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App. II.d) Remigio parla di se stesso

Ecco taluni sermoni che puntano l'obiettivo sulla persona Remigio, suoi tratti umani, suo temperamento, sue reazioni. L'atmosfera è domestica. Ma l'intreccio umano - entro le mura d'un convento nel cuore d'una città in crescita frenetica - non è meno ricco. L'occhio, in fondo, termina sempre là, alla città, che nutre e trascina con sé il convento mendicante. La buona fama presso i secolari sostiene gli honores temporales del convento (De prioratu, I, rr. 19‑23), come dire la sua sopravvivenza sociale. Nessun senso di disagio o d'estraneità con la città. Ad essa il convento indirizza - col medesimo gesto di consuetudine - ora la richiesta di sostegno temporale, ora la rampogna dei propri predicatori. Il popolo ha bisogno del predicatore per i beni spirituali, e il predicatore del popolo per i beni temporali. L'uno organicamente solidale all'altro, così come il mercante di Calimala ha bisogno del lanaiuolo e costui del tessitore e del cardatore (cf. Contra falsos 17,42‑44).

Non è dunque inutile gettare uno sguardo all'interno d'un convento mendicante della Firenze del XIII secolo. E Remigio non è reticente, lui che si definisce «forinsecus et sensualis» (De prioratu, II, r. 21). Come al solito, i suoi sermonari contengono molto di più; qui - come altrove - il lavoro è di sondaggio.

De prioratu, I, Iacta super Deum. Collegato con la commissione data a Remigio dal capitolo provinciale Anagni 1293: «Curam conventus fiorentini committimus fratri Remigio lectori» (MOPH XX, 111/31), cura del convento di SMN finché i frati non avessero proceduto all'elezione del nuovo priore. È la stagione della vendemmia, prima d'Ognissanti. Un vero bozzetto di vita conventuale. La vendemmia nel grande orto del convento (attuale piazza della Stazione) ha portato confusione nella regolarità conventuale. La cura del convento, sopravvenuta inaspettatamente, confonde alquanto Remigio; lui che ha da pensare alle lezioni e ha già i propri guai di viscere.

De prioratu, II, Precurre prior. Suppone il priorato fiorentino di Remigio, 1314(?) secondo tardiva e insufficiente tradizione (vedi Nuova cronologia 1314). Dalla fattura serrata e meticolosamente simmetrica. Non vi è estraneo il tono convenzionale della deiectio sui; ma il tentativo di Remigio di descriversi nell'elemento «Sed ego...» a fine d'ogni membro di divisione, è pur sempre prezioso.

De fratribus, III, Fas est, è di gran lunga il più importante. Sermone d'addio ai frati alla partenza (1297-98) per la lettura sentenziaria a Parigi. Ciò che si moveva dietro la nomina d'un frate al baccellierato parigino in ordine al magistero trapela con sufficiente vivezza. Il solo rammarico è che si sia taciuto il nome dei frati amici che proposero Remigio e che gli fecero pressione perché accettasse (rr. 48-58). Ricordiamo solo che in quegli anni, maestro dell'ordine («benivolentia patris»: r. 56) era Niccolò Boccasini, futuro Benedetto XI; provinciale romano Niccolò da Prato (1297-99) che Remigio ritroverà cardinale nella curia papale a Perugia; priore di SMN da fine estate 1298 a sett. 1299 è fr. Paolo di Gualduccio dei Pilastri, cui fr. Niccolò Trevet dedica e invia il proprio commento alla Philosophiae consolatlio di Boezio promessogli qualche anno prima nell'incontro avvenuto in Pisa (Priori 259-63, 275).

Prima della partenza per Parigi, la puntura d'un chiodo aveva provocato a Remigio una pertinace infezione ad un piede, che si prolunga per quasi un anno. Il frate un po' si sfoga, un po' si diverte ad annotare l'incidente nel ritmo Anno mense minus: la rinomata medicina bolognese lo guarirà in tempo per poter raggiungere la sapienza di Parigi?


De prioratu, I
(cod. G 4.936, ff. 361rb‑362ra)

Priorato, sermone I
Firenze, ottobre 1293

originale latino

volgarizzamento (2007) di EP

De prioratu, I: Iacta super Deum curam tuam et ipse te enutriet; non dabit in eternum fluctuationem iusto. Ps. [54,23].

Priorato, sermone I: Affida al Signore il tuo impegno ed egli ti darà sostegno, mai permetterà precarietà all'uomo giusto. Salmo 55,23.

Sicut vos scitis, nos ad presens caremus priore sed ipsum in brevi habebimus Domino concedente. Placuit autem, illis qui absolverunt priorem, curam huius |361va| conventus michi commictere in actis capituli provincialis[1]; michi, dico, de commissione huiusmodi penitus nichil scienti et omnimode ignoranti. Sed qualitercumque commissio facta sit incumbit profecto et expedit michi de memetipso nullam prorsus confidentiam habenti obedire verbo prophete qui dicit Iacta etc. curam tuam, idest tibi commissam.

Come sapete, noi ora siamo senza priore conventuale, ma lo avremo tra breve con la grazia di Dio. I padri del capitolo provinciale hanno posto termine all'ufficio di priore, e mi hanno incaricato |361va| di prender cura temporanea di quersto convento; incarico affidatomi a mia completa insaputa. Comunque siano andate le cose, è doveroso - e opportuno a me che non confido molto in me stesso - dar corso alle parole del profeta Affida al Signore il tuo impegno, ossia quanto ti è stato affidato.

 Ipse namque est curator principalis et curator generalis, iuxta illud Sap. 6[,8] «Equaliter est ei cura de omnibus». Debet autem qui preest habere curam subditorum ad presens quantum ad tria, quorum cura principalis precipitur a propheta iactari in Dominum, scilicet quantum ad vitam corporalem, quantum ad vitam temporalem et quantum ad vitam spiritualem.

Il Signore infatti è il curatore principale e il curatore generale, secondo Sapienza 6,7 «Egli si cura ugualmente di tutti». Chi presiede deve aver cura dei sudditi in tre cose - di esse la cura principale il profeta la rimette al Signore -vita corporale, vita temporale e vita spirituale.

Et quantum quidem ad corporalem dicit Iacta etc. et ipse te enutriet scilicet nutrimento corporali sine quo non possumus corporaliter vivere, secundum illud(?) Ps. [22,1-2] «Dominus regit me et nichil michi deerit; in loco pascue ibi me collocavit».

Quanto alla vita corporale dice Affida al Signore il tuo impegno ed egli ti darà sostegno ovvero il sostentamento corporale, senza il quale non possiamo sopravvivere fisicamente, come dice Salmo 23,1-2: «Il Signore è il mio pastore e non manco di nulla, su pascoli erbosi mi fa accomodare».

Quantum vero ad vitam temporalem, idest quantum ad famam sine qua honores temporales amictimus, subdit: non dabit in eternum fluctuationem, idest tempestatem litigiorum et scandalorum per que infamamur apud seculares personas.

Quanto alla vita temporale, ossia quanto alla fama, senza la quale smarrire il nostro pubblico onore, aggiunge: mai permetterà precarietà, ossia perturbazione di liti e scandali che macchiano il nostro buon nome presso i seculari.

Quantum autem ad vitam spiritualem, adiungit: iusto. Per iustitiam enim spiritualiter vivimus, iuxta illud Abac. 2 «Iustus autem meus ex fide vivit»; ex fide scilicet iustificante, iuxta illud Rom. 5[,1] «Iustificati igitur ex fide etc.». Quamvis autem ita sit tamen nos debemus facere quod in nobis est; nos enim sumus quasi instrumenta coadiuvantia, iuxta illud I Cor. 3 [cf. I Cor. 3, 9]: coadiutores enim Dei sumus. Et ideo dicitur Gen. 46[,32] «Sunt viri pastores ovium curamque babent alendorum gregum», scilicet quantum ad vitam corporalem.

Quanto poi alla vita spirituale, aggiunge: all'uomo giusto. Tramite la giustizia viviamo spiritualmente, secondo le parole di Abacuc 2 [cf. 2,4; Romani 1,17] «Il giusto vivrà mediante la fede»; mediante una fede che rigenera nella grazia, Romani 5,1: «Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo». Vero, ma ciò non ci dispensa dal fare quel che è nelle nostre forze, noi che siamo strumenti coadiuvanti, secondo I Corinzi 3,9: siamo infatti coadiutori di Dio. E pertanto Genesi 46,32: «Questi uomini sono pastori di greggi, hanno cura di nutrire il bestiame», quanto alla vita corporale.

Si autem ita procederet sicut inchoatum est, non bene iret negotium nostrum quantum ad hoc. Postquam enim ivimus ad capitulum, contractum est debitum plusquam centum librarum. Unde rogo fratres qui sciunt et possunt quod ipsi sint solliciti circa corporalia procuranda. Et quia non habemus modo procuratorem |361vb| in domo et frater Gregorius[2] statutus per suppriorem tenet locum eius quousque aliud ordinetur, volo quod tota pecunia que domum ingreditur, ad cuiuscumque fratris manus perveniat, detur fratri Gregorio et nulli alteri. Concedo etiam quod fratres iuvenes usque ad festum Omnium Sanctorum bis refici possint[3].

Ma se le cose continuassero ad andare come son cominciate, la nostra situazione sarebbe a rischio. Da quando siamo andati capitolo provinciale (Anagni settembre 1293), abbiamo contratto un debito che supera cento lire argentee. Prego dunque i frati che sanno e che possono, di darsi da fare per la nostra situazione amministrativa. Attualmente non abbiamo un procuratore o economo conventuale, |361vb| e fra Gregorio (degli Acerbi) nominato sottopriore lo supplisce fintanto non si decida altrimenti. Ordino pertanto che tutto il denaro che accede al convento, non importa nelle mani di quale frate pervenga, lo si passi a fra Gregorio e a nessun altro. Concedo inoltre ai frati giovani di poter fare, fino alla festa d'Ognissanti (1° ottobre), due pasti.

Et etiam ad vitam temporalem idest famam conservandam et augumentandam debemus facere qnod in nobis est, iuxta illud Eccli. 44[= 41,15] «Curam habe de bono nomine»: ut scilicet non revelemus secularibus secreta et infirma nostra, et non loquamur diversis linguis sed uno ore, quia ex hoc potissime infamant nos, dicentes divisionem et scissuram esse in nobis. Dicitur Gen. 11[,1] «Erat autem terra labii unius sermonumque eorundem».

E anche quanto alla vita temporale, per conservare e aumentare il buon nome dobbiamo fare tutto il possibile, secondo Ecclesiastico (Siràcide) 41,12 «Abbi cura del nome»: ossia non sveliamo ai secolari le cosucce nostre e le nostre deficienze, non parliamo lingue diverse ma una sola lingua, altrimenti sparleranno di noi e diffonderanno nostre presente divisioni e conflitti. Genesi 11,1: «Tutta la terra parlava una medesima lingua e diceva medesime parole».

Quantum etiam ad vitam spiritualem debemus facere quod in nobis est. Unde et in parabola stabularius ille curam egit expoliati – scilicet gratuitis, secundum Glosam, Luc. 10. Hec autem vita spiritualis maxime consistit in mutua dilectione, iuxta illud I Io. 3[,14] «In hoc scimus quod translati sumus de morte ad vitam quoniam diligimus fratres». Consistit et nichilominus in studio sacre scripture, iuxta illud Ps. [118,50] «Eloquium tuum vivificavit me». Consistit et multum in religiosa, obedientiali et iusta conversatione, iuxta illud Prov. 12[,28] «In semita iustitie vita».

Anche quanto alla vita spirituale dobbiamo fare tutto il nostro possibile. Come in quella parabola dove l'albergatore si prende cura dell'aggredito - e gratuitamente, commenta la Glossa biblica in Luca 10,34-35. Tale vita spirituale consiste soprattutto nel reciproco amore; I Giovanni 3,14 «Noi sappiamo che siamo passati da morte a vita perché amiamo i fratelli». Consiste anche nello studio della sacra srittura, secondo Salmo 119,50 «La tua parola mi fa vivere». E consiste moltissimo in una condatta religiosa, ubbidiente e retta, come si dice in Proverbi 12,28 «Nella strada della giustizia è la vita».

Semita quippe est via arta et iter abbrevians. Via igitur iustitie lata respective potest dici via bonorum secularium; sed semita iustitie est via bonorum religiosorum, quamvis simpliciter omnis via bonorum sit arta, iuxta illud Math. 7[,14] «Arta est via que ducit ad vitam». Et quidem vindemiarum tempus impedimentum prestat ut religiosa conversatio non bene possit servari propter tumultuositatem.

La strada è una via angusta che taglia dritto. La via della giustizia, che è larga, la si può intendere via dei secolari, mentre la strada della giustizia è quella dei bravi religiosi; sebbene qualsiasi via dei buoni è angusta, come si dice in Matteo 7,14 «Angusta la via che conduce alla vita». Ma siamo nella stagione della vendemmia, tempo di dispersione e di trambusto, che non facilita la retta condotta religiosa.

Sed de cetero, cosummatis |362ra| vindemiis, fratres redeant ad seipsos et sequantur chorum et refectorium sicut debent, et silentium et alia que ad religionem spectant bene observent. Et rogo suppriorem quod hec bene faciat observari. Ego enim, sicut scitis, non bene possum hec facere. Cras enim intendo purgationem accipere, et iterum oportet me de lectionibus cogitare. Spero in Domino quod bene facietis. Faciant venias etc.

Per il resto, finita |362ra| la vendemmia, i frati tornino a regolare osservanza, frequentino il coro e il refettorio come di dovere, osservino il silenzio e tutto quanto spetta la vita religiosa. Al sottopriore chiedo che faccia ben osservare tutto ciò. Quanto a me, domari dovrò prender la purga, e poi preparare le lezioni. Spero nel Signore che vi comporterete bene. Facciano la venia eccetera.

 


[1] Capitolo provinciale Anagni 1293: «Curam conventus fiorentini committimus fratri Remigio lectori» (MOPH XX, 111/31). A questi tempi, le costituzioni domenicane non avevano ancora fissati i termini di durata del priorato conventuale. Il priore veniva "assolto" dall'incarico a discrezione dei suoi superiori (provinciale e più spesso capitolo provinciale). "Absolvere" = porre termine a un ufficio, senza necessariamente coinvolgere caso legale di sospensione punitiva.

[2] Fra Gregorio di messer Ottaviano degli Acerbi (OP 1279, † 14.X.1296, Cr SMN n° 160).

[3] Vedi Costituzioni domenicane I, 4 (De ieiuniis).


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