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2. Talune questioni sollevate dall’alia lectura fratris Thome

Prima di passare alla biografia di Iacopo, qualche nota periferica ai problemi sollevati dal codice di Oxford.

All’interpellazione se la scrittura della nota di possesso fosse della stessa mano del commentario marginale, L. Boyle mi comunicò che a suo giudizio la cosa non poteva esser stabilita con certezza a motivo sia della brevità della nota che della degradazione grafica dovuta all’erasione. Il che, a rigore, lascia irrisolto un punto importante: il codice posseduto da fr. Iacopo conteneva, quando venduto a fr. Niccolò da Milano, anche il commentario marginale o soltanto quello parigino del testo in scrittura base?

Il brano n° XIII [= dist. 9.2] del commentario marginale di Oxford, secondo la numerazione dell’editore Dondaine, annuncia il titolo dell’arficolo («Hic queritur utrum filius possit dici alius a patre secundum aliam lec. f. t. ») e richiama concisamente la formulazione delle obiezioni rinviando con etc. all’alia lectura fr. Thome, cioè al commentario parigino, che risponde perfettamente al rimando (Dondaine, Alia lectura 329-30; Boyle, Alia lectura 424; Lectura romana..., ed. Toronto 2006, 152-53). La seconda obiezione dice: «Preterea. Sicut dicit Priscianus, alius est relatiuum diuersitatis etc.». La corrispondente obiezione in In I Sententiarum d. 9, q. 1, a. 1, ob. 1 ha:

«Alius enim, secundum Priscianum, est relativum diversitatis substantiae. Sed Pater et Filius sunt unius substantiae. Ergo Filius non potest dici alius a Patre».

L’edizione rinvia in nota alle Institutiones grammaticae II, c. De pronomine[3]. Ma niente in II, 5 delle Institutiones di Prisciano rende ragione della citazione (Institutiones grammaticae II, 5, 23-24, ed. M. Hertz in Grammatici latini II, Leipzig 1855, 57-58). «Priscianus: non invenimus», scrive in nota l’editore di brano XIII del commentario marginale. In realtà sul pronome Prisciano ritorna in XVII, 10. Qui dopo aver detto che «nominum positio est ad significationem qualitatum vel communium vel propriarum, quae sunt innumerabiles, ut “homo, Plato”...», definisce i pronomi «ea quae ad nihil aliud aspiciunt per demonstrationem nisi ad propriam aliquam substantiam et ad ei accidentes qualitates..., voce autem ipsa pronominis non manifestantur nisi substantiae» (Institutiones XVII, 10, 63-64, ib. III, Leipzig 1859, 145-46). Che potrebbe render ragione del ricorso di Tommaso all’autorità di Prisciano (non citazione letterale ma riformulazione essenziale della definizione di pronome e applicazione ad alius) se una fonte intermedia non offrisse più letterale riscontro alla citazione tomasiana. Pietro di Spagna, nei Tractatus (1230 ca.) VIII, 2, dopo aver citato espressamente Prisciano minore (libri XVII-XVIII delle Institutiones) distingue i relativi:

«Relativorum autem quedam sunt relativa substantie, ut qui, ille, alius; quedam relativa accidentis, ut talis, qualis, tantus, quantus. Relativum autem substantie est quod refert idem in numero cum suo antecedente, ut qui, ille. Item. Relativorum substantie quedam sunt relativa idemptitatis, ut qui, ille; quedam vero relativa diversitatis, ut alter, reliquus, et consimilia». E in XII, 11: «Hoc relativum alius est relativum diversitatis» (ed. L.M. De Rijk, Assen 1972, 185, 217).

Il testo dei Tractatus esclude positivamente che Tommaso, citando Prisciano, abbia fatto diretto ricorso alle Institutiones: queste né hanno il binomio relativum substantiae né la sua divisione in relativum idemptitatis e relativum diversitatis, che genera il relativum diversitatis substantiae di Tommaso; né inoltre introducono l’esempio di alius. È il diffuso manuale di logica del tempo, Tractatus di Pietro (o altra compilazione che trasmettesse le medesime formule in connessione col nome di Prisciano), che si frappone tra Institutiones e citazione di Tommaso. Talune disinvolte citazioni nel commentario marginale di Oxford obiettano contro la paternità tomasiana? Il caso di Prisciano regredisce sul commentario parigino, d’indubbia autenticità. Le note in calce alle edizioni volgate fanno credere che citazioni esplicite siano fonti dirette. Auctoritates trasmesse oralmente e di comune proprietà nella tradizione di scuola, vaganti sotto il nome ora di questo ora di quell’altro autore, fonti raggiunte indirettamente tramite repertori, manuali, florilegi, ricorrono nelle pagine dei meno “grandi” così come dei “grandi”. Dante Alighieri si compiace di citare Tito Livio, ma legge Orosio o le Epitomae di L. Anneo Floro.

Andrea di Buonaiuto da Firenze, capitolo SMN_est, s. Tomm. d'Aquino (1365-67): Veritatem meditabitur guttur meum (Prov. 8,7)Tommaso, già maestro in teologia, legge le Sentenze? Se la normativa che regola la didattica universitaria vi si oppone, nessuna obiezione sollevano le consuetudini vigenti negli studi regionali (uso quest’aggettivo per lasciar impregiudicate le qualifiche provinciale, particulare, generale) degli ordini mendicanti, se non altro perché del loro interno strutturarsi e della quotidiana prassi nell’attività didattica sappiamo ben poco. Il tentativo di ricostruirne segmenti sufficientemente significativi dagli Atti dei capitoli generali e provinciali  -  restii a rilasciare informazioni dalla lunga tenuta cronologica e geografica  -  risulta disperato. Il ricorso ad altre fonti potrebbe offrire contributi interessanti:

Giovanni da San Gimignano OP (1299-1333 estremi conosciuti), Sermones dominicales, sermone III della Pentecoste: «Paraclitus autem Spiritus sanctus, quem mictet Pater in nomine meo, ille vos docebit omnia. Io. 13 [ = 14, 27]. Consuetudo est in aliquibus generalibus studiis quod quando magister qui legit debet dimictere scolas et alius sibi magister succedere in eisdem, quod licentiando se a discipulis commendat eis et laudat suum successorem qui eis legere debet» (Bibl. Naz. di Firenze, Conv. soppr. J.2.40, f. 177rb-va).
Nel Prologus infine Sententiarum Remigio dei Girolami OP, licenziandosi dal baccellierato sentenziario in Parigi (1298-1300), presenta agli studenti il futuro lettore fr. Bernardo d’Auvergne OP e ne loda virtù e scienza (ed. in Il «De subiecto theologie» di Remigio dei Girolami O.P., Milano 1982, 73-75).

Tra 1314 e 1316 il fiorentino fr. Remigio dei Girolami raccoglie in uno dei suoi codici 49 prologi o sermones prologales  -  allocuzioni inaugurative dell’anno accademico  -  dei quali 5 altrui e 44 propri (Il Repertorio dello Schneyer ..., MD 11 (1980) 636-41). Taluni rilasciano informazioni specifiche o sul libro letto a scuola o sulla quantità del programma annuale svolto; talvolta rinviano al prologo precedente costruendo incastri e sequenze. Se l’ordinamento finale dei prologhi nel codice segue principalmente il criterio della successione dei libri biblici, il raccordo fra tutte le informazioni della serie prologale permette di ristabilire l’ordine cronologico dell’insegnamento, l’intreccio annuale tra libro biblico e Sentenze, e di ricostruire almeno tre sequenze didattiche o cicli, il primo di 3, il secondo di 2, il terzo di 4 anni scolastici consecutivi.

■ nell'esemplare a stampa sopprimi i 4 righi di ripetizione che seguono, fino a Eccone il quadro incluso.

Eccone il quadro. Dopo il numero seriale del prologo, l’incipit del versetto tematico del prologo stesso; segue il libro letto a scuola.

Ciclo 1° 

anno
accademico

sermo prologalis

 liber textus

I

3.22  Quia postulasti (III Reg. 3,11) Ecclesiastes
3.23  Quia postulasti (III Reg. 3,11) I Sententiarum
3.24  Inmisit Dominus (Ps. 39,4) Cantica canticorum

II

3.18  Cum consumaverit homo (Eccli. 18,6) Prov. cc. 1-17
3.19  Cum consumaverit homo (Eccli. 18,6) II Sententiarum

III

3.20  In proverbiis presbiterorum (Eccli. 8,9) Prov. cc. 18-31
3.21  In proverbiis presbiterorum (Eccli. 8,9) III Sententiarum

In 3.18 Remigio annuncia il libro proposto alla lettura annuale, i Proverbi, e dichiara che per motivi didattici (in definitiva, l’estensione materiale dei libri) lo ha posposto all’Ecclesiaste e ai Cantici (di questi ci è pervenuto il commentario integrale), letti ambedue l’anno precedente, benché nella bibbia preceda gli altri due libri e nonostante che la tradizione esegetica destini i Proverbi ai piccoli, l’Ecclesiaste ai maturi, i Cantici ai perfetti. In 3.19 ripropone il tema Cum consumaverit homo, servito ieri («altera die») all’inaugurazione delle lezioni «de textu», per dar inizio alle lezioni sul II libro delle Sentenze, visto che l’anno precedente («anno preterito») aveva letto libro I. In 3.20 precisa che avendo letto l’anno precedente 17 capitoli dei Proverbi, passa ora a commentare i restanti capitoli. In 3.21 annuncia il libro III delle Sentenze; non asserisce esplicitamente la concorrenza con la lettura di Prov. cc. 18-31, ma la ripresa del versetto tematico e l’insistenza a inizio prologo sul motivo della letteratura dei proverbi, non lascia dubbi che Prov. cc. 18-31 e III Sententiarum siano stati letti nel medesimo anno.

Mi dispenso dal giustificare in dettaglio la ricostruzione dei cicli 2° e 3°: i testi dei prologhi, gli abbinamenti dei versetti tematici, le stesse allusioni contenute in quest’ultimi, offrono simili spunti. Annoto soltanto che in ciclo 2° la lettura del III Sententiarum non è esplicitamente testimoniata in alcun prologo della nostra serie. Il relativo prologo non è stato redatto? non è stato inserito nella collezione del codice? si nasconde sotto altri prologhi (3.6-3.10 e altri ancora) che non rilasciano informazioni sul contenuto della lettura annuale? Ma esso è chiaramente supposto da quanto si dice in 3.28: come ieri proponevamo il tema Opera tua perfice per la ripresa delle nostre lezioni su Luca iniziate l’anno precedente, così lo riproponiamo per la ripresa delle nostre lezioni («in prosecutione lectionum nostrarum») sulle Sentenze. Qualcosa di simile giustifica l’inserimento Sententiae tra parentesi quadre in ciclo 3°; dove peraltro non è discernibile il singolo libro commentato in ciascun anno (supposto che non si fosse già passati a leggere le intere Sentenze in un sol anno).

Ciclo  

anno
accademico

sermo prologalis

 liber textus

I

3.26  Placebit Deo (Ps. 68,32) Luca cc. 1-15
[III Sententiarum]

II

3.27  Opera tua perfice  (Eccli. 3,19) Luca cc. 16-24
3.28  Opera tua perfice  (Eccli. 3,19) IV Sententiarum
 

Ciclo 3° 

anno 
accademico

sermo prologalis

 liber textus

I

3.31  Caput eius  (Cant. 5,15 ) ad Romanos cc. 1-6
3.32  Caput eius  (Cant. 5,15 ) Sententiae

II

3.34  Septimus angelus  (Apo. 11,15) ad Romanos cc. 7-16
3.35  Septimus angelus  (Apo. 11,15) Sententiae

III

3.36  Exiit Demetrius  (I Mach. 7,1) I ad Corinthios
  [Sententiae] 

IV

3.37  Fundamentum secundum  (Apo. 21,19) II ad Corinthios
3.38  Fundamentum secundum  (Apo. 21,19) Sententiae

Non è possibile purtroppo datare i prologhi, se si eccettuano quelli legati alla lettura sentenziaria in Saint-Jacques di Parigi (tra 1297 e 1301) in ordine al magistero. Ma l’inizio della carriera professorale di Remigio, protrattasi per 40 anni e più, va fatto risalire agli anni 1274-76. Bisogna trovar posto, nei primi anni d’insegnamento, anche per lettorati in corsi filosofici, non soltanto perché la carriera tipica dei lettori ricostruibile dagli Atti dei capitoli provinciali inizia negli studi di filosofia (in logica, in logica veteri, in logica nova, in naturis) per approdare a quelli teologici, ma perché i codici di Remigio conservano frutto d’insegnamento da rimettere ai corsi filosofici: Divisio scientie, Prologus super scientiam in generali (3.47), Prologus super librum Ethicorum (3.48). Né i prologhi, e l’insegnamento da essi supposto, possono esser tutti posposti al conseguimento del titolo magistrale (1303-04) o collocati in uno studio generale, poiché non troverebbero posto nella cronologia remigiana tra 1303-04 e 1315, anno in cui Remigio cessa dall’insegnamento. Nell’insieme dunque una testimonianza di notevole importanza per contenuti, per estensione temporale, per la tradizione d’una didattica negli studi regionali della provincia Romana nella seconda metà del ’200. Che cosa se ne può ricavare?

Anzitutto, a differenza del curriculum professorale dell’università, uno stesso lettore aveva modo di commentare a scuola prima i libri di testo del corso filosofico e poi quelli del corso teologico. Si dava inoltre che il medesimo lettore leggesse nello studio teologico, e durante il medesimo anno, sia il libro biblico che quello sentenziario. Come andavano le cose quando il lettore principale, per non parlare del magister, era affiancato da un baccelliere (con Remigio lector più volte è attestata la presenza d’un baccelliere o lector sententiarum): il primo si riservava la lettura biblica e lasciava le Sentenze al baccelliere? quest’ultimo leggeva cursorie le Sentenze e il primo le leggeva ordinarie? E le domande senza risposte attendibili si moltiplicherebbero a dismisura se replicate in rapporto allo statuto legale dei singoli studi: provinciale, generale, particularis theologie...

Almeno una lezione di metodo la si può trarre: trasferire normativa e prassi dalle facoltà universitarie, specie di quella parigina, agli studi regionali degli ordini mendicanti per coprire il vuoto documentario, rischia di riprodurre l’immagine dell’inesistente. Già molto vi si oppone.


[3] Tommaso d’aquino, In I Sent. d. 9, q. 1, a. 1 ob. 1 (ed. P. Mandonnet, Parigi 1929, 245). Dopo secundum Priscianum le edizioni scolastiche inseriscono le parole lib. II c. De pronomine, che non sono di Tommaso (comunicazione degli editori della Leonina).


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