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Quolibet II,12

Questione quodlibetale II,12

originale latino

volgarizzamento (2008) di EP

Articulus 12 - Utrum sine gratia possit quis mereri vitam eternam

Articolo 12 -  È in grado una persona umana di meritare la vita eterna senza la grazia (divina)?

Ulterius de homine quantum ad gratiam queruntur duo: unum quantum ad gratiam habitualem, secundum quantum ad gratiam sacramentalem.

Quantum ad primum queritur utrum sine gratia possit quis mereri vitam eternam.

Inoltre a proposito della persona umana in rapporto alla grazia, due questioni: una relativa alla grazia abituale, l'altra relativa alla grazia sacramentale.

Quanto alla prima, è stato domandato: è in grado una persona umana di meritare la vita eterna senza la grazia (divina)?

1. Et videtur quod sic, quia liberalitas divina in infinitum excedit liberalitatem humanam; sed sine gratia hominis potest quis mereri apud hominem, puta quando servus exosus servit domino pro pretio; ergo etc.

Argomento a favore del sì. La liberalità divina supera infinitamente la liberalità umana. Ma senza la grazia dell'uomo, uno è in grado di aquistare meriti presso un uomo; ad esempio quando un servo esoso serve il padrone in cambio della paga. Dunque eccetera.

2. Item secundum beatum Augustinum[1] omnes naturaliter desiderant beatitudinem; sed naturale desiderium non est frustra; ergo ex solis naturalibus, sine gratia, potest quis venire ad beatitudinem.

Tutti gli uomini desiderano per natura la felicità, secondo sant'Agostino. Ma il desiderio naturale non è invano. Dunque con le sole forze naturali, senza la grazia, una persona è in grado di raggiungere la felicità.

Contra. Rom. 6[,23]: «Gratia Dei vita eterna».

Responsio. Nota duo, scilicet errorem et veritatem.

Argomento in contrario. Romani 6,23: «Dono di Dio è la vita eterna».

Risposta. Due aspetti da considerare, errore e verità.

Circa primum nota quod error fuit pelagianorum quod homo per virtutem liberi arbitrii sine gratia poterat pervenire ad vitam eternam, sicut patet per Augustinum in libro De heresibus. Item fuit error multorum philosophorum qui opinati sunt quod per solas virtutes politicas homo poterat pervenire ad beatitudinem eternam.

Primo aspetto, l'errore. I pelagiani sostenevano che l'uomo, in forza del libero arbitrio e senza grazia (divina), poteva pervenire la vita eterna, come espone Agostino nel libro Sulle eresie c. 88 (PL 42, 47-49). Errore anche di molti filosofi, i quali sostenevano che tramite le sole virtù politiche l'uomo fosse in grado di pervenire alla felicità eterna.

Unde Proclus[2] in libro De decem dubitationibus circa providentiam, questione sexta, ubi queritur quare boni tribulantur in vita ista et septimam rationem reddit quoniam «oportet experientiam quandam etiam malorum eorum que hic ipsis virtuosis inesse, a quibus provocatos faciet appetere eam que hinc translationem ad illum qui extra mala locum».

Proclo Diadoco Licio († 485) nel trattato Dell'esistenza del male, questione sesta, laddove si chiese perché gli onesti soffrono in questa vita, settimo argomento: «È necessario che essi abbiano una qualche esperienza dei mali che in questo mondo spettano anche gli stessi virtuosi; e provocati dai mali, siano spinti a desiderare di passare da questo mondo verso quel luogo che è oltre ogni male» (§ 38).

Item Tullius[3] in libro De senectute: «O preclarum diem cum ad illud divinum animorum concilium cetumque proficiscar!» etc.Item Macrobius Super Sompnium Scipionis[4] |87va| dicit quomodo anime virtuosorum ascendunt in celum per lacteum circulum.

Marco Tullio Cicerone, Della vecchiezza (44 a.C.): «Giorno bellissimo quando partirò per raggiungere quel divino consesso di anime!» eccetera. Ambrosio Teodosio Macrobio (fl. 395-423), Circa il sogno di Scipione |87va|, descrive come le anime dei virtuosi salgono in cielo attraverso il circolo latteo.

Et sic de multis aliis. Sed omnes isti erraverunt. Unde Augustinus Super Iohannem: «Fuerunt quidam philosophi de virtutibus atque viciis subtilia multa tractantes dividentes diffinientes, rationes[5] acutissimas concludentes, libros implentes, sapientiam suam buccis concrepantibus ventilantes; qui etiam dicere audent hominibus “Nos sequimini, sectam nostram tenete si vultis beate vivere”. Sed quia non intrabant per ostium, perdere volebant, mactare et occidere» [cf. Ioh. 10,1.10].

E così ancora in molti altri casi. Ma tutti costoro sbagliavano. Agostino pertanto, nel Commento al vangelo di Giovanni tr. 45 § 3 (CCL 36, 389): «Ci sono stati filosofi che su vizi e virtù hanno espresso molti pensieri sottili, hanno diviso e suddiviso, elaborato acutissime argomentazioni, riempito libri, sventolato il proprio sapere con bocche strillone! Osano perfino proclamare: "Seguiteci, scrivetevi alla nostra scuola, se cercate la felicità!". Ma non entravano per la porta, e dunque miravano a rubare distruggere uccidere».

Circa secundum nota quod nullus potest ad vitam eternam meritis suis venire quadruplici ratione ad presens.
Quarum prima summitur ex parte peccati, quia nullus in peccato existens potest mereri vitam eternam. Sed sine gratia nullus potest vitare peccatum, secundum quod Augustinus dicit in libro De perfectione iustitie. Et Gregorius dicit: «Peccatum quod per penitentiam non diluitur mox suo pondere ad aliud trahit».
Secunda summitur ex parte precepti, quia nullus sine implectione
[6] divinorum preceptorum potest intrare ad vitam eternam; sed sine gratia nullus potest implere divina precepta, ut dicit Augustinus in libro De correptione et gratia; ergo etc.

Secondo aspetto, la verità. Nessuno può raggiungere la vita eterna con i soli suoi meriti. Quattro le ragioni.
La prima desunta dalla parte del peccato. Nessuno in stato di peccato può meritare la vita eterna. Ma senza la grazia nessuno è in grado di evitare peccato, a giudizio di Agostino, De perfectione iustitiae c. 2 e passim (PL 44, 293 ss). E dice Gregorio Magno, Moralia XXV, 9 (PL 76, 334 B): «Un peccato non dissolto dalla penitenza, col suo peso trascina ad altro peccato».
Seconda ragione, da parte del precetto. Nessuno è in grado di entrare nella vita eterna se non ha adempiuto i comandamenti divini. Ma senza la grazia nessuno è in grado di adempiere i comandamenti divini, dice Agostino nel De correptione et gratia c. 2 (PL 44, 917-918). Dunque eccetera.

Tertia summitur ex parte meriti, quia meritum procedit a virtute infusa; unde I Cor. 13 «Si linguis etc., caritatem autem non habeam nichil michi prodest»; virtus autem infusa non est sine gratia; ergo etc.
Quarta summitur ex parte premii, quia premium vite eterne excedit facultatem humane nature, iuxta illud I Cor. 2[,9] «Quod oculus non vidit nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit que preparavit Deus hiis qui diligunt illum»; et ideo ad ipsum non potest pervenire nisi adiutus gratia superioris idest Dei.

Terza ragione, da parte del merito. Il merito è frutto della virtù infusa, I Corinzi 13,1-3: «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, eccetera eccetera, ma non avessi la carità, niente mi giova». Ma la virtù infusa non si dà senza la grazia. Dunque eccetera.
Quarta ragione, da parte del premio. Il premio della vita eterna va oltre le capacità dell'umana natura, I Corinzi 2,9: «Quelle cose che occhio non vide né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano». E dunque al premio eterno l'uomo non è in grado di pervenire se non con l'aiuto della grazia di Dio.

1. Ad primum argumentum dicendum quod non est simile, quia illud quod homo meretur apud hominem non excedit facultatem nature humane sicut excedit vita eterna. Deus autem licet sit in infinitum magis liberalis quam homo tamen cum hoc est ordinatissimus; ad ordinem autem sue |87vb| providentie pertinet ut nullus ad finem excedentem facultatem nature sue pervenire possit nisi per supernaturale adiutorium sibi datum.

Risposta al primo argomento a favore. Il sillogismo per similitudine qui non regge, perché quel che un uomo merita presso un altro uomo non eccede le capacità umane, come invece accade per la vita eterna. Dio è sì infinitamente più generoso dell'uomo, ma anche ordinatissimo; e l'ordine della sua |87vb| provvidenza vuole che nessuno riesca a raggiungere una meta oltre la propria natura se non col suo aiuto soprannaturale.

2. Ad secundum dicendum quod licet omnes naturaliter appetant beatitudinem tamen nullus naturaliter appetit pervenire ad beatitudinem naturaliter idest per sua naturalia, quia hoc appetere est vitiosum, sicut patuit in Lucifero qui sic beatitudinem appetiit. «Omne autem vitium, in eo quod vitium, contra naturam est», sicut dicit Augustinus in libro III De libero arbitrio. Non autem sequitur ex hoc quod naturale desiderium sit frustra, quia homo potest pervenire ad beatitudinem per gratiam Dei. Que autem per amicos possumus, per nos aliqualiter possumus, ut dicitur in III Ethicorum[7].

Risposta al secondo argomento. Vero è che tutti per natura desiderano la felicità, ma nessuno per natura desidera conseguire la felicità con le sue sole forze naturali; cosa perversa, come fu il caso Lucifero, il quale proprio così cercava la felicità. «Ogni perversione in quanto perversione, è contro natura», dice Agostino, De libero arbitrio III,13 § 38 (CCL 29, 298 rr. 49-50). Non ne segue però che il desiderio naturale sia inutile per il fatto che l'uomo può pervenire alla felicità in forza della grazia di Dio. Quel che infatti riusciamo a fare con l'aiuto degli amici, in qualche modo lo facciamo noi stessi, si dice nell'Etica nicomachea III,5 (1112b 27-28) di Aristotele.


Art. II,12 - Cf. TOMM., Summa theol. I-Il, 109, 5; 114, 2; Contra Gentes III, 147.

[1] Cf. AGOSTINO, De Trinitate XIII, 3-4 (CCL 50, 389-391). TOMM., Summa theol. I-Il, 5, 8 sed contra.

[2] PROCLO, De decem dubitationibus circa providentia q. 6 § 38 rr. 7-9. Traduz. lat. di Guglielmo da Moerbeke, Corinto 1280, in PROCLI, Tria opuscula, ed. cit. p. 60. Rispetto all'edizione, il testo di Remigio introduce virtuosis, e così muta in provocatos l'originale provocatas che sottintendeva animas.
Proclus,
Trois études sur la Providence. Texte établi et traduit par D. Isaac, Paris 1977-82, I, p. 99 rr. 9-12.

[3] M.T. CICERONE, Cato Maior de senectute c. 23 (ed. A. Rinaldi, Milano 1938, p. 68; ed. D. Arfelli, Bologna 1959, p. 96).

[4] Scipionis ] Scipaonis cod., Scipionis alibi
A.T. MACROBIO, Commentarii in Somnium Scipionis I, 12 § 1-3 (ed. L Willis, Leipzig 1970, pp. 47-48).

[5] rationes ] r°ones cod.; ratiocinationes ed. AUGUSTINI.

[6] implectione sic; cf. Remigiana: note biografiche e filologiche, MD 13 (1982) 396: ct - t.

[7] ARIST., Ethica nicom. III, 5 (1112b 27-28). Cf. trad. lat. in AL XXVI/1-3, pp. 186, 416.


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