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App. II.b) Remigio uditore di Tommaso d'Aquino?

Lo storico domenicano Échard non aveva prove per asserirlo, e lo negò (Quétif-Échard I, 506b). Il FINESCHI 157-58, reagendo vivacemente contro l'Échard, lo affermò senza prove. Masetti, Salvadori, Taurisano, Cordovani, Grabmann, Orlandi hanno continuato ad affermarlo nel triangolo della mediazione di Remigio tra Tommaso d'Aquino e Dante Alighieri: Remigio de' Girolami, der Schüler des heiligen Thomas und Lehrer Dantes (GRABMANN, Mittelalterliches 361-69; Frà Remigio 352-53). Per Mandonnet «il n'est pas sûr que ce religieux ait été l'auditeur de saint Thomas d'Aquin; en tout cas, il ne l'a pas entendu à Paris... » (MANDONNET, Dante 129); semmai a... Napoli (1272-74) (Date de naissance 657; Sulla data 120). Gli studiosi più recenti tradiscono l'esitazione: «poté ascoltare le lezioni di san Tommaso nell'ultimo periodo dell'insegnamento dell'Aquinate a Parigi, 1269-72» (CAPITANI, Venditio ad terminum 341; Cf. ID., De peccato usure 539); «sembra ormai certa... » (DE MATTEIS CV n. 3). E - sia detto per transenna - lo status quaestionis di “Dante discepolo di Remigio nelle scuole dei religiosi” si trova parallelamente nei medesimi termini.

Bisogna dire che un'antica tradizione orale dev'essersi trasmessa nell'ambiente domenicano di SMN. Lo testimonia la nota quattro-cinquecentesca del cod. G 7.939 f. 1r, marg. superiore: «Quadragesimale magistri Remigii Florentini qui fuit discipulus sancti Thomae de Aquino» (App. III § 2, n°6). Tace della cosa il Biliotti (1586). Ma la catena è ripresa dal Poccianti (1589) e continuata dai biblíografi successivi (su costoro vedi App. III). Una tela del «B. Remigio de' Girolami», ancora nella biblioteca di SMN nel XVIII secolo, portava iscritto D. Thomae discipulo (ORLANDI, La biblioteca 82).

Ma era sufficiente per farne dato sicuro onde partire a esplorare i rapporti storico-dottrinali tra Tommaso d'Aquino e la “prima scuola tomistíca in Italia”?

Il passo d'un sermone di Remigio prova senza ombra di dubbio che costui fu discepolo uditore di Tommaso d'Aquino; verosimilmente durante il secondo insegnamento parigino del maestro, 1268-72. Si tratta del sesto sermone «de beato Martino» contenuto nel sermonario de sanctis cod. D 1.937; esattamente per l'ottava di San Martino (18.XI), come è detto nell'introduzione: «Sed quia hodie est octava beati Martini qui solus inter confessores per totam ecclesiam habet octavam, et in eius octavis in Urbe est maior indulgentia quam sit in toto anno» (D 1.937, f. 354ra). Ma il sermone contiene qualcosa di più: uno squarcio - troppo breve, purtroppo - d'una lezione di Tommaso; colto in un momento di relax - o di commento teologico alla religiosità contadina? San Martino, i rustici lo fanno più grande di san Pietro apostolo - dice Tommaso in tono scherzoso -; e hanno le loro ragioni. De beato Martino, sermo VI: Conversatio nostra in celis est (Phil. 3, 20; BNF, Conv. soppr. D 1.937, ff. 354ra-355rb):

originale latino

volgarizzamento (2007) di EP

|354ra...| Conversatio nostra in celis est. Phil. 3.

La nostra patria è nei cieli. Filippesi 3,20.

In epistola dominicali loquitur de se beatus Paulus. Sed quia hodie est octava beati Martini, qui solus inter confessores per totam ecclesiam habet octavam et in eius octavis in Urbe est maior indulgentia quam sit in toto anno, ideo verbum propositum adaptemus in laudem beati Martini. (...).

Nell'espitola di questa domenica (XXIII dopo la Trinità) san Paolo parla di se stesso. Ma oggi ricorre l'ottava della festa di san Martino, unico tra i santi confessori in tutta la chiesa ad avere la celebrazione dell'ottava; a Roma addiritura durante la sua ottava c'è indulgenza maggiore che per resto dell'anno. E dunque adattiamo il versetto temativo a lode di san Martino. (...).

|355ra...| Septimo quantum ad officium (...). Infernus autem licet aliquo modo possit dici habitaculum Dei ut domini non ut captivi, iuxta illud Ps. [138,8] «Si ascendero in celum tu illic es, si descendero ad infernum ades», tamen non est beneficium sed maleficium hominum per invidiam, iuxta illud Cant. 8[,6] «Dura ut infernus emulatio».

Settimo quanto all'ufficio (...). L'inferno lo si può dire in un certo senso abitacolo di Dio in quanto signore non prigioniero, secondo Salmo 139,8 «Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti»; tuttavia l'inferno non è un beneficio ma un danno degli uomini tramite l'invidia, come dice Cantico dei Cantici 8,6 «Tenace come gli inferi è l'invidia!».

Exemplum in legenda de miseratione eius ad pauperes in clamide et tunica, ad peccatores et etiam ad demones. Et quomodo rustici propter beneficia pretulerunt beatum Martinum beato Petro apostolo, ut lusorie referebat magister meus frater Thomas de Aquino; in festo enim beati Petri omnia bona videntur deficere que in festo beati Martini inveniuntur habundare; unde suffecit beato Martino quod diceretur "Martine par apostolis" (355ra).

Esempio nella legenda della sua misericordia verso i poveri nell'episodio della clamide e tunica, verso i peccatori e anche verso i demoni. E come i contadini, a motivo dei favori ricevuti, anteposero san Martino a san Pietro apostolo - raccontava scherzosamente il mio maestro fra Tommaso d’Aquino -; infatti alla festa di san Pietro (29 giugno) è pressoché esaurita la scorta dei viveri, i quali invede abbondano alla festa di san Martino (11 novembre). Questo bastò perché di san Martino si dicesse "O Martino, sei pari agli apostoli!".

cronologia remigiana 18 nov. 1313

Philipp. 3,17 - 4,3 è epistola di domenica XXIII dopo la Trinità (= XXIV dopo Pent.); questa concorre con l'ottava di san Martino (18 novembre) nell'anno 1313 (Pasqua 15 aprile).

Per il tema "Martine par apostolis" cf. GIOVANNi BELETH, Summa de ecclesiasticis officiis c. 163 (CC, Cont. med. XLI/A, pp. 320-21), cui rimanda GIACOMO DA VARAZZE, Legenda aurea, ed. Th. GRAESSE, rist. Osnabriick 1969, 746-47. In entrambi, però, diversa è la motivazione data per il «par apostolis».


App. II.c) Quando a Parigi come baccelliere sentenziarío?

 - capitolo aggiornato (nov. '03) col contributo di Note di biografia, AFP 54 (1984) 238-39, 250-55, 259-60;
 - interpretazione storico-didattica in
Il De subiecto theologie, § 1. Baccellierato...

Nel 1300, secondo Quétif-Échard I, 506b. E a proposito dell'insegnamento parigino e del magistero di Remigio, l'Échard - che dispone per le notizie biografiche dell'unica fonte di Michele Poccianti (vedi App. III) - intreccia una serie di rapporti pregiudiziali e indocumentati:

«Parisius in gymnasio Sanjacobeo sententias legebat [Remigius] in ordinem ad lauream, cum gravissimum illud Bonifacium VIII inter et Franciae regem Philippum IV exarsit dissidium. Quapropter ab eo summo pontifice in sacram facultatem exasperato e studio Parisiensi ad aulam Romanam revocatus est Remigius, absque tamen ullo eius agonum scholasticorum dispendio: nam quem noluit Parisiis promoveri Bonifacius, eum auctoritate apostolica Romae magistrum inauguravit. Sic enim Bernardus Guidonis... »  (Quétif-Échard I, 506b).

Si noti: dopo quattro anni di buone relazioni tra papa Bonífacio e Filippo il Bello, la seconda fase di ostilità non comincia che dopo il Natale 1301 (Rivière 73-74; J. Favier, L'enigma di Filippo il Bello, Roma 1982, 375 ss); e la crisi si scarica sull'università solo nel 1303, quando il papa ritira alle università del regno di Francia la facoltà di conferire la licenza (15.VIII.1303: CUP II,104; AFP 1942, 29). Cronologia remigiana documenta presenza di Remigio in Firenze già in agosto 1301. Tra gli scritti di Remigio si trovano le opere frutto degli atti accademici cui era tenuto il baccelliere sentenziario (cf. P. GLORIEUX, L'enseignement au moyen âge..., «Archives d'hist. doctr. et litt. du moyen âge» 35 (1968) 96-97). La presentazione alla licenza non seguiva immediatamente la lettura delle Sentenze ma supponeva alcuni anni d'attività accademica da baccelliere formato (L'enseignement 80, 97-98; AFP 1938, 32-34). L'autorità di Bernardo Gui termina solo all'assersione del conferimento del magistero da parte di papa Bonifacio (MOPH XXII, 131).

«Intorno al 1285» secondo FINESCHI 162, e dietro di lui SALVADORI-FEDERICI 4, 34, 55. Come s'è visto nell'articolo biografico (App. II-a), Fineschi legge XV invece di XL, cosicché il periodo sintattico è inteso: dopo quindici anni d'insegnamento a Firenze «demum... missus est Parisius ad legendum Sententias». Lo lascia intendere lo stesso Salvadori: «Quando andasse [a leggere le Sentenze a Parigi], si può argomentare dalla durata del suo primo insegnamento, quindici anni e poco più; che dal '70 circa, quand'egli fu prima promosso lettore, ci porta verso l'85» (SALVADORI-FEDERICI 4).

1285-89, secondo MASETTI I, 303.

Ultimi anni del '200: TAURISANO, Fra Remigio 433; o 1284-85: ID., Discepoli 26.

Probabilmente 1285; o prima del 1300: GRABMANN, Frà Remigio 280; ID., La scuola tomistica 101.

Tra 1296 e 1300: MANDONNET, Laurent 23.

E per il 1285 circa, ancora: ORLANDI, Necr. I, 278; MD 1966, 147; CAPITANI, Il De pecc. usure 541 n. 9 bis.

«Fairly certain... before 1294»: DAVIS, An early 663b.

Infine «1300-1302» secondo GLORIEUX, Répertoire I, 177; ID., La littérature II, 252. Lo si deduce dalla presenza d'un sermone di Remigio nel sermonario scolastico di Parigi BN, lat. 3557. Datazione del sermonario tutt'altro che certa: 1285 per HAURÉAU 556-57 (da cui GRABMANN, Frà Remigio 280; TAURISANO, Discepoli 26 n. 1); del tutto incerta per KAEPPELI, AFP 1957, 151 n. 24. Ricordiamo soltanto che da agosto 1301 la presenza di Remigio in Italia è ampiamente documentata.

Talune testimonianze dello stesso Remigio, ricomposte in coerente cornice cronologica e curriculare, ci permettono di ridefinire con certezza il problema.

Prologus Cum consumaverit bomo

Nel «Prologus in fine Sententiarum Cum consumaverit bomo» (cod. G 4.936, ff. 341rb-vb) Remigio ringrazia e fa le scuse agli alunni, poi introduce il lettore che gli succederà alla lettura delle Sentenze:

Lector autem Sententiarum futurus conrespondenter quatuor proprietatibus enumeratis ad ostendendum excessum ipsius in eis, bene vocatur frater Bernardus de Claromonte. Quia ergo frater leget cum excedenti civilitate; nomen enim fratris consotialitatem quandam significat et concivilitatem; unde in Ps. [132,1] «Ecce quam bonum. et quam iocundum habitare fratres in unum», et «Frater qui adiuvatur a fratre quasi civitas firma», ut dicitur Prov. 18[,19]. Sed quia Bernardus leget cum excedenti virtute. Bernardus enim dicitur quasi "bona nardus". Nardus autem est «herba humilis et calide nature», ut dicit Glosa Cant. 1. Unde significat virtutem humilitatis et virtutem caritatis. Humilitas autem est omnium virtutum fundamentum, iuxta illud Augustini «Cogitans magnam fabricam erigere celsitudinis de fundamento cogita humilitatis». Et caritas est onmium. virtutum complementum, iuxta illud Col. 3[,14] «Super omnia autem caritatem habete quod est vinculum perfectionis». Bene ergo quia Bernardus leget cum excedenti virtute; sed quia de Claro leget cum excedenti eloquentia, ut sic impleatur in ipso illud II Thes. 4[,1] «Sermo Dei currat et clarificetur». Sed quia de Claromonte leget cum excedenti sapientia; montes enim dicti quia eminentes sunt, sicut dicit Ysidorus libro XIV Ethimologiarum. Sapientia enim omnibus eminet. Unde ipsa dicit Eccli. 24[,7] «Ego in altissimis habito et tronus meus in columpna nubís». |341vb| Et Ieronìmus volens Augustinum commendare de excedenti sapientia in libro De viris illustribus dicit: «Augustinus quasi aquila volans per cacumina montium» etc. Et bene adconíungitur in uno vocabulo clarum cum monte, idest eloquentìa cum sapientia, quia sicut dicit Augustinus in IV libro De doctrina christiana: «Sapíentia sine eloquentia parum prodest. Eloquentia sine sapientia nimium obest plerumque, numquam prodest». Sapientia vero cum eloquentia plus prodest (f. 341va-b; mano A).

Ista autem quatuor predicta satis sunt nota illis qui habent cognitionem de futuri lectoris persona, que et ego satis cognovi ex fama.  (leggi ed. integrale con traduz. ital.)

Si tratta di fr. Bernard d'Auvergne OP, o da Clermont dal nome del suo convento; "natio Burgundie" con verosimile accesso alla cattedra "extraneorum" delle due in dotazione al convento parigino. Scarse le notizie biografiche. In Parigi negli ultimi anni del secolo, priore di Saint-Jacques nel 1301-03, firmatario dell'appello 26.VI.1303 dei domenicani di Saint-Jacques al concilio contro Bonifacio VIII; eletto vescovo di Clermont nel 1304, elezione cassata da Clemente V nel 1307, ultima data conosciuta (SOPMÆ I, 198-201; IV, 49). Avrebbe esercitato la carica di baccellíere sentenziario a Saint-Jacques di Parigi «vers 1294-97», secondo lo studioso dell'università parigina, il Glorieux (Répertoire I, 172). Dal Répertoire, in verità, non appare se gli estremi 1294-97 siano documentati o soltanto proposti dall'autore (cf. ib. 38-39, nota sulle fonti).

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