De subiecto theologie |
Il soggetto della teologia |
originale latino |
volgarizzamento (2007) di EP |
⌂ <... 9b. aliqua contra dicta modo gharlandico et puerili, ed. rr. 602-716> |
<... 9b. talune obiezioni sanno di garlandico e d'infantile> |
Sed di(cunt) quod tripliciter contingit se aliqua habere: uno modo disparate ut verum et bonum, et tunc unum potest obici intellectui sine altero; alio modo sicut superius et inferius ut animal et homo, et tunc similiter superius potest obici intellectui sine inferiori; tertio modo sicut diffinitum et diffinitio vel pars diffinitionis eius, et in hiis nullo modo primum potest obici intellectui sine secundo. Et sic se habet infinitas ad Deum. |
Sostengono inoltre tre modi di rapporto tra le cose. Primo, disparatamente, come tra vero e buono; in tal caso uno può esser sottoposto all'intelletto senza l'altro. Secondo, al modo di superiore e inferiore, come animale e uomo; e anche qui il superiore può esser sottoposto all'intelletto senza l'inferiore. Terzo, come tra definito e definizione, o parte della sua definizione; e qui in nessum modo il primo può esser sottoposto all'intelletto senza il secondo. E in questo modo stanno le cose tra infinità e Dio. |
Sed in hoc multipliciter deficiunt. Primo quia dicunt verum et bonum disparata esse, cum unum de altero predicetur, quod de disparatis non contingit; quia homo non predicatur de asino nec e converso. Disparata enim sunt que sunt diversa re vel natura, ita tamen quod sub nulla oppositione de quatuor proprie reponuntur, sicut patet in loco a disparatis[1]. Quod si dicantur disparata quia rationes eorum sunt disparate, verum est quidem, sed per istum modum diffinitio et diffinitum aliqualiter possent dici disparata quia alia est ratio diffinitionis ut diffinitio est, et diffiniti ut diffinitum est. |
Fanno difetto in più punti. Primo, laddove asseriscono che vero e buono sono nozioni disparate ossia eterogenee. Al contrario, uno lo si predica dell'altro, cosa che non si dà dei termini disparati; uomo, ad esempio, non lo si predica dell'asino, né viceversa. Disparate son cose differenti per entità e per natura, non riposte tuttavia in nessuno dei quattro "luoghi" o ambiti d'argomentazione oppositiva, come risulta nel '"luogo" o ambito argomentativo da termini disparati. Se poi le vogliamo chiamare cose disparate a motivo della relazione di disomogeneità, è corretto; ma in tal senso definizione e definito risultano disparati perché diversa è la relazione di definizione in quanto definizione, e la relazione di definito in quanto definito. |
Item quod dicunt tertio falsum est. Licet enim unum non possit intelligi sine altero, tamen non oportet quod intelligatur cum eo cum ista reduplicatione in quantum tale vel sub tali ratione, quia alsoluta consideratio rei abstrahit ab omni speciali consideratione. Unde si esset aliquis liber cuius subiectum esset homo |95ra| - puta in libro Gregorii Nazançeni[2] qui fecit librum de homine - non posset dici quod homo in quantum animal vel sub ratione animalis esset ibi subiectum, quia tunc sequeretur quod esset ibi subiectum animal et non homo, quia non determinaretur ibi de homine nisi per attributionem ad animal. |
Anche quel che dicono al terzo punto è falso. Sebbene uno non possa esser compreso senza l'altro, non se segue che comporti in subordine anche "in quanto tale, o sotto tale aspetto", perché la considerazione assoluta d'un oggetto astrae da ogni particolare aspetto. Poniamo l'esempio: un libro ha per soggetto l'uomo - caso del libro sull'uomo composto da Gregorio Nazianzeno (ca. 330-390) - ; ciò non comporta che soggetto ne sia l'uomo in quanto animale o sotto l'aspetto d'animale, ché allora soggetto ne sarebbe l'animale e non l'uomo, visto che non vi si tratta del l'uomo se non per riferimento all'animale. |
Et simile
dico etiam de rationali quod plus est. Sed esset ibi subiectum homo in
quantum homo et sub ratione humanitatis. Et similiter in theologia Deus in
quantum Deus et sub ratione divinitatis est subiectum. |
Medesimo discorso per
l'aspetto
razionale, valore superiore. Al contrario, in quel libro soggetto sarebbe
l'uomo in quanto uomo e sotto l'aspetto di umanità. Parimenti in teologia Dio in
quanto Dio e sotto l'aspetto di
divinitatà
è soggetto. |
Item quod dicitur si ponatur eadem theologia in nobis et in Deo in quantum ad habitum, redibìt opinio Magistri Sententiarum de caritate nostra quod sit Deus[4], inpertinenter dicitur; quia Magister non ponit aliquem habitum de caritate in nobis sed actum solum, quem tamen non intellexit esse idem quod Deus, sed quia procedit a Deo immediate. Similiter quod dicimus habitum esse in Deo, intelligimus quantum ad illud quod perfectionis est semoto eo quod imperfectionis est, quia est «sine qualitate bonus» etc., sicut dicit Augustinus. Unde ipse habitus in Deo est sua essentia. Tamen quantum ad rationem habitus, dicimus quod theologia sua et nostra non differunt specie, cum habeant idem obiectum. |
Taluni poi dicono: Se si colloca la medesima teologia in noi e in Dio quanto all'attitudine o disposizione, si tornerebbe all'opinione del Maestro (= Pietro Lombardo) delle Sentenze I, dist. 17, cc. 1-3, e cioè che la carità nostra sarebbe Dio. Argomentazione fuori luogo. Il Maestro non ripone in noi una qualche attitudine della carità, ma soltanto l'atto; questo poi non viene identificato con Dio, ma procede immediatamente da Dio. Parimenti quando diciamo che in Dio c'è attitudine, intendiamo l'elemento di perfezione, rimovendo l'imperfetto, essendo Dio «grande senza quantità, buono senza qualità», afferma Agostino, Sulla Trinità V, 1 § 2. Cosicché in Dio l'attitudine equivale alla sua essenza. Rispetto poi alla definizione d'attitudine, diciamo che la teologia in Dio e in noi non differiscono nella specie, avendo il medesimo oggetto. |
Item quod dicunt se non vìdere quomodo sit unitas in scientia
ex parte habitus et tamen sit diversitas ex parte cognitionis, non possum alìud.
Tamen non est difficile videre quomodo potest esse unitas ex parte generis et
dìversitas ex parte specierum que per diversas differentias constituuntur. Unde
et Philosophus dicit quod gramatica et
musica secundum species suas sunt in
predicamento qualitatis, et secundum genus, scilicet disciplinam vel habitum,
sunt in predicamento relationis. |
Dicono poi: Non vediamo come possa esserci unità nella scienza rispetto
all'attitudine e tuttavia diversità rispetto al modo conoscitivo. Non trovo
altre risposte! Ma dopo tutto, non è così difficile capire che c'è unità del genere
e diversità delle specie, costituite dalle molteplici differenze.
Aristotele insegna (Categorie c. 8:
11a 20-38) che grammatica e musica
secondo le loro specie appartengono alla categoria della qualità; secondo
il genere invece, osssia in quanto disciplina o disposizione, appartengono alla
categoria delle nozioni relative. |
Et quod obiciunt de Aristotile in Predicamentis quod ponit diversitatem inter habitum et dispositionem per respectum ad subiectum, scilicet per |95rb| facile et difficile mobile, non est contra nos; quia habitus in quantum est quedam qualitas respicit subiectum, in quantum autem habitus, respicit obiectum, sicut et sua extrema, scilicet potentia et actus inter que habitus est medium. Unde et per comparationem ad actum diffinitur ab Augustino, in libro De bono coniugali, dicente quod «habitus est quo aliquid agitur cum opus fuerit»[5]; et a Commentatore in III De anima qui dicit quod habitus est quo quis agit cum voluerit[6]. |
Obiettano poi da Aristotele, Categorie c. 8 (8b 27-37), il quale pone diversità tra abito inteso come possesso e abito inteso come disposizione in rapporto al soggetto a motivo |95rb| di maggiore o minore stabilità. Contro di noi l'obiezione non tiene. Infatti l'abito in quanto qualità riguarda il soggetto, in quanto possesso riguarda l'oggetto; al pari dei loro estremi potenza e atto, rispetto ai quali l'abito è intermedio. E proprio a confronto con l'atto, Agostino lo definisce nel Del bene coniugale c. 21: «abito è ciò in forza del quale uno pone un'azione al momento del bisogno»; e così pure Averroè (Ibn Rushd, † 1198) nel commento a Dell'anima III, 5 (430a 14-16): abito è ciò in forza del quale uno pone un'azione quando vuole. |
Et quod addunt contrarium dictum a Simplicio Super librum Predicamentorum[7], qui dicit quod habitus dicitur per respectum ad habituatum, exponendum est quod habituatum dicatur non “habens habitum”, sed illud quod habitualiter habetur, sicut conclusionem aliquam dicimus in aliquo esse habituatam. Alias simpliciter loqueretur Simplicius, quia relativum non dicitur ad subiectum nisi in quantum quoddam accidens est; sed in quantum relativum dicitur ad oppositum, quia relativa sunt quibus hoc ipsum esse est ad aliud quodammodo se habere, ut dicitur in Predicamentis. |
Controbattono appellando a Simplicio (V-VI sec. d.C.), Commento alle Categorie c. 8, secondo il quale disposizione la si denomina in rapporto ad "assuefatto". Da interpretare: "assuefatto" non significa colui che ha una disposizione, ma la cosa o comportamente che d'abitudine si dà; così diciamo che una tale conclusione è abituale in qualcuno. Altrimenti faremmo dire delle ingenuità a Simplicio. Infatti "relativo" non lo si dice in rapporto al soggetto se non in quanto accidentale; mentre relativo in qualto tale lo si dice in rapporto al termine opposto. Relative sono le nozioni la cui stessa realtà consiste nel rinviare a qualcos'altro, come sostiene Aristotele in Categorie c. 7 (6a 36-38; 6b 6-8). |
Sed addunt se dubitare dicentes quomodo poterit hoc esse quod nostra theologia diversificetur a scientia beatorum non in quantum est habitus sed in quantum est cognitivus propter diversum lumen. Sic enim sequetur quod omnes scientie humane sunt eedem sp<eci>e cum omnes innitantur eidem lumini, scilicet lumini naturali. |
Soggiungono un dubbio: com'è possibile che la teologia nostra si differenzi da quella dei beati non in quanto disposizione ma in quanto capacità conoscitiva per luce diversa? Se così fosse, ne seguirebbe che tutte le scienze umane sarebbero identiche per specie, visto che tutte si sostengono sulla medesima luce, ossia quella naturale. |
Ad quod dicimus quod scientia non solum dicit cognitionem sed etiam dicit habitum. Dicimus ergo quod in scientiis humanis non attenditur diversitas ex parte cognitionis sed ex parte habitus qui diversificatur secundum diversa obiecta formalia. Unde cum comunitas accipiatur ex parte generis et diversificatio ex parte differentiarum, dicendum est quod philosophi naturaliter loquendo in diversificatione scientiarum consideraverunt scientiam secundum quod scientia est quedam cognitio habitualis, ita scilicet quod cognitio accipiatur loco generis et habitualis loco differentie. |
Risposta. Scienza non significa solo conoscenza ma anche disposizione. Noi diciamo dunque che nelle scienze umane non si bada alla diversità del conoscere ma della disposizione, che a sua volta si diversifica a seconda dei diversi oggetti formali. Poiché dunque la convergenza la si stabiliste sulla base del genere e la diversificazione sulla base delle differenze, procedendo razionalmente i filosofi nella diversificazione delle scienze considerarono la scienza in quanto conoscenza abituale, in modo che la conoscenza sia intesa in ruolo di genere e abituale in ruolo di differenza. |
Nos autem christiani supernaturali lumine illustrati consideramus scientiam in quantum scientia est quidam habitus cognitivus, ita quod habitus accipiatur loco generis et cognitivus loco differentie. Et ita secundum distinctionem supernaturalium luminum ponimus distinctionem scientiarum. Ipse autem habitus scientie remanet indistinctus secundum speciem quia omnia illa que respicit scientia humana ut diversa obiecta, respicit ista ut unum obiectum formale; quod quidem facere potest propter nobilitatem eius ex lumine, sicut nobilitatur genus ex differentia superveniente. |
Noi credenti cristiani, sostenuti dalla luce soprannaturale, consideriamo la scienza in quanto disposizione conoscitiva, in modo che la disposizione sia intesa in ruolo di genere e conoscitiva in ruolo di differenza. Di conseguenza, a seconda delle distinte luci soprannaturali procediamo a distinguere le scienze. La stessa disposizione o attitudine alla scienza permane indistinta secondo la specie; quelle cose infatti che la scienza umana considera oggetti distinti, questa (ossia la scienza teologia) le considera come unico oggetto formale. Cosa che può fare a motivo della nobiltà dirivatale dalla luce, così come il genere è nobilitato dalla differenza sopravveniente. |
Unde sicut contingit de potentia, |95va| scilicet quod superior respicit pro uno obiecto formali omnia illa que respiciunt potentie inferiores - sicut patet in sensibili comuni et sensibilibus particularibus, et in potentia intellectiva angeli respectu potentie intellective et sensitive in nobis - sic contingit de habitu superiori respectu inferiorum habituum. |
Nel caso della potenza, |95va| si dà che quella superiore considera quale unico oggetto formale tutto ciò che è materia delle potenze inferiori; risulta così, ad esempio, nella potenza o facoltà del senso comune rispetto ai sensi specifici; e così nella potenza intellettiva dell'angelo rispetto alla potenza intellettiva e sensitiva che è in noi. Ebbene, siffatte relazioni nella potenza sono le medesime che si danno nel caso dell'abito o attitudine superiore rispetto alle attitudini inferiori. |
Explicit questio de subiecto secundum fratrem Remigium Florentinum ordinis Predicatorum[8]. |
Fine della questione circa il soggetto (della teologia), composta da fra Remigio da Firenze dell'ordine dei Predicatori. |
[1] Per le quattro
specie di argomentazione «de Ioco ab oppositis»,
tra cui non figura il «Iocus a disparatis», cf. il classico manuale di logica
del tempo: PIETRO DI SPAGNA, Tractatus
[1230 ca.] V, nn. 27-29; ed. L.M. De Rijk, Assen 1972, 73-74; v. anche pp.
111-12.
Il «Iocus a disparatis» lo trovo invece nella Logica,
o Summa Lamberti [1250-55 ca.], ed. F. Alessio, Firenze (La Nuova Italia)
1971, c. VI De locis, pp. 135-36: quattro loci ab oppositis
(locus = ambito argomentativo o materia su cui si costruisce
l'argomentazione sillogistica); ad essi fa seguito il Iocus a
disparatis, cioè a partire da termini non rigorosamente
opposti, ma appunto disparati, ossia eterogenei: «Sequitur
de Ioco a non vere oppositis, qui dicitur locus a
disparatis. Disparata sunt que non cadunt sub aliquo genere dictarum
oppositionum quattuor, sed habent formas disconvenientes, nec sunt possibiles se
compati in eodem subiecto, ut homo et asinus; a quo sic sumitur argumentum:
"Sortes est homo, ergo non est asinus". Locus a disparatis maxima: si unum
disparatorum inest alicui, reliquum removetur ab eodem»
(p. 136). homo/asinus medesimo esempio indotto dal testo remigiano.
[2] Nazançeni sic; Nançançenus in Contra falsos 10, 80 (Studio p. 116). Nessuna opera di Gregorio Nazianzeno (ca. 330-390) sembra rendere ragione di tale riferimento: cf. Clavis Patrum Graecorum II, Brepols-Turnhout 1974, n. 3010 ss. Bisogna pensare a un lapsus per Gregorio «Nisseno»? Del Nisseno († 394) il medioevo latino conosceva il De opifice hominis tradotto da Dionigi il Piccolo (PL 67, 345-408) e Giovanni Scoto Erigena (in «Rech. Théol. Anc. Méd.» 1965, 209-62): cf. Clavis... II, n. 3154; e sotto il nome del Nisseno circolava il De natura hominis (PG 40, 504-817) nelle traduzioni di Alfano e Burgundione da Pisa, di fatto opera di Nemesio da Emesa († 359 ca.): Clavis... II n. 3550.
[3] (Pseudo?)- ARIST., De mundo (391a - 401b), in particolare cc. 6-7 (397b 11 - 401b 29): Dio principio immobile del cosmo, e suoi molteplici nomi. Traduzioni greco-latine di Bartolomeo da Messina (1258-66) e Nicola Siculo (ante 1240) in AL XI/1-2 (editio altera, 1965). Cf. L. MINIO-PALUELLO, Note sull'Aristotele latino medievale, IlI. I due traduttori medievali del «De mundo»: Nicola Siculo (Greco), collaboratore di Roberto Grossatesta, e Bartolomeo da Messina, «Rivista di Filosofia Neoscolastica» 42 (1950) 232-37; ARIST., Trattato sul cosmo per Alessandro, trad. ital. con testo greco e introd. di G. Reale, Napoli 1974 Bibl. SMN- Campo 61.35. Il De mundo è citato da Remigio sotto il titolo De Deo o De Deo et mundo o De mundo et Deo. Il seguente brano testuale scioglie ogni dubbio: «Unde et quia omnia sunt a Deo, ut etiam ipse Philosophus dicit in libro De Deo et mundo: "Antiqus quidem - inquit - est sermo et paternus cunctis hominibus quod a Deo omnia et per Deum consistant"» (Contra falsos ecclesie professores 18, 69-70: Studio p. 126). Citazione letterale del De mundo c. 6 (397b 13-15) nella traduzione di Nicola Siculo: AL XI/I-2, p. 41. Gli editori del De mundo non fanno menzione d'eventuali fluttuazioni del titolo nella tradizione manoscritta latina.
[4] PIETRO LOMBARDO, Sententiae I, dist. 17, cc. 1-3 (ed. Quaracchi 1916, 106-09, 113-17; ed. Grottaferrata 1971, I, 141-44). TOMMASO D'AQUlNO, In I Sent. d. 17, q. 1, a. 1, e Summa theologiae Il-Il, q. 23, a. 2, dibatte esplicitamente la tesi del Lombardo. Cf. G. HIBBERT, Created and uncreated charity. A study of the doctrinal and historical context ot St. Thomas's teaching on the nature ot charity, «Rech. Théol. Anc. Méd.» 31 (1964) 63-84. GIOVANNI DA PARIGI, In I Sent. [1292-96] d. 17, q. 1 (ed. J.-P. Muller, Roma 1961, 193-99) dà già per acquisita la testi anti-Iombardiana: «Communis autem opinio doctorum est, quod voluntas informatur habitu caritatis creato quo actum dilectionis ex se exerit» (ib. p. 194). Il commento di Remigio sottintende la distinzione tra actus e habitus che il Lombardo non aveva fatto nel caso della carità.
[5] De bono coniugali c. 21: «Ipse est enim habitus, quo aliquid agitur cum opus est; cum autem non agitur, potest agi, sed non opus est» (PL 40,390).
[6] AVERROÈ, In III De anima [430a 14-16]: «Hec enim est diffinitio habitus, scilicet ut habens habitum intelligat per ipsum illud quod est sibi proprium ex se et quando voluerit, absque eo quod indigeat in hoc aliquo extrinseco» (ed. F.S. Crawford, Cambridge Mass. 1953, 438 rr. 26-29). Cf. Florilège 6, n° 190: «Habitus est secundum quem habens ipsum potest agere quando vult».
[7] SIMPLICIO, In Aristotelis Categorias Commentarium c. 8, ed. C. Kalbfleisch, Berlino 1907, 164. Traduz. greco-latina (1266 ca.) di Guglielmo da Moerbeke: «Quoniam autem et habitum et dispositionem eorum quae ad aliquid ait esse, dignum est quaerere, utrum ad habile et quod habetur dicitur habitus, dispositio autem ad disponibile, sicut sensus ad sensibile et scientia ad scibile, aut habitus quidem ad habentem - habentis enim est habitqs -; ... Et videtur ita magis Aristoteles nunc acceptare et huius expositores; si enim in haberi est habitus, ad habentem utique diceretur vel ad eum qui habetur ab ipso. Syrianus autem phisolophus quaerens, propter quid... habitus non ad habile [dicitur] sed ad habentem ait: "Forte... habitus autem et dispositio non sunt ordinata ad aliquid, sicut neque qui corporis, sed ipse secundum se est...; habile autem et disponibile indeterminata sunt et propter hoc, non ad haec, sed ad habens magis tamquam ad determinatum habitus et dispositio dicitur"» (SIMPLICIUS, Commentaire sur les Catégorie d'Aristote. Traduction de Guillaume de Moerbeke, ed. A. Pattin, Louvain-Paris 1971, 222-23).
[8] ordinis Predicatorum aggiunto da mano B (= autografa di Remigio). L'explicit termina al settimo rigo di colonna a; il resto della colonna in bianco; in col. b lista degli articoli dei due quodlibeti, che nel codice precedono il «De subiecto theologie».