precedente successiva

Quolibet I,6

Questione quodlibetale I,6

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

Articulus 6 - Utrum lux in medio habeat esse reale vel intentionale tantum[1]

Articolo 6 -  Nello spazio intermedio (ossia tra oggetto veduto ed occhio) la luce ha essere reale o soltanto concettuale?

Postea utrum lux in medio habeat esse reale vel intentionale tantum.

Poi (seconda questione circa la creatura puramente corporale): nello spazio intermedio la luce ha essere reale o soltanto concettuale?

Et videtur quod tantum intentionale, quia lux eodem modo recipitur in medio et in organo scilicet in oculo; sed in oculo recipitur intentionaliter tantum, quia sensibile positum supra sensum nullum facit sensum, ut dicitur in II De anima; ergo etc.[2]

Argomento a sostegno che sia realtà solo concettuale. La luce è recepita allo stesso modo nei soggetti intermedi (per esempio aria, acqua, ecc.) e nell'organo dell'occhio. Ma nell'occhio essa è recepita soltanto come proprietà visiva, perché una percezione sensitiva soprapposta all'organo sensorio non genera sensazione alcuna, sostiene Aristotele, Dell'anima II,7 (419a 26-31; cf. Florilège 6,73).

Contra. Nichil denominat subiectum nisi sit res, quia aer non dicitur coloratus, et tamen dicitur lucidus; ergo etc.

Argomento in contrario. Nulla può denominare un soggetto se questo non sia una realtà; ora l'aria non la si dice colorata, mentre la si dice diafana. Dunque eccetera.

Responsio. Tam res quam etiam intentio multiplicitur dicitur. Tamen in proposita questione res accipitur pro eo quod habet esse firmum et ratum[3] in natura. Intentio autem accipitur pro specie causata a re quacumque cognoscibili per modum obiecti. Que quidem species bene vocatur intentio propter duo.
Primo quidem propter suam causationem. Intentio enim dicitur idest in aliud tentio, idest in aliud motus, |76ra| a tendo tendis
[4]. Ista autem species causatur per motum, quo obiectum cognoscibile dicitur movere medium usque ad ultimam partem medii et usque ad potentiam cognoscitivam.

Risposta. Sia "realtà" che "concetto o intenzione" hanno molti significati. Nella nostra questione tuttavia realtà sta per oggetto netto e compiuto nella sua piena attualizzazione. Intenzione sta per rappresentazione o concetto generato da una qualsiasi cosa conoscibile come oggetto. Tale rappresentazione conoscitiva la si denomina a buon titolo "intenzione" per due ragioni.
Prima, per la sua derivazione. Intenzione ovvero "tensione verso altro, o moto verso altro", |76ra| dal verbo "tendere". Siffatta rappresentazione è esito del movimento, tramite il quale l'oggetto conoscibile muove l'intermediario fino al suo ultimo tratto e fino alla facoltà conoscitiva.

Secundo propter suam operationem. Sua enim operatio est postquam in virtute cognoscitiva causata est representare obiectum cognoscibile a quo causata est. Representans autem in quantum huiusmodi semper tendit in representatum.

Seconda ragione, per la sua operazione. Ruolo proprio del concetto o intenzione: una volta prodotta nella facoltà conoscitiva, essa raffigura l'oggetto conoscibile dal quale è stata originata. Il raffigurante in quanto rale tende sempre al raffigurato.

Dixerunt ergo aliqui quod lux in medio habet esse intentionale tantum propter quinque.

Alcuni dunque hanno sostenuto che la luce nello spazio intermedio ha soltanto essere concettuale. Cinque gli argomenti addotti.

Primo[5] quidem ratione sue generationis. Generatur enim subito in aere sine alteratione precedenti, et subito ab oriente in occidentem extenditur; quod non contingit de rebus naturalibus.
Sed dicendum quod ratio ista non cogit, quia quod aliquid sine alteratione precedenti generetur non facit ipsum non rem. Angelus enim, summa res existens, subito in esse producitur. Alteratio enim non preexigitur in naturalibus nisi quia subiectum non est ultima dispositione dispositum. Quia igitur aer in ultima dispositione ad lucem existit, que subtilissima est, subito introducitur et subito multiplicatur.

Primo, a motivo della sua generazione. È generata, la luce, nell'aria senza una previa alterazione, e subito si propaga da oriente verso occidente; cosa che non avviene nelle realtà materiali.
Il ragionamento non convince. Che una cosa venga prodotta senza una previa alterazione non significa che essa non sia una realtà. L'angelo, ad esempio, somma realtà, viene direttamente in essere. L'alterazione non è necessaria nelle realtà fisiche se non quando il soggetto sia privo dell'ultima predisposizione. E poiché l'aria nella sua finale predisposizione è ordinata alla luce, che è sottilissima, subito (la luce?) subentra e subito si propaga.

Secundo[6] moventur ratione conformationis modi existendi obiecti in medio et in organo, sicut tangebat argumentum in oppositum.
Sed nec ista ratio cogit, quia et sonus et odor in sui principio habent esse reale in aere existentes et paulatim in eorum diffusione diminuitur eorum realitas ut tandem sint intentiones quando perveniunt ad ymaginationem, et adhuc magis quando perveniunt ad intellectum possibilem, quamquam de odore non sit omnino simile sicut de sono.

Secondo argomento, tratto dalla conformità del modo d'essere dell'oggetto sia nella realtà intermedia che nell'organo, come diceva l'rgomento a favore della sola concettualità.
Neppure questo ragionamento convince. Suono e odore all'inizio hanno essere reale stando nell'aria; man mano che si diffondono, la loro realtà si attenua, al punto che alla fine diventano solo intenzioni o concetti quando pervengono alla potenza immaginativa; e ancor di più quando pervengono all'intelletto possibile, sebbene per l'odore non sia medesima cosa che del suono.

Tertio moventur ratione collationis, quia scilicet dat aliis in medio existentibus esse intentionale, silicet ipsis coloribus.
Sed nec ista ratio cogit, quia intellectus agens dat speciei intelligibili esse intentionale, cum tamen ipse sit quedam res in secunda specie qualitatis; immo et omnis intentio a re causatur.

Terzo argomento, tratto dalla comparazione. Ad altre realtà intermedie, infatti, (la luce) dà essere concettuale, ad esempio agli stessi colori.
Neppure questo ragionamento tiene. L'intelletto agente infatti dà essere concettuale alla specie intelligibile, mentre esso è una realtà della seconda specie della qualità; ogni concetto, anzi, è generato da un essere reale.

Quarto[7] moventur ratione conventionis, quia scilicet in eodem puncto aeris conveniunt lux solis et lux lucerne, cum tamen due qualitates eiusdem rationis non possint esse in eodem puncto.
Ad quod potest dici quod illa lux que |76rb| in eodem puncto adversis luminaribus in medio recipitur, est una numero tantum. Et si dicatur quod hoc non potest esse quia facit diversas umbras, respondendum est quod hoc non contingit propter diversitatem naturalem lucis secundum rem sed propter diversam virtutem quam acquirit ex diversa proportione quam habet ad diversa luminaria ipsam causantia; sicut et omne medium quantumcumque sit unum in re, aliud et aliud est in virtute secundum aliam et aliam componentium proportionem.

Quarto argomento, tratto dalla convergenza. Nel medesimo punto dell'aria convergono la luce del sole e la luce della lucerna, mentre due qualità del medesimo genere non possono coesistere nel medesimo punto.
Attendibile risposta. Quella luce |76rb| che in un medesimo punto del percorso intermedio viene accolta da opposti lucernari, è in sé unica luce. Si potrebbe obiettare che produce ombre differenti. Ma ciò accade non a motivo della diversa natura della luce in quanto tale, ma dalla diversa qualità che le viene dalla differente proporzione con i differenti lucernari che la generano; così come una qualsiasi realtà intermedia o relativa, benché una in sé, acquista alterità a seconda della differente complementarità col singolo componente.

Quinto[8] moventur ratione contrarietatis, quia scilicet forma sequitur conditionem materie; unde quamvis in superioribus materia sit sine contrarietate, tamen in inferioribus materia est subiecta contrarietati. Ex quo sequitur quod sicut omnis forma recepta realiter in superioribus est absque contrarietate, ita omnis forma realis recepta in inferioribus sit cum contrarietate. Sed lux in medio non habet contrarium. Ergo etc.

Quinto argomento, tratto dal contrasto. Ogni forma segue la condizione della materia; e sebbene negli enti superiori la materia non subisca contrasto, in quegli inferiori la materia è soggetta al contrasto. Ne segue: come ogni forma realmente ricevuta negli enti superiori è senza contrasto, così ogni forma reale ricevuta negli enti inferiori ha contrasto. Ma la luce nello spazio intermedio non ha contrario. Dunque eccetera.

Ad quod dicendum quod ista contrarietas in materia est secundum privationem et habitum, ut patet ex I Phisicorum; forme enim substantiales ad invicem non contrariantur proprie. Et sic luci in medio opponitur tenebra. Si enim ad realitatem lucis in inferioribus exigeretur vera contrarietas, sequeretur quod lux in igne et noctiluca et huismodi non haberet esse reale, quod absurdum est.

Risposta. Nella materia tale contrasto è in rapporto alla privazione e alla disposizione, come appare in Aristotele, Fisica I, 6-7 (l89a - 191a); le forme sostanziali infatti non subiscono contrasto in senso proprio. E pertanto nello spazio intermedio, alla luce non si oppone il buio. Se infatti alla realtà della luce negli enti inferiori si richiedesse vero contrasto, ne seguirebbe che la luce nel fuoco e lucerna e così via, non avrebbe essere reale. Conclusione assurda!

Et ideo alii dicunt quod lux in medio habet esse reale. Quod quidem expresse Aristotiles videtur sentire in II De anima ubi dicit quod lumen est actus lucidi et quod est ut color lucidi, et quod est contrarium tenebre, et quod videtur. Actus autem et color et contrarium sive habitus cui opponitur privatio et visum, rem aliquam dicunt et non intentionem tantum. Unde ipse non inquirit ibi utrum lumen sit res vel intentio; sed supposito quod sit res, inquirit utrum. sit corpus.

Altri pertanto sostengono che nello spazio intermedio (ossia tra oggetto veduto ed occhio) la luce ha essere reale. Lo sostiene esplicitamente Aristotele, Dell'anima II,7 (418b 3-13), laddove dice che la luce è atto del diafano, ed è quasi il colore del diafano, contrario alle tenebre, e termine della visione. Atto colore contrario attitudine, cui si oppone privazione e atto visivo, esprimono un qualche oggetto reale, non soltanto un concetto. E Aristotele là non discute se la luce sia ente reale o concettuale; dato invece per scontato che sia ente reale, discute se sia un corpo.

Ad quod etiam dicendum moventur propter alia multa. Primo quidem ratione transmutationis naturalis quam facit in medio, scilicet infirmandi sanandi inflammandi generandi corrumpendi et totaliter quasi inferiorem materiam transmutandi. Secundo ratione denominationis, |76va| quia scilicet denominatur aer lucidus cum tamen non denominetur coloratus[9].

I fautori di questa tesi, sono indotti da molte altre ragioni. Una, per esempio, quella delle mutazioni naturali che (la luce) può indurre lungo il percorso intermedio: malattia, guarigione, infiammazione, generazione, corruzione, e pressoché la radicale mutazione della materia inferiore. Seconda ragione, la denominazione: |76va| la si chiama aria diafana, non aria colorata.

Sed quia ad ista forte posset aliqualiter dici[10] quod lux ut lux non facit istas transmutationes sed ratione caloris adiuncti, vel etiam alterius virtutis solaris, cum tamen omnes iste virtutes in sole tamquam in superiore sint unite et omnes sint una virtus, et quod intentio aliqualiter denominat, quod et Philosophus in II vel  III De anima dicit quod «videns est tamquam coloratum»[11]. Quamquam et iste responsiones impediri possent satis faciliter, quia lux de natura sua habet calefacere quia lux est vehiculum caloris, sicut dicit Avicenna[12]; et Philosophus dicit in libro XIV De animalibus quod noctes plenilunii sunt calidiores, et in I Metheororum dicit quod ubi desinit refractio radiorum desinit calor et condempsantur nubes. Et litamquam” est adverbium similitudinis, quasi dicat Philosophus quod videns est informatum similitudine coloris, sed aer dicitur vere lucidus et non tamquam lucidus.

A tale posizione si potrebbe obiettare: la luce in quanto luce non produce le suddette mutazioni, ma in forza del calore aggiunto, o in forza di altro effetto solare, sebbene tutte queste proprietà nel sole si trovano unite come unica proprietà nel loro principio, e il concetto in qualche modo le denomina; Aristotele, Dell'anima libro II nella vecchia traduzione, libro III nella nova (III,2: 425b 22-23): «quel che vede è come se fosse colorato». Risposte anche queste fragili, perché la luce di sua natura riscalda essendo veicolo del calore, come dice Avicenna; e Aristotele, Parti degli animali IV,5 (680a 31-34), dice che le notti di plenilunio sono più calde; e in Metereologica I,9 (346b 20-34) che laddove termina la rifrazione dei raggi, termina anche il calore e vi si condensano le nubi. L'espressione "come se fosse" (Dell'anima III,2: 425b 22-23) è avverbio di similitudine; Aristotele intende dire che quel che vede riceve una forma su similitudine del colore; mentre l'aria è veramente diafana, non apparentemente diafana.

Tamen potest dici quod lux in medio est quasi quoddam medium inter intentionem et rem in quantum aliquid participat de utroque, sicut materia dicitur esse medium inter ens et non ens, secundum Commentatorem; et potentia generandi et potentia spirandi et similiter persona in divinis dicitur esse medium inter absolutum et relatum, quamvis unum intelligatur simpliciter et aliud secundum quid.

Si può dire tuttavia che la luce nello spazio intermedio è in qualche modo una realtà media tra rappresentazione conoscitiva e oggetto, per il fatto che una cosa partecipa di entrambi; così come diciamo che la materia è intermedia tra tra ente e non ente, a giudizio del commentatore Averroè, libro I della  Fisica, commento 79; e la capacità di generare e la capacità di spirare, nonché la stessa persona nella realtà divina, è detta intermedia tra assoluto e relativo, sebbene uno è inteso nella realtà di sé e l'altro in quanto relazionato.

Unde sic possumus dicere quod lux simpliciter est res et sensibilis qualitas, sed tamen cum intentione, in quantum subito generatur et destruitur et diffunditur in aere. Unde est minus res quam calor, qui etiam corrupta luce remanet in aere; non quidem quin intentio in virtute rei instrumentaliter possit facere rem, quia et species intelligibilis in intellectu existens in virtute anime intellective causat habitum qui est res quedam in prima specie qualitatis[13].

Possiamo pertanto asserire che la luce in senso assoluto è un ente reale ed una qualità sensitiva; con tensione(?) tuttavia, visto che subito è generara, vien meno e si diffonde nell'aria. È una realtà meno stabile del calore, il quale permane anche quando la luce si sia dissolta; non che la tensione(?) in forza della realtà di base non possa in funzione di strumento produrre un oggetto, visto che anche la specie intelligibile nell'intelleto in forza della forma intellettiva produce attitudine, che è prima specie della qualità.

Ad argumentum igitur in oppositum dicendum quod non oportet quod obiectum eodem modo recipiatur in medio et in organo, sicut patet ex dictis. Sed intentionalius recipitur in organo quam in medio, etiam dato quod in medio sit solum intentionaliter; quia intentio intentionis est magis intentio quanto in multiplicatione intentionis magis proceditur. Et preterea lux que est in organo intentionaliter, non videtur sed est ratio videndi; lux autem in medio existens et est visum et est ratio videndi colorem, ut patet ex II De anima.

Risposta all'argomento a sostegno della sola realtà intenzionale. Non è necessario che un oggetto sia ricevuto allo stesso modo nei soggetti intermedi e nell'organo (visivo), come appare da quanto detto sopra. Nell'organo è ricevuto con qualità più rappresentativo rispetto al recettore intermedio, anche laddove uando nell'intermedio fosse ricevuto solo come termine sensitivo; la qualità conoscitiva d'una apprensione è maggiore quanto più si procede nella quantità di atti apprensivi. La luce ricevuta nell'organo (della vista) non è oggetto veduto ma capacità visiva; la luce invece nei soggetti intermedi è sia oggetto veduto che capacità di vedere il colore, come risulta in Dell'anima II,7 (419a 7-23).

Ad aliud forte posset dici quod licet intentio non denominet subiectum per nomen significans rem, tamen forte denominat ipsum per nomen significans intentionem, si intentioni esset speciale nomen impositum. Unde forte potest dici intellectus speciatus, sicut et dicitur «locus specierum», secundum Philosophum in III De anima. Et ymaginatio forte potest denominari fantasmatiçata. Sed tunc si intentio denominet subiectum tunc intentio se habet ad modum rei. Unum enim potest se habere ad modum alterius et e converso, sicut diffusius ostendimus in tractatu De modis rerum[14].

Risposta all'argomento in contrario. Sebbene l'intenzione non denomini il soggetto tramite denominazione reale, forse lo denomina tramite denominazione intenzionale, se all'intenzione fosse dato nome della specie o forma. Potremmo chiamarlo "intelletto o facoltà della specie", così come diciamo «luogo delle specie» o delle forme, secondo Aristotele, Dell'anima III,4 (429a 27-28). E la facoltà immaginativa la si potrebbe denominare imaginifica. E allora, se l'intenzione denomina il soggetto, significa che ha una sua oggettiva realtà. Una cosa infatti può assumere caratteristiche di un'altra, e viceversa, come molto ampiamente abbiamo mostrato nel trattato De modis rerum.


[1] Art. 6 - Cf. ARIST., Dell'anima II,7 (418a - 419b); De sensu et sensatu 2 (437a - 439a); TOMM., In II Sent. d. 13, q. 1, a. 3; Summa theol. I, 67, 3.

[2] In termini affini l'argomento è riportato da GIACOMO DA VITERBO, Quodl. IV (1293-96), 6 (ed. E. Ypma, Roma 1975, 30 rr. 24-27). Cf. EGIDIO ROMANO, Exaemeron c. 12 (Opera I, ed. Roma 1555, f. 34ra A-C) che rimanda, per trattazione più ampia, al commento al De anima II, c. 7; ID., In II Sent. d. 13, q. 2, a. 3 (ed Venetiis 1581, 575-77). GUGLIELMO DA FALEGAR OFM, Utrum lumen in medio sit vera res, ut forma substantialis vel accidentalis, vel sola intentio [1271-75]: ed. A. J. Condras, «Arch. Hist. Doctr. et Littér. du M. A.» 39 (1972) 275-88.

[3] «firmum et ratum»: cf. TOMM., In II Sent. d. 13, q. 1, a. 3: «Et ideo dicunt alii, quibus consentiendum videtur mihi, quod lux est forma accidentalis habens esse ratum et firmum in natura» (ed. Parigi 1929, 334).

[4] Cf. UGUCCIONE DA PISA, Derivationes [1192-1200], voce 'Tendo' (Firenze, Bibl. Laurenziana, Plut. XXVII sin. 5, f. 82vb); ed. E. Cecchini, Firenze 2004, II, 1204-05.
Nella tradizione filosofica araba, trasmessa alla scolastica latina, intentio
rendeva l'aristotelico "concetto"; esempio classico, Logica di al-Ghazâlî († 1111), II,1: "De intentione universalium"; ed. Ch.H. Lohr, Logica Algazelis. Introduction and critical text, «Traditio» 21 (1965) 223-90, vedi pp. 246-47.

[5] «Primo...»: cf. EGiDIO ROMANO, In II Sent. d. 13, q. 2, a. 2 «Quarta via...» (ed. Venetiis 1581, 576b-577a). Anche ENRICO DA GAND, Quodl. III (1279), 12 (ed. Venetiis 1613, f. 105r-v) risolve a favore dell'esse intentionale, ma nessuna delle cinque ragioni riferite da Remigio si ritrova in Enrico.

[6] «Secundo...»: cf. EGIDIO ROMANO, ib. «Secunda via» (ed. cit. p. 576a-b).

[7] «Quarto...»: cf. GIOVANNI DA PARIGI, In II Sent. [1292-96] d. 13, q. 2 (ed. J.-P. Muller, Roma 1964, 118 rr. 38-46).

[8] «Quinto...»: cf. EGIDIO ROMANO, In II Sent. d. 13, q. 2, a. 2 «Tertia via...» (ed. cit. p. 576b); ID., Hexaemeron c. 12 (Opera I, Roma 1555, f. 35va A-B).

[9] Cf. TOMM., Summa tbeol. I, 67, 3 corp. § 1.

[10] «Sed quia ad ista forte posset aliqualiter dici...»: cf. GIOVANNI DA PARIGI, In II Sent. d. 13, q. 2 (ed. cit. pp. 118 r. 58 - 119 r. 70).

[11] «Philosophus i(n) l’De anima»: da sciogliere «... in II vel III De anima», anziché «... in 2° libro III De anima» di ed. stampa MD 14 (1983) 89. L'autore cita De anima G 2 (425b 22-23), e annota l'alternativa nel numero di libro; come dire: “lo trovi in libro II nella traduzione vetus di Giacomo da Venezia (inizio libro III da G 3: 427a 17), in libro III nella nova di Guglielmo da Moerbeke”, con inizio di libro III da G 1 (424b 22) secondo la divisione greca. EL 45/1 (1984) 210*-217*. Caso in Tolomeo da Lucca, Rilettura §10.

[12] Cf. AVICENNA, Liber sextus Naturalium (De anima) III, 2; III, 5 (Opera, ed. Venetiis 1508, f. 10va, f. 11va).

[13] «Qualitatis autem quatuor sunt species. Prima est habitus et dispositio...»: Pietro di Spagna, Tractatus, ed. L.M. De Rijk, Assen 1972, 36.

[14] REMIGIO DEI GIROLAMI, De modis rerum I, 24 (c. 25 nell'indice): cod. C, ff. 38va ss.


precedente successiva