatta da f(ra) Andrea Rucellai; e sopra la porta di fuori sul muro vi era, come ora, la Madonna dipinta con molti santi. Vedi all’anno 1334.

Cappella della Nunziata di casa Cavalcanti a uso di sagrestia. All’altare vi stava la tavola fatta fare dal fondatore messer Mainardo Cavalcanti, che presentemente sí conserva collocata appiè del dormitorio terreno, dallo ingresso dell’ospiterìa. Avanti l’altare che stava accosto la muraglia v’era la sepoltura della casata. Vi si cantavano alcune messe tra l’anno per lascito di testatori di detta famiglia. V’era il lavamane della Robbia, i banchi e le spalliere di noce all’antica, che furono levate modernamente per porvi le nuove con armari messi a ori. Lo armarione delle reliquie fu fatto dopo al 1600, e dopo del tempo fu indorato a spese del padre maestro .. (lac.).. Bonini, che prima era semplicemente tinto a rabeschi. Vedi all’anno 1360.

Pila dell’acqua santa a urna de’ Regnadori posta sulla cantonata per voltare verso la porta laterale della facciata di chiesa, ritornando per la navata a ponente.

10.  Subito voltato il canto, secondo alcuni scrittori v’era l’altare eretto e dedicato a santa Maria Maddalena penitente dal vescovo di Fiesole maestro Iacopo Altoviti, assai divoto di detta santa.

Sepolcro subito allato del prefato messer Iacopo |336| Altoviti vescovo di Fiesole, ornato di bellissimi marmi.

12. Indi nel luogo del deposito del beato Giovanni di Salerno venivane il sepolcro similmente di marmi benissimo lavorati di messer Andrea da Panzano[5] podestà di Firenze.

Scala che saliva sul ponte, aderente alla muraglia maestra della chiesa, quale si alzava di sotto l’organo e riposava sopra la porta che scende nel primo chiostro, ove dava l’entrata sul ponte.

Porta del fianco predetta.

Di là dalla medesima porta v’era sotto al ponte la cappella di santa Caterina da Siena delle terziarie, nel modo figure intaglio e doratura che ora sta sotto all’organo, statavi trasferita dopo qualche anno, levata che fu la scala e il ponte. Questa cappella fu prima eretta dal convento a san Tommaso d’Aquino poco dopo la sua canonizzazione, fuori del ponte appunto dove adesso è situato l’altare de’ Pasquali. In seguito fu ceduta alla famiglia degl’Alfani, che la trasferirono sotto al ponte nel suddetto luogo, e gli mutarono il titolo di san Tommaso in quello di san Marco, con farvi appiè la sepoltura della casata. Estintasi presto la famiglia Alfani, i padri la concessero alle terziarie dell’Ordine, quali vi fecero la statua della santa con l’altre appartenenze sopra espresse. Vedi all’anno 1339.

|337| Portone laterale del ponte.

13. Deposito della beata Giovanna fiorentina, terziaria nostra, con suo simulagro [sic] giacente a basso rilievo di marmo, alto alquanto da terra, con voti attorno. Stava sceso gli scalini poco più là. Vedi all’anno 1367.

14. Nel mezzo dell'arcata, che ora occupa lo altare del Rosario, siegue lo altare della Santissima Trinità, assai bene adorno, eretto dal già padre maestro f(ra) Lorenzo Cardoni, che poi fu vescovo. E sopra detto altare vi stava il crocefisso di Masaccio; quale, demolendosi detto altare, fu posto sopra la porta di sagrestia per di dentro. Dirimpetto a questa cappella della Trinità v’era una pila dell’acqua santa di marmo, con armi di un solo leone rampante, che posava sopra un piedistallo pure di marmo ed era appoggiata alla colonna del pulpito sotto la scaletta di verso il ponte, che poi fu levata. Direi che detta pila indicasse che da primo primo della fabbrica della chiesa, dov’è l’altare vi fosse per poco tempo la porta che mettesse nel chiostro primo, di contro all’altra che stava di là a levante, che corrispondeva al cimiterio degli avelli. Vedi all’anno 1430.

15. Non lungi di verso la piazza, circa dove sta la Sammaritana, si truova la cappella o altare di sant’Ignazio Martire della famiglia de’ Benintendi, quali ogn’anno vi facevano la festa del santo il dì primo di febbraio. Frammenti della predella superiore di detto altare, dipinti alla greca de’ fatti del medesimo santo e tramezzati d’intagli dorati, si conservano ancora appesi al muro per le camere della ospiteria. Molto tempo prima un tal Lorenzo di Niccolò Benintendi fece fare a sue spese un reliquiario |338| inargentato e dorato alla reliquia di sant’Ignazio Martire titolare di loro cappella. Il dì della festa la famiglia de’ Benintendi pagava un tanto alla sagrestia. Questa cappella si reputa delle prime erette, ma manca la notizia dell’anno preciso.

Nel sodo della seguente arcata, ultima della navata presso la porta laterale, a prima giunta, accosto alla semicolonna, sepolcro di messer Antonio Strozzi celebre giurisconsulto lavorato di marmo con statuine a meraviglia vaghe, come si disse all’anno 1523. Il restante di detto sodo è vacuo.

Porta laterale della facciata di verso il convento.

16. Fra detta porta finalmente e la porta grande di mezzo, altare di san Vincenzo Ferrerio, eretto da’ padri non guari dopo la di lui canonizzazione. La tavola chi vi è dipinta sul legno, fu poi rimossa e posta al muro in alto nel primo chiostro, presso la scaletta e porticina per cui sì va all’organo. Sopra lo altare vi sta una Nunziata dipinta sul muro; quale adesso torna dietro la nuova tavola, essendo stato lo altare rialzato con più scalini nella restaurazione di Cosimo I. Vedi all’anno 1455[6].

 

Pianta di Hall, Renovation
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6. Ritornando per la navata di mezzo verso la cappella maggiore, saliti appena i due scalini, abbiamo il prospetto del ponte, con tre porte grandi corrispondenti alle tre navate verso le tre porte principali della facciata di chiesa; e per di  dietro verso la crociata aveva i tre archi aperti. In detto prospetto v’erano molte armi de’ benefattori che erano concorsi alla fabbrica della chiesa medesima. Il ponte da petto a rene si stendeva per braccia 14 circa, le di cui volte erano raccomandate ai due pilastroni ove adesso sono i quadri di san Pietro Martire e di san Giacinto. Sopra aveva da una parte e l’altra una sponda andante alta a mezz’uomo, per cui veniva a denominarsi ponte, e per essere da levante e ponente lungo, e da mezzodì a tramontana assai più stretto. Lungo era quanto è larga la chiesa, e stretto quanto è |339| dagli scalini alla fine delle prime file de’ sepolchri di marmo stesi sul suolo, cioè fino al principio del mattonato che non ha sepolture; quali lapidi sepolcrali tornavano sotto al ponte. Il piano di sopra era postato circa un braccio sopra la porta che scende nel chiostro verde, il di cui solare era tutto mattonato. Otto cappelle o altari v’erano, quattro sotto e quattro sopra al detto ponte. Sotto, oltre le due già nominate di santa Caterina da Siena e di san Tommaso di Cantuaria appoggiate alla muraglia maestra della chiesa, una a ponente di santa Caterina, l’altra a levante di san Tommaso. Al pilastrone di verso la piazza vecchia v’era aderente lo altare di santa Maria Maddalena penitente della famiglia de’ Cavalcanti, ed al pilastrone di verso l’organo lo altare di san Pietro Martire della famiglia de’ Castiglioni, voltati di contro l’uno dell’altro, come ora stanno ì due quadri di san Piero Martire e di san Giacinto. Sopra queste quattro cappelle di sotto, le altre quattro corrispondevano di sopra nel piano superiore del ponte; cioè alla muraglia di verso l’organo, la cappella de’ santi apostoli Pietro e Paolo di attenenza del convento; al pilastro contiguo, quella di san Giovanni Battista della casa Bertaldi; all’altro pilastro dirimpetto, quella di santa Lisabetta della famiglia de’ Macci; ed alla muraglia di là, quella di sant’Eustachio Martire, che era del convento o d’altra famiglia che non si rinviene. Voltate tutt’e quattro nel modo di quelle di sotto. Tutte le cappelle, sì del ponte che sparse per la chiesa, erano “concamerate”, dice in latìno il Biliotti. Cioè alquanto sfondate, non per cavo però nella muraglia o poco se pure, a riserva di quelle della crociata; ma per aggiunta di spallette di muro ritto ai lati ed arco sopra, con cancellata di legno da chiudersi a chiave, ancora quelle della crociata, eccettuata la sola cappella maggiore che non aveva cancello. Ed ogni cappella aveva un armadio chiuso parimente a chiave, ove si tenevano gli arredi necessari per la medesima; quale armadio sarà stato allato, e questo probabilmente incavato nella muraglia.

Esciti dì sotto al ponte per la navata di mezzo, andando verso la cappella maggiore, si passava tanto spazio quanto è il mattonato senza sepolture, e si arrivava alla porta del coro, larga, sfogata, adorna |340| di belli stipiti di marmi e d’imposte di noce; quale tornava in mezzo alle sedie del priore e sottopriore, e metteva in mezzo del coro dritto all’altar grande.

7. Il coro era quadrangolare comprendeva tutta la prima arcata della navata di mezzo, cinto di muro alto più di un uomo, a riserva della parte che riguardava la cappella maggiore, che non era chiusa. Di dentro era attorniato dalle sedie a due ordini di legno figurato e intagliato. Nel mezzo della platea v’erano fissi due pulpíti o leggìi, uno per cantare le messe ed antifone, l’altro per leggere le lezioni e ’l martirologio nel mattutino. Di fuori il muro che lo cingeva era incrostato di marmi bianchi e neri. Ove dalla parte dell’organo, come in un tabernacolo, v’era la immagine miracolosa di san Pier Martire di cui parlossi all’anno 1263, trasferita poi alle Quattro Porte, riposta sopra il portone che dà ingresso al chiostro grande, ed ivi si conserva tuttavia.  8. Dalla parte della Pura, e di contro al sepolcro del vescovo Rímbertini, presso la prima colonna al di fuori risiedeva appoggiato al muro del coro lo altare della Nunziata, eretto dal padre maestro f(ra) Domenico Pantaleoni con farvi avanti quattro sepolture per i frati, che pure oggi vi restano, conforme si narrò all’anno 1376. La cronica del Biliotti ci dice che il coro era lungo 30 braccia. E noi meglio diremo che tanto per la lungliezza che per la larghezza occupava tutto lo spazio che adesso tiene il nuovo lastrico di marmi di più colori, fattosi l’anno 1676 per legato dì Leone Baldesi nobile fiorentino, ultimo della famiglia; quale lasciò per detto lavoro s(cudi) 1500, facendo conto che il muro del coro ricorresse sul piano della striscia di marmo color di pietra che circonda e contorna il detto lastrico. Con questo però che il muro del coro di qua e di là seguitava attraversando la crociata fino agli scalini della cappella maggiore; talché i secolari non vedevano i frati in coro se non, se passando per la corsia delle cappelle laterali, salivano ed entravano nella cappella maggiore. Onde poco tempo avanti al presente anno 1556 presero i padri il compenso di chiudere anche per quella parte |341| il coro con cortine; quali però, mi penso, si aprisseno quando si cantava la messa corale all’altare della cappella grande. V’era altresì sullo ingresso del coro, scesi gli scalini di detta cappella, a cornu evangelii un pulpito o leggìo di marmo retto da una colonnetta a spirale, che nella base aveva di rilievo le figure o geroglifici o simboli de’ quattro vangelisti, sopra di cui il diacono cantavavi il vangelo nella messa grande, qual fu posteriormente trasferito nell’ospizio per leggervi a mensa; e non altrimenti al pilastro dell’altare maggiore per porvi il cero pasquale, come vuole il padre Richa, imperocché quel candelabro che v’è adesso di marmo, che serve per lo cero pasquale, fu fatto da un converso col suo deposito buona pezza di tempo appresso la demolizione del coro. Per la Epifania bensì, la notte di Natale e per l'altre principali solennità, il diacono con gli accoliti ed incensieri saliva sul ponte e di lassù ad alta voce cantava al popolo medesimamente il vangelo. Sul ponte facevavisi ancora il puù bello assetto per la festa annuale del Corpus Domini.


[1] Tommaso Minerbetti postovi a nome di aggiunto dalla stessa mano al marg. destro con segno di richiamo

[2] già defonto fino dal 1543 aggiunto dalla stessa mano al marg. destro con segno di richiamo

[3] o trasferito nel 1589 aggiunto dalla stessa mano in soprarrigo

[4] il presepio aggiunto dalla stessa mano in soprarrigo

[5] Panzano sottolineato e (sembrerebbe) sostituito al marg. sin. con Passano

[6] 1455: il numero 4 sotto macchia e d'incerta lettura, così da ristabilire su quanto l’autore dice sotto l’anno 1455 (ASMN I.A.30, p. 52); 1565 in Necr. II, 402.