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Chiesa Santa Maria Novella di Firenze

Priori di Santa Maria Novella di Firenze
1221-1325
,

«Memorie domenicane» 17 (1986) 253-84.

sommario
1 dirigenza conventuale e politica cittadina
2 priorati e praedicatio conventuale
  | priore, né abate né re: prior et ipsi fratres cum eo
3 elenco priorale: problemi di metodo
4 governo conventuale e promozione culturale: Nicola Trevet e Paolo dei Pilastri,
5 Tolomeo da Lucca, Riccoldo; Giordano da Pisa;
Bartolomeo da San Concordio e il sallustiano Neri di Cambio (quale?  → ..\nomen2\neri1.htm)
 

priori

 

1221-1279

1282-1300

 

1301-1311

1312-1325  | ?¿?

 

ë aggiornamento Bartolomeo dei Pappazuri OP

1. «Tra i monaci emigrati insieme con i Guelfi, per i quali naturalmente l’esilio era meno doloroso che per gli altri, si trovava l’omonimo nipote del proposto del Duomo, il domenicano Pagano degli Adimari, come pure Aldobrandino de’ Cavalcanti, priore di Santa Maria Novella. Ora Aldobrandino divenne capo del convento di San Romano a Lucca; il martirio politico fu molto utile tanto all’uno quanto all’altro: Pagano fu più tardi priore del convento domenicano di Firenze, e Aldobrandino fu elevato al grado di Superiore della provincia di Roma e più tardi a quello di vescovo di Orvieto e di vicario della città di Roma».

Così Robert Davidsohn nella Storia di Firenze, ed. 1972, II, 699, a proposito delle famiglie guelfe che abbandonarono Firenze e si rifugiarono a Lucca all’indomani della disfatta guelfa di Montaperti (4 settembre 1260) che permise ai ghibellini di rientrare in Firenze e insediarsi nel potere cittadino. Di fatto sia gli Adimari che i Cavalcanti sono nelle liste dei casati esuli nel settembre 1260. Ma a parte il fatto che non necessariamente tutti i membri di ciascun casato andarono esuli[1], il rapporto tra ecclesiastici e sorte politica delle loro famiglie potrebbe configurarsi in termini meno meccanici di quanto faccia intendere il brano del Davidsohn, non foss’altro perché istituzioni ecclesiastiche (diocesane o conventuali) erano rette da autonome norme statutarie, godevano di tradizionali franchigie, e comunque vantavano in proprio un notevole peso di soggetti politici entro il dinamismo della vita cittadina. Fr. Pagano di messer Iacopo Naso degli Adimari[2], autorevole frate di SMN, andò esule con i suoi consorti, come suppone il Davidsohn? Nessuna testimonianza documentaria corrobora l’ipotesi. Fr. Aldobrandino dei Cavalcanti era stato priore conventuale di SMN nella prima metà degli anni ’50, di San Romano di Lucca nel 1261-62, provinciale della provincia Romana nel 1262-68[3]. Non è tentante mettere in rapporto i priorati conventuali d'Aldobrandino con le vicende politiche della città? Appartenente al potente casato guelfo dei Cavalcanti, Aldobrandino fu priore fiorentino durante il “primo popolo” guelfo (1250-60); successivamente, dopo l’esilio dei Cavalcanti in settembre 1260, priore a Lucca, quando in Firenze si erano insediati i ghibellini.

Ma ci fu veramente tale rapporto causale tra vicende del guelfismo fiorentino e priorato lucchese di fr. Aldobrandino? Su quale base, oltreché sull’ironia dello storico di Firenze, riallacciare le successive cariche pubbliche di fr. Pagano e di fr. Aldobrandino al loro esilio («il martirio politico fu molto utile tanto all’uno quanto all’altro»)? Il priore, sia conventuale che provinciale, non veniva nominato ma eletto dai frati dei rispettivi capitoli.

In primavera 1300 Lapo di Guido dei Salterelli sventò una congiura contro Firenze tramata da taluni fiorentini presso la curia papale di Bonifacio VIII e resistette pubblicamente all’intromissione del papa nelle cose fiorentine al punto che Bonifacio nell’indignata lettera al vescovo di Firenze e all’inquisitore di Toscana dette dell’eretico a Lapo sul gioco della “derivatio nominis”: «qui vere dictus est lapis offensionis et petra scandali». Il ceto dirigente operante nelle istituzioni politiche del comune fiorentino non ne fece gran conto, inviò anzi un segnale di resistenza se elesse Lapo alla carica di priore cittadino nel bimestre aprile-giugno 1300. Nel medesimo anno (da autunno 1299 a luglio 1300) priore conventuale di SMN era fr. Simone dei Salterelli, fratello di Lapo. A quali monocordi propositi i priorati cittadino e conventuale dei due Salterelli possono far pensare se Noffo di Quintavalle, uno dei congiurati nella curia papale contro Firenze, aveva un figlio frate in SMN[4]?

2. I priorati di SMN suscitano altre curiosità allo storico interessato a cogliere i modi in cui il convento mendicante a matrice urbana reagisce in occasione dei perturbamenti politici più acuti della città. Ricordiamo che il reclutamento delle vocazioni era strettamente confinato alla praedicatio del convento, cioè alla circoscrizione geografica che delimitava i termini dei diritti d’attività apostolica (predicazione, confessioni, reclutamento, questua) del singolo convento. La praedicatio coincideva, in linea di principio, col territorio amministrativo dei comuni toscani. Così, per intenderci, un candidato del territorio della repubblica lucchese (città e contado) era filius nativus del convento di Lucca, poco importa se per motivi contingenti avesse preso l’abito in altro convento. Le Cronache conventuali registrano strettamente i frati figli del convento, anche se deceduti altrove, e fanno intravedere non infrequentemente i contrasti connessi ai raggiustamenti dei termini della praedicatio susseguenti alle alterne vicende delle conquiste territoriali nelle lotte comunali[5]. La provincia Romana dei frati Predicatori comprendeva anche il territorio dei comuni toscani. Le lotte intracittadine e le lotte d’egemonia tra i comuni condizionavano in qualche modo anche la selezione del ceto direttivo religioso della provincia e dei conventi? Durante il governo ghibellino in Firenze (1260-66) abbiamo una sola testimonianza certa del priore di SMN, fr. Giovanni da Viterbo. Dopo gli Ordinamenti di giustizia (gennaio 1293), con cui la borghesia urbana si assicurava più stretto controllo del potere cittadino imponendo severissimi freni alle casate magnatizie, Firenze fu agitata da un’accentuata conflittualità politica, al punto che in luglio 1295 si dovette mitigare la legislazione antimagnatizia. Nel 1295 risulta priore fiorentino fr. Cinzio da Roma. In maggio 1300 esplosero le lotte tra le fazioni bianca e nera, che si consumarono in ogni genere di violenze, condanne, esili, espropri, da gennaio a ottobre 1302, dopo che in novembre dell’anno precedente i neri avevano sopraffatto la fazione avversa. In quegli anni priori fiorentini sono fr. Tolomeo da Lucca e fr. Iacopo da Siena. Il convento elegge un priore esterno quando le lotte tra fazioni e consorterie cittadine scuotono la città e rompono l’equilibrio delle forze al potere? Ne è rimasto in qualche modo coinvolto anche il convento? Nessun frate pisano risulta priore in SMN negli anni qui considerati. Le dissonanti solidarietà intrattenute dai due conventi domenicani in congiunture politiche d’ampia portata (parabola conclusiva dell’impero svevo in territorio italiano, politica degli Angioini in Toscana, campagna militare d’Enrico VII di Lussemburgo contro Firenze)[6] avranno dissuaso i frati di SMN dall’eleggere alla carica priorale un frate di Pisa, città a tradizione filo-imperiale e che sola riusciva a contendere alla repubblica fiorentina l’egemonia in Toscana?

Questi e simili quesiti si presentano a chi voglia studiare il rapporto convento-città. Ricerche sistematiche sulle famiglie dei frati e loro ruolo cittadino potranno aiutare non poco a definire il modo specifico e proprio in cui il convento vive all’interno e all’esterno i conflitti cittadini e stabilisce di volta in volta pubbliche solidarietà; e potranno aiutare a individuare occasioni in cui i conflitti vengono eventualmente assorbiti o risolti in mediazioni di pace[7]. Il priorato conventuale (ma anche altre cariche direttive come quelle dei definitori e dei lettori) potrebbe rivelarsi di notevole importanza per intendere la funzione pubblica del convento mendicante a matrice urbana. La documentazione attuale non permette di sostenere meccaniche solidarietà conventuali formatesi e consumatesi sullo spartiacque delle lotte cittadine e della politica comunale. Appella semmai a più sistematiche e affidabili testimonianze.

Restituiamo tuttavia al priorato dell'ordinamento costituzionale domenicano il suo retto significato: non personificazione del governo monocratico, significativo della sola persona o del casato che ne detiene il titolo; ma carica che attiva e coinvolge altri soggetti di governo e di participazione conventuale ad esso. Prior, né abate né re. Il priore, in altre parole, convoca il consiglio o il capitolo conventuale, secondo il caso; propone la materia di decisione alla comune discussione; la votazione (maggioranza richiesta due terzi) definisce il consenso comunitario e regola la fase esecutiva delle decisioni prese. I soggetti coinvolti legalmente nella transazione sono il "priore insieme con i suoi frati": «consensu suo et ipsi fratres cum eo», si legge nella prima lista finora nota dei frati capitolari di SMN, con registrazione nominativa degli aventi diritto, 31.I.1245; frati capitolari co-attori del negozio, da non declassare a testi (came capita talvolta di leggere). Il priorato dunque raccoglia in sé il governo condiviso della comunità domenicana. Documentare nome e attività priorale significa abbozzare una storia reale della comunità conventuale; urbana, per natura; intrecciata dunque con le vicende quotidiane della città, dalle sue componenti sociali alle forme della sua pietas. In tempi - ricordiamolo - nei quali spazi di chiese e conventi erano anche pubblico cimitero!

3. Stefano Orlandi in Necr. II, 600 ss dà la serie dei priori di SMN. Gli studiosi vi fanno ricorso a vario titolo e interesse. Purtroppo, per il periodo qui preso in esame (1221-1325), la lista è tutt’altro che attendibile. L’Orlandi avverte sì che l’elenco è compilato sulla Cronica annalistica (1757-60) di Vincenzo Borghigiani (ASMN I.A.28 ss) e del Compendium necrologii (1783) di Luigi M. Cingia (ASMN I.A.37), ma poi sia nell’elenco priorale che nelle notizie biografiche sui singoli frati dà sproporzionato credito ai due compilatori settecenteschi. Già le poche integrazioni originali dell’Orlandi erano sufficienti a mettere in guardia dall’affidabilità della lista; sufficienti se non altro a individuare i criteri (non dichiarati) con i quali la lista era stata compilata. Se si eccettua un uso sporadico degli atti dei capitoli provinciali (e delle pergamene conventuali?), del Liber novus e d’altre compilazioni conventuali, Borghigiani-Cingia attingono prevalentemente dalla Cronica; la quale, se attesta che questo o quel frate fu priore fiorentino, non dà l’anno del priorato. Gli estensori della lista, quando non dispongono di testimonianze esterne alla Cronica (ed è il caso più frequente), attribuiscono per congettura l’anno del priorato a partire dagli estremi d’entrata in religione e di morte del frate-priore. L’esito è troppo fragile per servire una qualsivoglia elaborazione storiografica.

Si ripropone qui l’elenco dei priori di SMN dal 1221 (anno d’entrata dei frati Predicatori nella primitiva chiesetta fiorentina) al 1325. Sono accolte solo le testimonianze coeve che non lascino dubbi su nome e data. Quest’ultima è posta in esponente e testimonia il tempo del priorato. Va da sé che la successione degli esponenti in linea di principio né afferma la continuità della carica da un esponente all’altro (così, ad esempio, Giovanni da Viterbo priore nel 1263 non lo fu necessariamente fino al 1268, priorato di Gerardo d’Arcetri) né esclude altri priorati tra un esponente e l’altro. Criteri alquanto severi, ne convengo; ma tali da lasciare intatta la perentorietà delle testimonianze e permettere l’inserimento d’altri dati, frutto d’ulteriori spogli archivistici.

La severità dei criteri è mitigata, comunque, dall’interpretazione da dare a talune sequenze priorali. Ricordiamo che nella legislazione domenicana di questo periodo la durata dell’ufficio priorale (conventuale e provinciale) non è a termine. Il priore conventuale, eletto dai frati capitolari e confermato dal priore provinciale, dura a tempo indeterminato. È il capitolo provinciale, celebrato annualmente, a porre termine al priorato («Absolvimus priores..., He sunt absolutiones...»). La prassi sta ampiamente a favore d’una rotazione frequente delle cariche direttive. Salvo dunque casi eccezionali (decesso, promozione, deposizione ecc.), il priorato termina con il rilevamento dalla carica (absolutio) deciso dal capitolo provinciale; entro lo spazio di trenta giorni, come stabilivano le costituzioni II 2 De electione prioris conventualis, il capitolo conventuale procede all’elezione del nuovo priore[8]. Sfortunatamente gli atti dei capitoli provinciali a noi pervenuti (1243-1344) trasmettono le absolutiones solo a parire da anni tardivi, e anche qui non sistematicamente. I copisti che a distanza di anni trascrivono gli atti non si comportano come nella trasmissione di testi letterari; hanno sottomano un testo amministrativo e trascrivono (in parte) in funzione del vigore legale delle deliberazioni capitolari (cf. MOPH III, 32/24-26: un quaderno conventuale registri annualmente gli atti dei capitoli; bisogna far spazio per i nuovi atti? si cancelli solo quanto revocato!). Le assoluzioni dei priori rientrano nella sezione legislativa a valore decaduto (e così le nomine e le assoluzioni dei lettori). I copisti semmai introducono la rubrica ma troncano l’elenco: «Absolvimus priores etc.»; «He sunt absolutiones etc.». Ma talvolta l’elenco viene trascritto, e presumibilmente per intero, specie là dove alla lista delle assoluzioni fa seguito la lista parallela della cura conventus, cioè dell’incarico interinale della responsabilità d’un convento finché il capitolo conventuale non abbia proceduto all’elezione del nuovo priore.

Caso di testimonianze diplomatiche pervenuteci circa procedura, forma elettiva prescelta, lettere di notifica d'elezione priorale e richiesta di conferma: P. Glorieux, Une élection priorale à Gand en 1309, AFP 7 (1937) 246-67.

Il nostro elenco dei priori fiorentini riporta dunque sistematicamente le disposizioni capitolari sulle assoluzioni dei priori quando possano aver incidenza sui termini della carica priorale; e riporta, a ridosso dei priorati, il tempo di celebrazione del capitolo provinciale quando attestato (per consuetudine i capitoli provinciali sono celebrati in settembre, più raramente in luglio o agosto; subito dopo quello generale, settimana di Pentecoste, quando celebrato nella medesima città). Un priorato dura almeno un anno, da capitolo a capitolo provinciale. Talune concatenazioni permettono d’inferire con sufficiente certezza la durata di questo o quel priorato. Qualche esempio. Ugo degli Ubertini risulta priore in giugno 1286: lo era almeno dal mese successivo al capitolo provinciale 1285 e lo sarà fino al capitolo 1286 convocato per il 29 settembre; priore ancora in febbraio 1288: lo era almeno dal mese successivo al capitolo provinciale 1287 e lo sarà almeno fino al capitolo provinciale 1288, celebrato in Lucca subito dopo quello generale nella medesima città; non lo era più almeno da settembre 1289 perché il capitolo provinciale di quell’anno assolve dalla carica il priore fiorentino. Cinzio da Roma, priore nel capitolo provinciale 1295, lo era almeno dal capitolo provinciale 1294 e lo sarà almeno fino a quello 1296. Tolomeo da Lucca risulta priore in agosto e settembre 1301, e in giugno 1302. Poiché il capitolo provinciale 1301 era stato convocato per il 14 settembre (Tolomeo vi compare priore e lo era già prima del capitolo) e quello del 1302 era stato convocato per il 22 luglio, Tolomeo dev’essere stato priore fiorentino da poco dopo luglio 1300 (mese legale per l’elezione priorale dopo il capitolo convocato per il 22 luglio 1300) fino a luglio 1302. Dopo luglio 1302 fu eletto priore fr. Iacopo da Siena, ché tale risulta il 5 novembre 1302.

Di taluni priori fiorentini conosciamo il nome ma non il tempo del priorato; o comunque il tempo tradizionalmente assegnato non appare sufficientemente sicuro. Se ne dà la lista a fine elenco.

Nelle date annuali con doppia cifra separata da barra (es. 1253/4), la prima indica l’anno del documento, la seconda del computo moderno. Le date in esponente sono sempre del computo moderno. Le citazioni dei fondi diplomatici danno la data come nella segnatura d’archivio, che non sempre corrisponde - o per errore di regestazione o per concorrenza di più negozi legali nella medesima pergamena - alla data effettiva della testimonianza.


[1] Giovanni Villani [† 1348], Nuova cronica, ed. critica G. Porta, Parma 1990-91, VII, 74-79. RICORDANO MALISPINI, Storia fiorentina c. 182 (ed. V. Follini, Firenze 1816, rist. Roma 1976, 138-39). Detentori = S. RAVEGGI, M. TARASSI, D. MEDICI, P. PARENTI, Ghibellini, guelfi e popolo grasso. I detentori del potere politico a Firenze nella seconda metà del Dugento, Firenze 1978, c. 2 (I fuorusciti guelfi del 1260), 13 n. 1 e ss.

[2] Relazioni parentali di fr. Pagano stabilite su ASF, SMN 13. IV.1287: «Cursus filius emancipatus Botti Guittonis populi Sancti Stephani de Ungnano... vendidit... fr. Pagano de ordine fratrum Predicatorum de conventu ecclesie Sancte Marie Novelle et filio condam d. Iacobi Nasi [non «di Nero»: Necr. I, 249 n. 10] de Adimaribus, executori testamenti d. Pagani filii condam d. Gherardi de Adimaribus et procuratori hospitalis Sancti Dominici de Fighino, recipienti... nomine dicti hospitalis». Fratelli di fr. Pagano sono Boccaccio, Mari (o Adimari) e Berlinghieri (o Benghi): «Adimari et Benghi fratres filios quondam d. Iacobi Nasi» (ASF, Acquisto Marchi 6.VIII.1241, di fatto 1261); «d. Boctaccius et d. Mari d. Iacobi Nasi de Adimaribus» (La pace  240 = I. Lori Sanfilippo, La pace del cardinale Latino a Firenze nel 1280. La sentenza e gli atti complementari, «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo» 89 (1980-81); «Adimarius et Berlingherius olim d. Iacobi Nasi» (Delizie XI, 226: anno 1267). L’omonimo zio di fr. Pagano, il proposto fiorentino Pagano di messer Gherardo degli Adimari, era morto il 7.IV.1265 (Arch. dell’Opera del Duomo di Firenze, Necrologio del cimitero della canonica f. 17r).

[3] Lucca, Capitolo San Romano, giugno 1261: «Omnibus clareat evidenter quod fr. Aldibrandinus de Cavalcantibus prior fratrum Predicatorum lucani conventus videlicet Sancti Romani...» (ASL, Dipl, S. Romano giugno 1261). Medesimo luogo, 10.IX.1262: «Bullione et Albissellus... vendiderunt fr. Gerardo suppriori et vicario fr. Aldebrandini prioris fratrum Predicatorum conventus Sancti Romani de Luca» (ASL, Dipl. S. Romano 10.1X.1262). In ambedue gli atti appare come teste «Rosso filio Fornarii de Florentia», cioè Rosso del Fornaio dei Rossi, membro d’un casato esule nel 1260 (Detentori 14 n. 2, 117-18 e ad indicem); il 10.VI.1266 Rosso è in Firenze, teste in atto del monastero domenicano S. Iacopo a Ripoli (ASF, NA 995 (già A 981), f. 44), e in Firenze è suo fratello Bagherello in gennaio 1267 (ib., f. 47r: 19.1.1266/7). Capitolo di S. Romano in Lucca, 6.VIII.1261: testamento di messer Tegghiaio d’Aldobrando degli Adimari, che nomina tra i tutori di suo figlio «fratres Ildebrandinum de Cavalcantibus et Paganum de Adimariis de ordine fratrum Predicatorum», incaricati anche della restituzione delle usure. Fr. Aldobrandino, con altri frati domenicani del convento lucchese, è presente all’atto; non è attestata invece la presenza di fr. Pagano degli Adimari (ASF, Acquisto Marchi sotto la data 6.VIII.1241). Probabilmente è da questo documento che R. Davidsohn (Forschungen zur Geschichte von Florenz IV, Berlino 1908, 169, 370-71), presumendo la presenza in Lucca di fr. Pagano, ha parlato del suo esilio. Palese invece risulta la solidarietà tra consorterie fiorentine esuli in Lucca. Per il priorato provinciale (1262-68) di fr. Aldobrandino: ASL, Dipl. S. Romano 1262; AFP 4 (1934) 132. Come vescovo d’Orvieto corrobora col proprio sigillo vescovile una donazione del convento urbevetano a favore di quello lucchese (ASL, Dipl. S. Romano 15.VII.1276).

[4] G. Levi, Bonifacio VIII e le sue relazioni col comune di Firenze, Roma 1882, 90-92 (primo intervento papale, 24.IV.1300), 95-88 (15.V.1300); a pag. 97 per gli attributi riservati a Lapo dei Salterelli. Vedi anche DAVIDSOHN IV, 138-44, 160, 167-68, 185-86; A. D’Addario, Lapo Saltarelli, «Enciclopedia dantesca» IV (1973) 1084-86.
Relazioni parentali: «Ego Lapus Guidonis Salterelli de Monte Crucis» (ASF, Arte dei giudici e notai 5, f. 22r). «Fr. Symon Guidonis de Salterellis» (Cr SMN  n° 320). Un terzo fratello è Cerbino detto Bino: «Cerbinus qui Binus dicitur filius Guidi Saltetelli» (ASF, NA 995 (già A 981), f. 31v: 11.VIII.1264). Figli di Bino sono Andrea († 1333) e Michele († 1373), sepolti in SMN (Libro dei morti: MD 1980, 105, 175). Priorato fiorentino di fr. Simone vedi sotto esponente 2.II.1300.
Tra i fiorentini che presso la curia papale tramarono contro Firenze c’era Noffo di Quintavalle (Levi, op. cit. pp. 90, 95); un figlio di Noffo, fr. Gherardo, era frate di SMN, ricevuto nell’ordine in Grecia, dove anche morì nel 1311 (Cr SMN  n° 201).

[5] Per lo statuto legale deIIa praedicatio in quanto territorio deIIa giurisdizione deI convento cf. M.-H. VICAIRE, Dominique et ses Prêcheurs, Fribourg 1977, 124-26. Ma testimonianze diplomatiche fanno toccare con mano i casi concreti, e fanno altresì intravedere l'instabilità dei confini deIIa praedicatio là dove il convento copre territori contesi tra unità politiche rivali. I definitori del CP Perugia 1262 determinano i confini deIla praedicatio tra i conventi di Lucca e Pistoia in VaI di Lima (montagna pistoiese) e assegnano al convento lucchese il territorio del piviere di Controne e deIIe parrocchie di Benabbio, LugIiano e Corsena fin verso il ponte a Chifenti, là dove la Lima confluisce neI Serchio, e al convento pistoiese il territorio fino al piviere di Controne escluso (ASL, Dipl. S. Romano 1262). I definitori deI CP Gaeta 1286 definiscono la predicazione tra i medesimi conventi; per compensare i territori (non menzionati) passati al convento di Pistoia assegnano a quello lucchese la pieve di Santa Maria a Monte, e le parrocchie di Montecalvoli e Pozzi, a destra del Valdarno inferiore là dove la diocesi lucchese confina con quella pisana; ma si precisa: «quamdiu et quotiens dicta castra vel terre fuerint sub dominio lucanorum; et quando dicte terre fuerint sub dominio pisanorum, durante dominio, sint de predicatione pisana», cioè del convento domenicano di Pisa (ASL, Dipl. S. Romano 5.X.1286). Per incarico del CP Siena 1306 due frati ritoccano la predicazione di Lucca e Pistoia (proprio in quegli anni definitivamente conquistata da Firenze) in VaI di Nievole; assegnano a Lucca il territorio che si estende fino all'ospedale San Marco, «quod est prope burgum Montis Catini», e ai frati pistoiesi le terre di Maona, Montecatini, Monsummano e Montevettolini, «ut antiquitus soliti erant habere» (ASL, Dipl. S. Romano 7.IV.1307). La predicazione di Lucca (provincia Romana) era già venuta in controversia con i conventi di Genova e Parma (provincia di Lombardia) per la ripartizione dei territori della diocesi di Luni; il CG Strasburgo 1260 definisce i termini della predicazione dei tre conventi (ASL, Dipl. S. Romano 1260). «Frater Hermannus de Sancto Miniate. Illud enim municipium fuit de predicationis terminis nostri conventus, et ideo illi ad nostrum conventum omnes originaliter pertinebant. Hic |6r| vir bonitatis magne et sensatus homo et dulcis pater fuit supprior in conventu pisano, ubi cum magna devotione migravit» (Cr Ps n° 12).

[6] Cr Ps n° 137: «Unde illustrissimus rex Robertus [d’Angiò], contra Pisanos odio et furore turbolentus...». Corradino di Svevia era stato ricevuto in convento (ib. n° 39). Per il rapporto del convento con Enrico VII nel 1313: ib. p. 491. Fr. Oddone da Sala OP, vescovo pisano, benedice il carroccio per l’esercito che infliggerà una gravissima sconfitta alla lega fiorentino-angioina in Montecatini 29.VIII.1315 (ib. p. 491). I sentimenti filo-angioini del convento fiorentino (in sintonia con la politica di Firenze) sono ampiamente documentati nei sermoni di fr. Remigio dei Girolami (cf. E. PANELLA, Per lo studio..., MD 1979, 213, 227, 231; Note di biografia domenicana tra XIII e XIV secolo, in AFP 1984, 276-77). Quando in gennaio 1313 Enrico VII, che aveva posto in Pisa il suo quartier generale, assediava Siena (alleata con Firenze), le autorità del comune fiorentino dovettero rassicurare gli amici senesi della fedeltà alla causa senese-fiorentina di fr. Remigio. Ma la situazione è ancora più intrigante: al cardinale Niccolò da Prato OP (a suo tempo provinciale Romano), che in qualità di legato papale in appoggio a Enrico VII incorona Enrico imperatore a Roma in giugno 1312, il cronista del convento perugino associa con entusiasmo fr. Annibaldo dei Guidalotti da Perugia, che cantò il vangelo della messa d’incoronazione (Cr Pg f. 59v). Fr. Bernardino da Montepulciano, del convento d’Orvieto, «meruit commorari cum serenissimo principe et domino domino Henricho imperatore nonagesimo sexto, sub annis Domini M°CCC°XIII°, suus carus cappellanus existens et conffexor» (Cr Ov 69, ed. 101).

[7] Tornaquinci e Girolami nel 1304 si azzuffarono in Mercato Vecchio; nel 1306-07 giurarono atto di pace. In SMN convivevano fr. Giovanni di messer Ruggeri dei Tornaquinci, priore nel 1306-07, e fr. Remigio del Chiaro dei Girolami (Dal bene comune..., MD 1985, 54-56). Entrambi i frati compaiono nella transazione in ASF, SMN 29.VII.1307.

[8] Constitutiones antiquae [1241] II, 2: «Priores conventuales a suis conventibus secundum formam canonicam eligantur, et a priore provinciali, si ei visum fuerit, confirmentur, sine cuius licentia de alio conventu eligendi non habeant potestatem. Si vero infra mensem non elegerint, prior provincialis conventui provideat de priore» (ed. R. Creytens in AFP 1948, 49). Cf. Constitutiones antiquae [1216-36] II, 24 (ed. A.H. Thomas, Lovanio 1965, 359). Dal 1269-71 per il diritto al voto attivo nell'elezione si esigono quattro anni dall'emissione della professione (AFP 1948, 49 n. 15).


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