miniature corali di SMN

 A B E F H

Labriola  1 &  2  3 

Ada Labriola

Aspetti della miniatura a Firenze
nella seconda metà del Duecento

■  I corali di Santa Maria Novella, ASMN I.C.102  

 *

Risultano ancora significative le parole dedicate da Pietro Toesca nel 1930 alla miniatura fiorentina del Duecento: “Sebbene siano rari i manoscritti di sicura origine fiorentina, è da supporre che a Firenze la miniatura abbia tenuto una maniera profondamente bizantineggiante, seguendo la pittura, soprattutto nell’attivo periodo di Coppo di Marcovaldo e di Cimabue”. Nei decenni successivi,  i saggi di Mario Salmi, e quindi gli interventi di Alessandro Conti, di Annarosa Garzelli, e infine di Angelo Tartuferi hanno contribuito, in maniera importante, a ricostruire l’identità filologica di  personalità artistiche ben caratterizzate e definite. Eppure la difficoltà di tracciare un coerente panorama storico della decorazione libraria a Firenze in questo secolo permane, e trova la sua prima ragione nell’esiguità dei codici miniati rimasti, o meglio, oggi riconosciuti di pertinenza ad una produzione cittadina.

Nell’ambito di questa rassegna, la riconsiderazione del materiale sinora venuto alla luce, ed alcune nuove, significative, acquisizioni, potranno – mi auguro - fornire ulteriori spunti di riflessione, contribuendo a puntualizzare che la trama di inflessioni stilistiche e decorative fu all’epoca quanto mai variegata e complessa. Nel corso del Duecento, e in particolar modo nei primi tre quarti del secolo, la produzione libraria fiorentina non ha certamente ancora raggiunto la diffusione e l’impulso che conoscerà in maniera capillare sin dagli esordi del Trecento. Ma è proprio in questo periodo, soprattutto a partire dal 1270-1280, che a Firenze si pone l’avvio della grande fioritura testuale e illustrativa del secolo successivo, e al contempo si affermano le premesse operative poi consolidate dalle botteghe trecentesche. I miniatori della fine del Duecento svolgono ormai la loro attività al di fuori delle mura conventuali, in botteghe cittadine, e ricevono commissioni di varia provenienza, che spesso li porta a lavorare anche in centri diversi, e distanti, della Toscana: ma sopratutto appaiono sempre più interessati a stabilire un fecondo dialogo con i colleghi pittori.

Il libro, bene raro e prezioso, è ancora in primo luogo espressione della cultura ecclesiastica. Come già avveniva nel secolo precedente, sino agli anni intorno al 1250, la riproduzione e la circolazione librarie sono essenzialmente legate ai centri monastici, ma anche, in particolar modo, alla cattedrale di Santa Reparata. Qui ha sede la scuola cittadina più importante, quella episcopale, dove si insegnano diritto canonico e retorica (in proposito: Charles T.Davis, 1965). Nell’ambito della produzione toscana del XII e della prima metà del XIII secolo, indagata dai fondamentali studi di Edward B.Garrison (1953-1962) e Knut Berg (1968), il nucleo di codici miniati attribuito ad artisti fiorentini rivela, pur nella generale adesione allo stile lineare classicheggiante d’influenza romana diffuso all’epoca nelle regioni del centro Italia, aspetti di misura e di precisione nel disegno, che ci appaiono il ‘nocciolo’ della cultura illustrativa cittadina dei decenni successivi. Il più antico Antifonario della cattedrale di Santa Reparata (Firenze, Archivio Arcivescovile, n.s.), della metà del XII secolo, presenta iniziali ornate nel campo interno da armoniosi girali d’acanto, mentre il profilo della lettera è delineato da intrecci con motivi geometrici, tipici della cultura illustrativa dell’epoca. Sono motivi che ritroviamo fedelmente ripresi dai miniatori attivi a Firenze nell’ultimo trentennio del Duecento, nella consapevole continuità di antiche consuetudini decorative affermate in ambito cittadino.

Non va del resto dimenticato che a Firenze, in questo secolo, lo sviluppo e l’illustrazione del libro non risultano in rapporto con la presenza di un importante centro universitario, o di scuole giuridiche, come avviene a Bologna; vi manca inoltre la capillare produzione di Statuti tipica di quest’ultima città, come anche di Siena o di Perugia, puntualmente datata e quindi prezioso punto di  riferimento nella ricostruzione storica del periodo. Della cattedrale di Santa Reparata, il più antico ciclo di corali giunto sino a noi risale agli anni trenta del Trecento: conseguente all’importante riforma liturgica stabilita nel 1310 dall’arcivescovo Antonio D’Orso, venne affidato ad uno dei grandi protagonisti della miniatura fiorentina di quest’epoca, il Maestro Daddesco. Ma la cattedrale doveva evidentemente essere stata dotata sin dai secoli precedenti di un suo corredo di libri corali (come documenta la presenza del già menzionato Antifonario dell’Archivio Arcivescovile): un complesso andato perduto, della cui esistenza si trova il ricordo nell’ingente quantità di volumi liturgici elencati nell’inventario di sacrestia del 1418 (sulla ricostruzione dell’antico corredo librario del duomo di Firenze, si veda il recente catalogo della mostra dedicata ai codici liturgici e alla biblioteca di Santa Maria del Fiore, il nome con cui, com’è noto, l’antica Santa Reparata fu ribattezzata nel 1296, a cura di Lorenzo Fabbri e di Marica Sacconi, 1997).

Nella seconda metà del Duecento, un impulso importante alla cultura libraria, di cui difficilmente si può sopravvalutare la portata, è dato dagli Ordini Mendicanti: i francescani del convento di Santa Croce e i domenicani del convento di Santa Maria Novella. Accanto al nucleo di libri liturgici in dotazione della sacrestia della chiesa, vi sono i volumi conservati nella libraria conventuale, in appositi armaria, o legati ai banchi da catene, sulle cui pagine i frati potevano compiere i loro studi  e la loro formazione teologica. Sin dal 1287, Santa Croce è sede di uno studium generale, dove insegnano due grandi rappresentanti delle tendenze spirituali dell’ordine, Pietro Olivi e Ubertino da Casale; della sua biblioteca si ha notizia sin dal 1246, quando vi viene acquistata una copia del Decretum Gratiani (Bibl. Medicea Laurenziana, Plut.1, sin.1), e ben 46 sono i codici di cui Charles T.Davis (1963) ha riconosciuto l’antica appartenenza (entro il 1300) alla libraria francescana. In questo gruppo di libri, gli unici a presentare un consistente corredo illustrativo appartengono alla Bibbia in 17 volumi con glosse di Pietro Lombardo, donata ai frati francescani nel 1285 da fra Enrico de’ Cerchi (Bibl. Medicea Laurenziana, Plut.1, dex.5-10 e Plut.3, dex.1-11). La sua complessa decorazione, variamente attribuita, è stata recentemente ricondotta all’ambito padovano dello scriptorium antoniano da Giordana Mariani Canova (1992, p.166).

Ma non rimane traccia dell’antico corredo di corali che pure i frati francescani dovevano aver utilizzato in questo periodo durante le celebrazioni liturgiche e per la recitazione dell’Ufficio Divino, ed il primo nucleo di Antifonari rimasto (codici G e Q, conservati presso la Bibl. del convento di Santa Croce) risulta miniato da Pacino di Bonaguida nel primo decennio del Trecento.

Sin dal penultimo decennio del Duecento, SMN fu sede di uno studium provinciale di teologia, e va osservato che fu proprio lo scriptorium domenicano a svolgere un ruolo propulsore primario nella produzione illustrativa fiorentina del periodo. Alla chiesa dei frati predicatori appartiene il più importante e completo ciclo di corali (i Graduali I, K, L, M e gli Antifonari A, B, E, F), realizzato a Firenze nella seconda metà del Duecento. La serie deve essere stata avviata, subito dopo il 1270 e probabilmente entro il 1276, dai quattro Graduali, la cui decorazione è affidata a belle iniziali ornate con motivi vegetali di ampie e carnose foglie d’acanto. I diversi aspetti paleografici e decorativi collocano gli Antifonari in una fase successiva, tra la fine dell’ottavo e il primo lustro del nono decennio. 

Allo straordinario corredo illustrativo di miniature istoriate nei quattro Antifonari di SMN può essere collegata la prima, consistente affermazione di un gruppo di miniatori fiorentini, o meglio, attivi in botteghe localizzate in città, con personalità spiccate e di grandi capacità narrative, in sintonia con quanto i colleghi pittori venivano dispiegando sulle pareti delle chiese o nelle tavole d’altare. Varie inflessioni, aretine e bolognesi in primis, sono state giustamente riconosciute dalla critica nella decorazione di questi corali, ma credo si possa affermare con convinzione che essi rappresentano uno dei momenti più alti e interessanti della cultura figurativa a Firenze tra ottavo e nono decennio del secolo.

ASMN I.A.102 A 119 Hodie in Iordane (resp. in Epiph.)Ad un Primo Maestro, di cultura più arcaica e in rapporto con la produzione emiliana attraverso i centri della Romagna, ma anche attraverso lo scriptorium del monastero di Camaldoli in terra aretina, si deve l’avvio dell’impresa, nel corale A, e il suo prosieguo in quelli segnati B ed E. Lo affianca un allievo, il Secondo Maestro, attivo anche nell’Antifonario F, dalle inclinazioni plastiche ed espressive più accentuate, e in rapporto – mi sembra – con l’interpretazione che dell’arte di Giunta Pisano dà a Firenze il Maestro di Santa Maria Primerana. Un terzo artista, apparentemente di una generazione successiva, attivo dopo il 1280, dipinge la bella immagine di San Paolo nel corale E (c.109 r) e un piccolo gruppo di altre cinque miniature ad esso collegabili nel medesimo libro, che unisce l’influenza della pittura di Cimabue a spiccate inflessioni di gusto senese, legate alla presenza dello stesso Duccio di Buoninsegna in SMN.

ASMN I.C.102 E 267 Veni sponsa Christi (resp., comm. unius virg. et mart.)A completare la serie di miniature negli Antifonari E e F è il maestro riconosciuto a capo della più prolifica bottega fiorentina del periodo, e dunque quello meglio noto agli studi, tra tutti gli artisti coinvolti nell’impresa domenicana. Si tratta del Miniatore di Sant’Alessio in Bigiano, la cui attività, partita dalla diretta conoscenza di esemplari illustrativi bolognesi (ma anche lui come il Primo Maestro, in contatto con i centri della Romagna, tra cui Imola), si svolge, oltre che a Firenze, in vari altri luoghi della Toscana, tra i quali Pistoia, dove lascia il Graduale dell’eponimo convento agostiniano (in due volumi, oggi divisi tra l’Archivio Diocesano e il Museo Diocesano di questa città). Agli esordi dell’attività di questa bottega, tra il 1275 e il 1280, appartengono probabilmente la decorazione del codice Ms.Rps 1719 della Bibl. Jiagiellonska di Cracovia e quella del Salterio Calci 9 della Bibl. Medicea Laurenziana, le cui miniature, nonostante la derivazione dal linearismo vivace e corsivo del ‘Primo Stile’ bolognese tra settimo e ottavo decennio del secolo, presentano aspetti di chiarezza e di armonia compositive che le distinguono da quella produzione, e dunque qualificano la piena affermazione, toscana e fiorentina, dell’artista (il Salterio laurenziano e il codice di Cracovia sono attribuiti, rispettivamente, al Maestro di Sant’Alessio in Bigiano e alla sua bottega da Conti nel 1979, pp.18, 27-28 n.59).

Sino alla fase più tarda del Graduale di Sant’Alessio in Bigiano o dei corali del Duomo di Grosseto, caratterizzata da miniature abitate da personaggi alti e sottili, dai lineamenti minuti, con incarnati dai toni verdognoli, l’anonimo maestro esprime la variante stilistica di una tendenza lineare sostanzialmente estranea al rinnovamento neoellenistico della pittura fiorentina della seconda metà del Duecento, e che appare dunque molto diversa da quanto altri artisti proponevano sulla scena locale.

Infatti, il Messale della chiesa di Santa Felicita (Bilblioteca Medicea Laurenziana, Conv. Soppr. 233), in rapporto con l’arte di Coppo di Marcovaldo, e, in particolar modo con quella del figlio Salerno, così come l’Evangeliario di Santa Maria Nuova (Bibl. Nazionale Centrale, II.I.167), accostabile al Maestro della Maddalena, rappresentano con risultati di grande raffinatezza le inclinazioni più schiettamente plastiche della cultura illustrativa fiorentina nell’ultimo quarto del Duecento. Inoltre, ad un artista attivo intorno al 1280, che unisce declinazioni lineari vicine alla pittura di Meliore a morbidezze chiaroscurali, mi sembra si possa riferire una miniatura della Free Library di Filadelfia (Rare Book Department, Lewis M 47:1). L’iniziale I raffigura Cristo Benedicente, San Gregorio e San Benedetto, e anche nel delicato avvolgersi dei ghirigori filettati di bianco nel campo azzurro della lettera, o nell’intreccio geometrico in basso, presenta consuetudini decorative riconducibili in ambito fiorentino, collimanti con quelle illustrate dal Miniatore di Sant’Alessio in Bigiano nei corali E e F di SMN (si tratta del frammento di una pagina che misura mm.234 x 170, proveniente da un corale, di cui al momento si può solo supporre un’originaria destinazione benedettina, per la presenza del santo titolare di quest’ordine. Nel margine sinistro si legge l’antica numerazione CLVIII).

Nell’ultimo decennio del secolo, la produzione cittadina presenta un panorama sempre più ricco di varianti espressive. Ne viene conferma da alcuni codici miniati ancora inediti, provenienti da SMN. Nella Bibl. Nazionale Centrale di Firenze (Conv.Soppr.F.4.733), la Cronica Fratris Martini et libellum de terra sancta presenta a c.29r l’immagine di un frate domenicano a mezzo busto, opera di un miniatore fiorentino attivo tra il 1280 e il 12980, dall’icastica vena espressiva (sul codice, si veda G.Pomaro, 1980, pp.398-402). Suggestioni di gusto paleologo rivela il miniatore del Lezionario oggi nel Museo di San Marco a Firenze (Ms.621), che trova all’epoca un punto di riferimento negli affreschi frammentari dell’antica chiesa di San Pier Scheraggio a Firenze.

Un aspetto importante è quello dei rapporti intercorsi con le botteghe dei miniatori di Siena. Va notato in proposito che presenze senesi spiccano tra i codici un tempo appartenuti alle biblioteche del convento domenicano di SMN e di quello francescano di Santa Croce. Sebbene non ne sia accertata l’appartenenza ab antiquo ai due insediamenti, questi codici appaiono comunque indizio di una frequenza di scambi tra le due città, più consistente di quanto il materiale librario superstite non consenta di accertare, e di cui rimane testimonianza sicura nell’Antifonario datato 1302 della chiesa fiorentina di Santo Stefano in Pane, miniato dal Maestro dei corali di Massa Marittima (A. Labriola, 2002, pp.281-288).

In questa direzione, esiti di piano classicismo animati da fluenti inflessioni lineari caratterizzano alla fine del secolo l’interessante decorazione del Compendium historiae Veteris et Novi Testamenti (Bibl. Medicea Laurenziana, Plut.20.56), con risultati che in alcuni casi paiono incunaboli dello stile di Pacino (il Compendium di Petrus Pictaviensis è stato recentemente studiato ed illustrato da Laura Alidori, 2001-2002, che ne propone il riferimento ad artista toscano della fine del XIII secolo. Particolarmente vicini a Pacino appaiono i disegni a c.3r e a c.5r).

I disegni acquerellati di questo codice proseguono le ricerche di classicismo naturalistico avviate nel decennio precedente dal Maestro di San Paolo nel corale E di SMN, ma anche dagli autori di un notevole gruppo di sette pagine miniate, provenienti da un Graduale, del Worcester Art Museum (nn.1989.170-176) di Worcester. Ancora quasi del tutto sconosciute agli studi, esse sono state accostate da Miklos Boskovits all’ambito di Grifo di Tancredi, di cui ricordano in particolar modo opere della prima maturità (come il trittico della Gemäldegalerie di Berlino e il tabernacolo della National Gallery di Edinburgo), rivelando una singolare ricchezza di riferimenti culturali: dagli spunti tratti da imprese romane quale il ciclo affrescato del Sancta Sanctorum (1277-1280), alle strette tangenze con il Maestro della Genealogia Christi di Ginevra, uno dei protagonisti della miniatura senese nella seconda metà degli anni ottanta del secolo (per il gruppo di pagine miniate conservate a Worcester, si veda David Acton, 1998, pp.18-19, 218 e Gaudenz Freuler, 2002, pp.278-279).    

Il linguaggio tardo di Grifo di Tancredi (al tempo della Madonna con il Bambino e quattro santi nella Galleria dell’Accademia a Firenze), con echi dell’espressività di Cimabue aggiornati sui moderni ideali dell’arte di Giotto, lascia la sua impronta su due belle immagini aggiunte intorno al 1300 alla Bibbia umbra di Santa Croce, del 1280 circa (Bibl. Medicea Laurenziana, Plut.V dex.1, cc.138r e 162v). Mi sembra che esse rappresentino in maniera significativa il contatto stabilitosi tra Grifo e il Maestro della Santa Cecilia, in epoca di poco precedente all’eponimo dossale di quest’ultimo conservato agli Uffizi (l’attribuzione a Grifo, intorno al 1280-1285, delle due miniature laurenziane è stata proposta da L.C.Marques, 1987, pp.203, 205).

Se la distanza cronologica che separa alcune tra  le miniature di Worcester (nn.1989.170, 1989.173-176) dalle due immagini della Bibbia laurenziana non rende immediato il riconoscimento di una comune paternità, sembra possibile delineare la continuità di affini inclinazioni espressive. Le due serie potrebbero essere ricondotte all’attività di un atelier che dovette svolgere un ruolo-chiave nel contesto della produzione illustrativa fiorentina del periodo, se non altro per la straordinaria qualità dei suoi risultati figurativi, e che fu forse operoso in stretta contiguità con lo stesso Grifo (prefigurando così un caso analogo a quello, di poco successivo, del rapporto di osmosi verificatosi tra Lippo di Benivieni e il Maestro del Laudario).

A questi esiti, indicativi degli umori sottilmente espressivi della miniatura fiorentina all’aprirsi del nuovo secolo, si collega la tendenza forse più vitale nell’ambito della produzione illustrativa della città, che sembra quasi presagire i futuri svolgimenti del Maestro del codice di San Giorgio.

 


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